lunedì 30 gennaio 2012

UNISCITI A QUESTO SITO

Amico/a, segui l'esempio di Alessandro Czolgosz (sì, potrebbe anche essere il suo vero cognome oppure no) e Simona e unisciti a questo sito (sempre che tu ci riesca, io ci ho impiegato mezz'ora e ne sono la creatrice, figuramoci...). Insieme ci divertiremo un sacco tra gag esilaranti, battute sagaci e il folle microcosmo con il quale la sottoscritta ha a che fare ogni giorno.
Allora cosa aspetti, vecchio volpone/fagiana selvaggia, unisciti a noi!
Ps. Ho scritto questo post sotto l'effetto di una sniffata di Eucalipto della Just (che almeno macchia meno del tabacco da fiuto).

domenica 29 gennaio 2012

DOMENICA LUNATICA

Sono stati molti i momenti difficili di questa domenica ormai conclusa:
- appena sveglia = emicrania post traumatica da sbornia (subita) di carattere economico-finanziario mirante al (ri)lancio della mia attività (di cui resto comunque direttore (ir)responsabile) ad opera di un amico al quale non va giù la linea di risparmio energetico imposta in ufficio ai miei collaboratori (?), ovvero un freddo cane 
- ora di pranzo = tachicardia tipica di una donna affetta da emicrania post traumatica davanti a una distesa di pentole scoppiettanti nel preciso istante in cui la farina a contatto col burro e il latte ha dato vita a una palla che via via da grumosa è diventata cemento armato invece che una delicata crema anche nota come besciamella
- pomeriggio = giramento di maroni ai tre gol sbagliati in fila indiana dall'Inter con conseguente rassegnazione e abbandono della postazione (lo ammetto) dopo la frase sibillina di mio padre: "Quando si mette così, va a finire male". E notoriamente mio padre, quando si mette male, ci prende. Lecce 1- Inter 0
Ma il momento in assoluto più drammatico di questa domenica è stato verso sera quando, di fronte al bancomat, mi sono dimenticata il PIN. Mai, ripeto mai, per la propria inclumità e tranquillità emotiva, una ragazza dovrebbe dimenticare il PIN. Primo perché il PIN è la combinazione segreta della felicità, secondo perché come combinazione è talmente segreta che quando te la danno la nascondi in un posto tanto impensabile da non potertelo mai più ricordare. E sei fottuta. Con la scheda già inserita, ho tentato poco convinta due combinazioni a casaccio mentre sequenze di numeri mi affollavano la mente. Fortuna ha voluto che la dimenticanza fosse solo temporanea. Quindi da domani si ritorna in pista... nell'ufficio ghiacciato, a nove punti dalla vetta, consapevole dei miei limiti in cucina ma con il PIN tatuato sul polpaccio destro.

venerdì 27 gennaio 2012

LUI E LEI A CONFRONTO - ESEMPIO NUMERO UNO


Uomini e donne hanno un modo completamente diverso di esprimersi, i primi preferibilmente a monosillabi, le seconde a panegirici encomiastici di natura oratoria. A monte c’è una diversa interpretazione del mondo. Prendete un uomo e una donna che abbiano vissuto, seppur da prospettive diverse, la stessa esperienza, o che perlomeno siano stati nella stessa stanza in un momento fondamentale della loro vita di coppia. Ad esempio durante la nascita del loro primo figlio. Fategli la stessa identica domanda e otterrete due risposte talmente diverse da chiedervi: Avranno assistito allo stesso parto?

“Allora, com’è andata?”

Lui: “Una passeggiata di salute. Tutto benissimo. Mia moglie bene, il bambino bene. Bravissime le ostetriche, anche il ginecologo. Adesso cominciano i guai, ma comunque bene, tutto bene”.

Lei: “Porca di quella merda, per tirare fuori quel coso mi ci sono volute dodici ore di travaglio. Avessi saputo che mi si sarebbero contorte le budella come una mucca con la diarrea col cazzo che mi sarei fatta mettere incinta. Poi quelle vacche  di ostetriche mi dicevano non spingere, non spingere, non è ancora il momento. Non è ancora il momento un cazzo, io mi sentivo scendere l’intestino e tutto il sistema nervoso, hai presente quando stai per cagarti addosso e non hai un cesso a portata di mano? Poi sul più bello quel coso si è incastrato e quella testa di minchia del ginecologo mi è saltato in groppa, in groppa ti dico, a cavalcioni, e ha cominciato a ballare la macarena sulla mia pancia. Adesso cominciano i guai, te lo dico io, perché quel coso appena si è avvicinato mi ha fatto venire due ragadi così. Mi hanno dato una specie di preservativo bucato per i capezzoli, così lui ciuccia e io smadonno in quindici lingue ma in silenzio se no mi cresce col complesso di non essere amato. Eh no che non è amato! Lo amerei se non mi ciucciasse le tette con l’avidità di un ermellino cieco, se dormisse almeno un quarto d’ora di fila, se non cagasse all’impazzata. Comunque bene, tutto bene, a parte che ho un folle desiderio di ammazzare quell’idiota che mi ha messo incinta e che ora sbuffa perché non può giocare alla Wii in santa pace. Hai una vaga idea di dove gliela infilerei la Wii? Ma vaff…

MOTO DELLA TERRA

Ok ok, la terra trema, qualcosa sotto di noi si muove. La scossa di mercoledì non l'avevo sentita - con un filo di dispiacere, lo ammetto, perché piace sempre far parte dei "sopravvissuti", soprattutto quando non ci sono pericoli reali. Questa volta invece forte e chiaro. Tentavo disperatamente di far dormire Nicole. Dopo la lettura di una storia, un massaggio cervicale, sette litanie di lode e la trama dell'ultimo libro di Coelho la piccola era quasi partita... quando ho sentito un molleggiamento del materasso. Convinta che fosse lei in un improvviso recupero di vitalità, avevo cominciato a sbuffare: è stato il boato a farmi cambiare idea. In salotto il lampadario pendente della Murrina, sismografo casalingo, oscillava parecchio. Ma la cosa più impressionante è stata la telefonata di mia mamma, da Monza: prima che le linee si intasassero, forse prima ancora che l'onda sismica partisse, lei era già pronta al cellulare. Queste le sue parole non appena ho risposto: "Prendi giacca e cappello e scappa. Prendi anche Nicole".  Quindi è stata la volta di Cristian che ha visto tremare un capannone intero - il solito esagerato -, di mia suocera che ci ha buttato dentro un "si è sentito perfino a Boccassuolo" - e solo allora mi sono resa conto dei potenti mezzi di questo terremoto -, infine di mio papà che ha rilasciato una dichiarazione più sicula che brianzola: "Non ho visto niente, non ho sentito niente". Nel frattempo Nicole annunciava al suo papà che "allo zio sono cadute le sopracciglia". Per il resto tutto bene, almeno fino alla prossima scossa.

Ps. Per correttezza d'informazione, allo zio sono caduti i soprammobili.

ESASPERATA

Sono ufficialmente esasperata da Facebook. Il mio amico che ne sa un bel po' mi ha detto che al giorno d'oggi non se ne può fare a meno, che puoi farti un sacco di amici, sapere cosa succede in giro, sviluppare le potenzialità del tuo lavoro. Credo che abbia ragione, è evidente che se non ci sei lì non ci sei da nessuna parte. Piccolo particolare: sulla bacheca sulla quale lancio di tanto in tanto le cose che mi riguardano, uscita di libri, presentazioni, date dei corsi, scorre un fiume inarrestabile di disumane minchiate che oscura qualsiasi tentativo di comunicazione, informazione o (per chi non avesse altro da fare) semplice e innocuo cazzeggio. Animali chiusi in gabbia con frasi orripilanti all'indirizzo di chi ha una grave colpa, ovvero includere nella sua dieta non solo radici e bacche di ginepro. E questo è niente, perché in genere le povere bestie appaiono sventrate, massacrate, sgozzate, persino nel bagno di casa propria.  All'utente si chiede di condividere l'immagine. Perché? Perché si sappia cosa succede nel mondo? Perché finalmente si dica che il mondo è un posto brutto e pericoloso? Perché la gente smetta di mangiare carne? Le immagini, le informazioni decontestualizzate dal luogo, dal tempo e dalla situazione in cui sono nate non hanno senso perché perdono il loro valore comunicativo reale, finendo per essere input di impulso (sgomento, orrore, che schifo!), ma non informazioni a lungo termine, capaci di esercitare una funzione sulle coscienze dei lettori. Lettori che, tra l'altro, non è giusto siano bombardati da un miscuglio di frasi e visioni agghiaccianti senza un filtro. Prima faccio conoscenza col neonato di mia cugina, subito dopo mi trovo di fronte le interiora di un tacchino. E poi fotografie e commenti di una superficialità imbarazzante. Non che io abbia particolarmente a cuore i parlamentari italiani, ma le foto che li ritraggono mentre dormono sui banchi del parlamento sono l'esempio di una visione faziosa, volta a sostenere una tesi italianistica - dovremmo vergognarci di questa gente! come fa il mondo a non riderci in faccia! - quando si sa che lo scatto di un millesimo di secondo non rappresenta la verità assoluta. Anche la mia prof di inglese chiudeva gli occhi durante le interrogazioni, ma se dicevi qualche minchiata ti sfanculava con un quattro sul registro, altro che prof dormiente. Troppo faticoso usare il proprio cervello per rielaborare ciò che ci accade intorno e magari vediamo solo noi, testimoni soggettivi di una realtà che ha bisogno di voci, colori, dimensioni concrete. Più comodo rilanciare il banale, il superficiale, quello che sembra la verità per forza di cose, ma ops... proprio così non è. Perché se allarghi il tuo spazio visivo e mentale, può anche essere che la realtà sia diversa, molto diversa da quella che ti stanno raccontando. Facebook mi esaspera perché è la sintesi di un mondo che macina informazioni di centesima mano senza mai risalirne all'origine vera. Così mi ritrovo in bacheca un uomo appeso per il pene con la scritta: ecco cosa farei ai politici italiani. Be' ecco che il mondo è un posto brutto e pericoloso, persino su Facebook.

domenica 22 gennaio 2012

MEMENTO

Per mia figlia, per vederla sorridere, farei qualunque cosa. Per esempio costruire un teatrino di cartone e montarlo nel mio ufficio, disegnare e colorare marionette di carta, inventarmi una storia natalizia (e vagamente femminista).

Il tutto con l'aiuto della mia piccolina, che spero possa sempre conservare la curiosità che le sta facendo scoprire il mondo e la capacità di osservare tutto quello che le sta intorno con la leggerezza di una bambina desiderosa di capire il perché delle cose. La vita, Nicole, ti mostrerà tante strade tra cui scegliere, ma ti insegnerà anche che solo una è quella giusta. Ci saranno tentativi e qualche ripensamento, commetterai sbagli e nel frattempo crescerai, diventerai forte e lascerai alle spalle alcune paure. Io sarò sempre al tuo fianco, finché lo vorrai, finché arriverà il giorno in cui tu stessa deciderai di camminare con le tue gambe lungo la strada che hai scelto per te. E se vorrai saperlo, ti dirò che a un certo punto, molti anni prima, anch'io la mia strada l'ho trovata e ho cominciato a percorrerla con te, mano nella mano. Ti dirò che da quel momento, amore mio, il tuo sorriso è stato il mio.

venerdì 20 gennaio 2012

‎martedì ‎3 ‎gennaio ‎2012, ‏‎2.05.14 | RobertaRossiGo to full article
2011... ADIòS
Tra nuove consapevolezze e sfide ancora in corso, se n’è andato il 2011. E siccome sono una persona nostalgica, più ancorata alla costante rilettura del passato che proiettata verso il futuro, mi va di dire:

- GRAZIE all’anno appena concluso, se non altro perché, se Dio vuole, si è per l’appunto concluso. Bene o male non importa, ma almeno anche questa volta la regola non ha fatto eccezione: dopo la fine c’è (stato) un nuovo inizio. Fine senza spumante (credo sia dagli anni Novanta che non festeggio un capodanno), inizio col botto (tralascio i nauseanti particolari). Comunque si ricomincia, evvai.
- GRAZIE a chi ha affidato nelle mie mani il suo lavoro. Scelta coraggiosa, da non sottovalutare e che rende la sottoscritta felice, lusingata, elettrizzata, nonostante l’autostima non sia ancora un possesso stabile, piuttosto una meta per l’anno che tra l’altro sembra essere quello della fine del mondo (speriamo che la fatica prevista non vada sprecata).
- GRAZIE ai soliti amici (che sono tanti) e a quelli nuovi, che sono ben accetti, purché sappiano che durante il nuovo anno li tartasserò di mail, sms, domande, richieste. E qualche volta risposte, uscite spensierate, progetti, serate di lavoro, corsi di scrittura che prima di mezzanotte non finiscono mai…
- GRAZIE ai soliti stronzi, e a quelli imprevisti, che proprio non ti aspetti. E a quelli dell’ultima ora, che sbucano come la muffa sugli angoli del soffitto, quando credi che tutto sia finalmente a posto. GRAZIE perché siete il sale della mia vita, e funzionate più della vitamina D (che approfitto per ringraziare, dopo un anno di somministrazione – speriamo – utile): mi rafforzate nell’animo, seppur lo spirito lì per lì ne farebbe a meno. Ma voi stronzi non siete fantasmi chiusi negli armadi: siete spine affilate nei fianchi, orzaioli negli occhi, clisteri di glicerina che dopo la dolorosa espulsione scivolano via lasciandoti un senso di vittoriosa soddisfazione. Nonostante un fremito di dolore che comunque fortifica, stoicamente.
- E infine GRAZIE ai sensori posteriori di parcheggio che nel corso di un anno pieno di ostacoli e parcheggi selvaggi mi hanno tolto dai guai un sacco di volte. Peccato non possa dire altrettanto dei sensori anteriori di parcheggio, se non altro perché non esistono, i quali non mi hanno quindi evitato di centrare il garage nell’ultima manovra significativa dell’anno, mentre un tappeto di neve si stendeva per terra e un vortice di imprecazioni fluttuava nell’aria gelida.
‎venerdì ‎25 ‎novembre ‎2011, ‏‎23.35.33 | RobertaRossiGo to full article
EDIZIONI TERRA MARIQUE SI PREPARA ALL'INVERNO (semi di pompelmo inclusi)
Il direttore (ir)responsabile di Edizioni Terra marique, ovvero la sottoscritta, sta per inaugurare un'intensa stagione invernale.
Si comincia sabato 3 dicembre in Rocca a Scandiano con la presentazione del romanzo di Alberto Pighini, L'innocente evasione. Mi rendo conto che tra Facebook (che continuo apaticamente a non saper usare) e il sito della casa editrice (edizioniterramarique.com) vi sto fiaccando i maroni con l'uscita del libro di Alberto, ma:
- il romanzo è bello
- la copertina spacca
- ci abbiamo lavorato con tanto impegno e tante Marlboro Lights (di cui l'autore porta ancora i segni)
Quindi il 3 dicembre alle 17 venite a Scandiano, se non altro per il ricco buffet.
E già che ci siete, fate un salto il 15 dicembre in biblioteca a Sassuolo per la presentazione del libro Il Gruppo Alpini di Montefiorino, di cui sono autrice. Quanto ai motivi per i quali dovreste venire (buffet in vetta), vedi sopra. A presentare la serata ci sarà Margherita Casolari, che leggerà l'intero libro nello stesso tempo in cui io mangio un Mars (tre nano secondi).
L'8 dicembre sarò in esposizione a un qualsiasi stand del mercatino di Roteglia quale Donna Brianzola Hybernata. E a quel punto la cioccolata calda potete anche infilarvela in quel posto.
A gennaio si riparte col corso di fotografia e di scrittura: le mie insuperabili allieve stanno concludendo il corso di secondo livello tra racconti (che a breve saranno leggibili sul sito di TM), chiacchiere fino all'alba e un sacco di risate.
Infine fremono i preparativi per gli addobbi natalizi dell'ufficio di Edizioni Terra marique, per i quali mi sta dando una mano Renzo Piano, ma solo perché il Palladio sembra irreperibile.
Qui si fanno le cose per bene!

‎mercoledì ‎9 ‎novembre ‎2011, ‏‎13.03.40 | RobertaRossiGo to full article
TRE ROSSI
Mia figlia al suo papà: “Di Spadoni ce ne sono tre: io, te e il nonno”.
Il suo papà: “Esatto”.
Mia figlia: “Anche di Rossi ce ne sono tre”.
Il suo papà: “E chi sono?”.
Mia figlia: “La mamma, il suo papà e… Vasco!”.
Una figlia di cui andare fieri!


Vasco-Rossi
‎martedì ‎8 ‎novembre ‎2011, ‏‎23.43.23 | RobertaRossiGo to full article
TRA NEMICI E FALSI AMICI
Avere nemici è molto meglio che avere falsi amici.
I nemici sono stimolanti, con loro non ci si annoia mai per quel senso di stare sempre all’erta che mette adrenalina.

I falsi amici invece sono mine vaganti, difficili da individuare: sono stati amici, acque chete apparentemente innocue. Ma ogni amico è potenzialmente un falso amico, e in quanto tale può manifestarsi in modi sconosciuti, subdoli, che ti coglieranno comunque di sorpresa, magari sul più bello, mentre pensavi che vi sareste tenuti per mano a lungo, se non per sempre.
Il nemico invece è nemico e basta, non subirà trasformazioni, non ti sorprenderà mai – se non positivamente, magari in una giornata di sole in cui la vita gli ha sorriso a tal punto da fargli scordare per un attimo che tu sei la sua fottuta spina nel fianco, ma tenderei ad escluderlo –. Il nemico, in un giorno di finti sorrisi finiti e acqua battente, ti ha eletto a bieco individuo, socialmente inutile, professionalmente incapace, muffa fungina da estirpare, bersaglio a cui tirare frecce velenose nelle prossime conversazioni da qui a due o tre settimane, con rigurgiti di acidità intestinale ogni qualvolta il tuo nome verrà casualmente citato da qui all’eternità. Il nemico ti ha giurato odio eterno, la tua faccia, ormai sbiadita dal passare del tempo, gli farà tornare alla mente una sensazione spiacevole quanto un pentolone di spinaci che puzza come un paio di Nike dell’87.
Il falso amico non potrà mai regalarti niente di tutto questo, né momenti di puro godimento come quando al nemico dimostri che “socialmente inutile, professionalmente incapace sarà tua sorella”, né la possibilità di costruirti sulla pelle una bella corazza, sempre più solida, sempre più lucida.
Viva i nemici, sono le persone più oneste con le quali avrete a che fare.
Abbasso i falsi amici.
Come fare a riconoscerli?
Be’, il vero amico è quello che ti tiene la testa mentre cambi colore alle pareti del bagno e il giorno dopo non necessariamente ti telefona per chiederti come stai, ma la volta dopo è ancora lì a tenerti la testa mentre ravvivi lo stesso bagno di nuove nuance. Il vero amico è quello che se fai una stronzata molto grande ti dice che la stronzata non era poi così grande, che se fai una stronzata media ti dice che la stronzata non era poi così media, che se fai una stronzata piccola piccola ti dice che in effetti sì, avresti potuto fare di meglio. Il vero amico è quello che lo sai se è un vero amico, non c'è bisogno di prove.

Il vero nemico è quello che non può fare a meno di te per sentirsi migliore, per sentirsi più forte e intelligente: il bello è che forte e intelligente, di suo, non lo sarà mai. Ma è anche uno che gioca a carte scoperte, quello che pensa di te lo sai già.
Tutto quello che sta nel mezzo è falsità, ipocrisia, sorrisi di convenienza, pugnalate pronte all'uso. Terreno poco fertile, meglio non perderci tempo.

A proposito di nemici: e per Luciano Moggi ipip urrà!
‎martedì ‎25 ‎ottobre ‎2011, ‏‎18.54.58 | RobertaRossiGo to full article
IL LIBRO DELLE NON-FACCE
Detto tra me e te, pensi che a qualcuno importi se stamattina ti sei svegliata col mignolo gonfio perché durante la notte hai assunto la posizione della piovra arrotolata? Che dio ce ne scampi del tuo cazzo di mignolo! E tu credi che sia onesto riportare il messaggio paraculato di qualcuno che scrive: “Se anche a te dispiace che Simoncelli sia morto, condividi una candela sulla tua bacheca”, che poi se non condivido la candela vuol dire che della morte di un giovane, come di tanti altri meno o per niente famosi, non me ne frega niente? E poi vedo sulla bacheca di un altro la foto di un’auto distrutta e di fianco la scritta “Divertiti, balla, fai sesso, ma se sei ubriaco non guidare” quando nessuno può dirmi se magari il tipo alla guida si è schiantato non a causa dell’alcol ma di un capriolo che gli ha attraversato la strada.

Cosa dovrei condividere sulla mia bacheca, l’ovvietà, il pressapochismo, le false notizie, il tuo mignolo gonfio?
Quante inutilità su Facebook, quante banalità al limite della sopportazione.
Abbiamo i mezzi per comunicare, per far conoscere, per raccontarci e li sprechiamo sviscerando la non comunicabilità che ci appartiene, il non interessante, il chissenefrega assoluto. E sguazziamo in un sacco di parole, immagini, fotografie che tutto sommato, spese alla rinfusa, non comunicano niente, se non il desiderio di esserci, di far sapere cosa abbiamo mangiato per pranzo e vomitato dopo cena.
Suvvia, si può fare di meglio.
Si possono usare le parole per raccontare se stessi, almeno non per sputtanare l’immagine che pensiamo gli altri abbiano di noi. Gli altri, di noi, hanno un’immagine per quello che siamo, per le scelte che facciamo, per quello che abbiamo il coraggio di raccontare, vittorie e sconfitte, senza esclusione di colpi.
Si può veramente fare di meglio. Nella vita vera, per lo meno.
‎martedì ‎25 ‎ottobre ‎2011, ‏‎18.00.01 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
TRENTASEI

Mio cugino Matteo aveva imparato ad andare in bicicletta a due anni, senza rotelle. Faceva avanti e indietro dal portone di casa sua al cancello in cima al cortile, circa una cinquantina di metri. Prima però aveva fatto sparire tutti i sassi: rendevano troppo tortuoso il percorso. Mio papà mi ha detto che lo vedeva caricarli sulla mini carriola e poi plouf, spariti non si sa dove.
In breve Matteo era riuscito a spianarsi la strada.
Stanco della bicicletta, passò al motorino. Avanti e indietro, indietro e avanti su quel mezzo infernale, verde pisello coi portapacchi laterali, lento come una lumaca, rumoroso come un tir. Sembrava impossibile fermarlo, nonostante i vari tentativi. Mia nonna Checca era arrivata al punto di aspirare la benzina con la cannuccia, mia mamma gli gettò una secchiata d’acqua sulla testa mentre passava sotto il nostro balcone.
Alla fine mio cugino passò alla macchina. Una seicento bordeaux. Avanti e indietro, indietro e avanti. Non ricordo come funzionasse la cosa una volta arrivato al cancello: lo spazio era insufficiente per fare manovra, quindi penso che tornasse indietro in retromarcia.
Stanco della Seicento, temevo che il passo successivo sarebbe stato il camper, parcheggiato nel garage di casa sua e pronto all’uso. Invece gli comprarono la moto, gli aprirono il cancello in cima al cortile e gli diedero il via libera per andarsene dove voleva.
Penso che a mio cugino i confini di casa non siano mai bastati e che ogni volta che arrivava al limite invalicabile allungasse lo sguardo oltre le sbarre di ferro, deciso a non fermarsi. Però alla fine tornava indietro, legato più di ogni altro al suo nido.
Se n’è andato prima che qualcuno gli imponesse altri confini, prima che qualcuno avesse il tempo di chiedergli dove avesse messo i sassi del cortile.
‎martedì ‎25 ‎ottobre ‎2011, ‏‎17.58.58 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
TRENTACINQUE

La maestra ci aveva dato una fotocopia con due riquadri: nel riquadro A c’era il disegno di un pallone che viaggiava in direzione di una finestra chiusa; nel riquadro B non c’era niente. La maestra ci aveva chiesto di disegnare nel riquadro B la conseguenza della scena raffigurata nel riquadro A.
Io disegnai un pallone accartocciato su se stesso, il resto della classe la finestra col vetro rotto.
La maestra, allarmata, portò il mio quaderno alla sua collega, nell’aula accanto, e non ne seppi più niente. Del mio compito intendo, perché la maestra, tornata in classe, riprese la sua lezione sulla causa-effetto soffermandosi sul genere bruco-farfalla, nuvole-pioggia, calorie-grasso superfluo.
Ma sorvolò a proposito di palloni-vetri rotti, binomio che io avevo reinterpretato basandomi su dati puramente oggettivi: qualche giorno prima Giacomo aveva calciato il pallone contro la finestra, il vetro si era rotto e il pallone si era bucato, accartocciandosi su se stesso.
Un altro dato oggettivo era che la maestra non poteva saperne niente dei calci potenti e fuori misura di Giacomo. Ma tant’è e io non rividi mai più il mio quaderno col disegno del pallone bucato.
Mia mamma disse che la maestra aveva fatto sparire le prove.
«Quali prove?», le chiesi.
«Tu non preoccuparti, vedrai che sarai promossa lo stesso».

Infatti fui promossa. Ma vivo nel terrore che un giorno qualcuno possa riportare alla luce quel quaderno con la finestra chiusa e il pallone bucato e usarlo contro di me.
‎martedì ‎25 ‎ottobre ‎2011, ‏‎17.54.04 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
TRENTAQUATTRO

Mia mamma disse che all’oratorio non ci potevo andare.
«Come no?».
«No!».
«Ma perché?».
«Perché in televisione hanno detto che sta per arrivare».
«Chi?».
«Cosa, non chi».
«Cosa?».
«La nube. Tossica».
«Ma che cacchio dici?».
«La nube tossica, sta arrivando. E piove. Quindi non vai all’oratorio».
«Ma è domenica. Non ho nient’altro da fare».
«Domenica scorsa ci sei andata?».
«No».
«E quella prima?».
«No».
«E quella prima ancora?».
«No. No e no. Ma cosa c’entra?».
«Se non ci vai mai, perché vuoi andarci proprio oggi?».
«Perché di sì. Per favore».
«E falla andare».
«Vittorio, ti rendi conto del pericolo? Sta anche piovigginando, bisogna stare in casa, o potrebbe succedere qualcosa di strano».
«Tipo?».
«Non lo so. Una mutazione. Le squame sulla pelle».
«Sì, e il terzo occhio in mezzo alla fronte».
«Eh. L’hanno detto alla tele».
«Oh santo cielo, che stronzata».
«Papà, convincila tu. Starò al coperto. In refettorio. Tutto pomeriggio al chiuso».
«Lo prometti?».
«Certo».
«Allora vai. Brutta testa di c***. Vittorio, accompagnala tu».
«Neanche morto. E se poi mi spuntasse il terzo occhio?».
Restai in refettorio cinque minuti, giusto il tempo di farmi riempire da suor Olivia un sacchetto di caramelle. Poi andai a mangiarle all’aperto, sul campo da pallavolo, sotto la pioggerellina. Rovesciai in bocca un intero pacchetto di polverina frizzante, reclinai la testa verso l’alto in modo che si mescolasse con l’acqua piovana. Il composto cominciò a scoppiettare, il gusto coca si fuse con le molecole di idrogeno e ossigeno made in Chernobyl. Feci la bolla più grossa e fosforescente che si fosse mai vista. La bolla scoppiò: la frangetta, le ciglia e le sopracciglia divennero un unico impiastro di cicca granulosa, mi salì dallo stomaco un rutto aspro al sapore di ulcera duodenale.
Non capivo come mia mamma si preoccupasse tanto di una nube tossica in arrivo dall’est e per niente della polverina frizzante al gusto coca.

Ritornai in refettorio mentre mi stava crescendo una seconda testa sulla spalla.
‎martedì ‎27 ‎settembre ‎2011, ‏‎0.35.54 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
TRENTATRE'

E se uno non aveva fatto il chierichetto almeno una volta, non cantava in chiesa, non andava all’oratorio il sabato pomeriggio, era considerato un reietto, un potenziale delinquente del futuro. Quando si parlava di lui/lei, i benpensanti senza macchie né disonori scuotevano la testa in segno di resa, mentre la suora di turno esclamava estatica: «Solo il signore può salvarlo/a».

Per un periodo io stessa finii nell’elenco delle anime perse. Nessuno riusciva a spiegarsi come una bimba bionda, con gli occhi azzurri e brava a scuola sarebbe finita a scassinare i bancomat e di lì in riformatorio «Le strade di Satana sono infinite», chiosò la suora.
Questo il mio destino perché non frequentavo il catechismo.
Una volta ci andai. Entrò in aula una catechista avanti con gli anni, madre di famiglia e tutto, e disse: «Cosa ne facciamo di quella che non viene da diciotto lezioni?».
«Carramba che sorpresa, quella che non viene da diciotto lezioni è qui!», rispose la giovane catechista.
«Ah. E chi sarebbe?», fece quell’altra, per nulla colpita dall’esultanza della sua collega santona.
«È lei».
Si voltarono tutti verso di me, i bambini trattenendo il fiato, la catechista giovane mostrando uno sguardo pietoso, la catechista adulta sgranando gli occhi.
«È lei?», sillabò attonita. Poi scosse la testa al rallentatore e scrisse qualcosa sulla sua agenda.
Ecco, la mia vita di brava cristiana era finita, il mio nome fu inciso nell’indice dell’Inquisizione.
«Perché manchi da diciotto lezioni?».
Non risposi. Forse se facevo la parte della povera ritardata mentale mi avrebbe lasciato in pace. Scosse di nuovo la testa: sapeva che non ero ritardata, ma sapeva anche che non era colpa mia se i miei genitori non mi mandavano al catechismo e mi stavano crescendo come una futura delinquente.
«Mi raccomando», disse asciutta, «cerca di non mancare alle prossime lezioni. Se no niente Comunione. Dillo anche ai tuoi genitori».
Lo dissi ai miei genitori, i quali, dopo avermi spiegato che se non ero andata per diciotto volte al catechismo era perché per diciotto volte avevo avuto la febbre, la cagarella, la malavoglia, la rosolia e via dicendo, decisero di iscrivermi a un corso per principianti di scassinamento bancomat.
Sia fatta la volontà del Signore. Amen.
‎domenica ‎18 ‎settembre ‎2011, ‏‎18.19.09 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
TRENTADUE

Mia mamma decise di iscrivermi in piscina. Di primo acchito la odiai, in seguito cambiai idea: desideravo affogarla nella stessa vasca in cui io mi sarei dovuta tuffare.

«Tuffati, tocca a te», mi urlò dal lato opposto del blocco di partenza una specie di ominide in braghe corte, ciabatte aerodinamiche e fischietto ciondolante sul petto.
«Ti sbrighi, stiamo facendo notte?» e nel dubbio che fossi straniera o sorda, soffiò forte nel fischietto facendo ampi gesti col braccio.
«Sbrigaaati».
A parte il fatto che nessuno in quella piscina stava disputando una gara olimpica di velocità e che se mi fossi tuffata non sarei arrivata al bordo opposto della vasca prima di due o tre ore, comunque non c’era bisogno di agitarsi tanto, ormai le mie gambette secche e tremolanti per il freddo stavano avanzando verso l’orlo del blocco di partenza, le dita dei piedi violacei ne toccavano lo spigolo, la maschera di terrore impressa sul mio volto si specchiava sulla superficie dell’acq…
«Aaaaaaaaah!».
Volai verso il mio destino di morte, spinta da mani crudeli – probabilmente un emissario dell’ominide col fischietto.
L’impatto con l’acqua mi sconvolse. Andai sotto fino a non sentire più niente, a parte un barrito di elefante nelle orecchie. Bevvi tutta l’acqua possibile, finché sentii qualcosa di solido sotto i piedi: o avevo bevuto tutta l’acqua della piscina o la vasca non era così profonda. Mi misi dritta, ansimando e tossendo. L’ominide mi intimò di raggiungerlo. Cominciai a camminare verso di lui. Raggiungerlo A NUOTO, specificò. Mi aveva presa di mira. Mentre mi misi in movimento tra le onde che io stessa causavo col mio posteriore dimenandomi come una specie di oca impazzita, lanciai un’occhiata a mia mamma, che si era sistemata comoda e asciutta dietro la vetrata. Lei guardava commossa un bambino ranocchio che nuotava come un pesce, snobbandomi di proposito.
«Be’ dài, non è andata così male», mi disse mentre andavamo a casa e già mi stava venendo la bronchite.
«Dici così solo perché hai pagato la quota annuale».
«Appunto. Che non ti venga in mente di ritirarti».
Mi venne la bronchite.

Piscina Leone X di Monza
Allievo: Roberta Rossi
Iscrizione: annuale
Quota: pagata
Lezioni frequentate: una
Esito del corso di nuoto: fallimentare
‎domenica ‎18 ‎settembre ‎2011, ‏‎18.14.32 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
TRENTUNO

Una volta appurato che unendo con un filo di lana due bicchieri di plastica bucati la nostra voce poteva arrivare ovunque, io e la Francy srotolammo tutti i gomitoli che avevamo in casa per legarli insieme. Amplificammo l’effetto audio usando bottiglie al posto dei bicchieri.
Per fare il botto proposi di utilizzare le botti del vino del nonno della Francy, illustrando una serie di incredibili vantaggi. Ma avremmo dovuto bere tutto il vino, quindi lasciammo perdere.
Una volta che la Francy era dal dentista e sua mamma le aveva detto che non poteva portarsi dietro il bicchiere col filo, spiegai l’invenzione a mio cugino. Non ci voleva credere, che scemo!
Allora gli dissi che dovevamo fare una prova: lui doveva mettersi sul suo balcone, io sul mio, di fronte a casa sua. Bisognava mettere insieme un filo abbastanza lungo e trovare una scala abbastanza alta per raggiungere i balconi. Mentre a casa mia pensavamo a come fare, suonò il telefono. Risposi, era mia zia che aveva bisogno di mio cugino, che doveva andare al supermercato e che se andava con lei gli avrebbe comprato Hi-Man. Lui se ne andò contento per il suo Hi-Man, dicendo che per fortuna c’erano i telefoni veri. D’istinto fui d’accordo con lui.
E così svanì la magia del filo di lana.
‎mercoledì ‎14 ‎settembre ‎2011, ‏‎23.32.23 | RobertaRossiGo to full article
GIOVEDI' SERA
Cosmo o Cosmopolitan?
Ma sì, facciamo entrambi.

Cosmopolitan-001-de1
‎lunedì ‎5 ‎settembre ‎2011, ‏‎0.32.01 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
TRENTA

Ero sicura che un filo bastasse per comunicare. Per prima usai la lana, infilata tra due bicchieri di plastica bucati sul fondo. Più lungo era il filo, più lontana sarebbe arrivata la mia voce. Meucci docet. Io e la Francy srotolammo un gomitolo blu, inserimmo le due estremità nei buchi di due bicchieri, li annodammo in modo che non fuoriuscissero, e scegliemmo le stanze: io il suo salotto, lei la sua cameretta. Appoggiai la finta cornetta sull’orecchio e sentii il mare. Rimasi sconvolta dal fatto che non succedeva solo con le conchiglie sulla spiaggia di Rimini. Mi rasserenai pensando che la mamma della Francy doveva aver trovato quel bicchiere sulla spiaggia di Rimini, tra i vari detriti. Isolai i pensieri marittimi in attesa di sentire la voce della Francy nel nostro marchingegno e di farle sentire la mia.
Solo il mare. E un paio di guaiti di gabbiani.
In effetti non ci eravamo messe d’accordo su chi dovesse parlare per prima, magari anche la Francy se ne stava come una scema sul letto ad ascoltare il mare, senza dire niente. Andai in camera sua e la trovai come una scema sul letto in balia delle onde e dei gabbiani.
«Francy, se arrotoli il filo non funzionerà».
«Ma non sentivo niente».
«Per forza, non parlavo!».
«Neanch’io».
«Aspettavo che iniziassi tu».
«Anch’io».
«Inizia tu».
«No, tu».
«No, tu».
«No! È casa mia e decido io. Tu!».
«Uffa Francy. Però srotola il filo, se no non può funzionare. E DEVE funzionare».
«Va bene».
Mi sedetti sul bracciolo del divano, a pochi passi dalla porta. Avvicinai il bicchiere all’orecchio, lisciai tra l’indice e il pollice il filo blu. Stavo per cominciare, quando mi accorsi che non aveva senso parlare al vento con un bicchiere premuto contro l’orecchio e la risacca in sottofondo. Risolsi infilando la bocca nel bicchiere.
«Francy, mi senti?», dissi piano nel bicchiere. «Mi senti?».
Niente.
«Francy, Francy».
Niente.
«Sono io», dissi a voce più alta.
Niente.
Pizzicai il filo, lo alzai leggermente in cerca della giusta direzione.
«Francy», dissi ancora più forte.
«MI SENTI?», urlai.
«SÌ SÌ, TI SENTO», urlò lei.
Funzionava! Il filo di lana blu funzionava! La mia voce poteva arrivare ovunque. Anche ai vicini della Francy, che dopo aver sentito le nostre chiacchiere sulle nostre compagne di scuola, su quella stronza della Lucilla e sulle ascelle pelose dell’Anna Monaco, bussarono alla porta per dirci di smetterla di urlare.
‎mercoledì ‎31 ‎agosto ‎2011, ‏‎15.56.57 | RobertaRossiGo to full article
COMUNICAZIONE DI SERVIZIO
Attenzione: tra poche ore sarà attivo il mio nuovissimo BlackBerry rosa shokking. Se vedete strani bagliori all'orizzonte o oggetti non identificati svolazzare sopra le vostre case, non allarmatevi: sono io che cerco di applicare qualche applicazione, taggare qualcosa o qualcuno, attivare a distanza congegni nucleari. D'altra parte, in confronto a me Steve Jobs è un dilettante.
‎lunedì ‎29 ‎agosto ‎2011, ‏‎19.21.50 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTICINQUE

Potevo trattenere a lungo il fiato, a lunghissimo la pipì. Ma non le risate. Una volta stavo correndo nei corridoi della scuola con la mia compagna di classe Monaco Anna. Qualcuno aprì la porta dell’aula e lei ci andò a sbattere, spiaccicandoci contro il naso e gli occhiali rotondi. L’impatto fu tremendo, il naso sporgente servì ad attutire il colpo sul resto del corpo. La chiamavamo Tucano. Dopo qualche istante di stordimento, si mise a piangere. Io mi misi a ridere. Lei si mise a piangere più forte. Io mi misi a ridere più forte. Lei, piangendo, mi diede uno spintone. Io, ridendo, sapevo che me lo meritavo, ma non potevo trattenermi. E mi dispiaceva anche, ma sul serio non potevo trattenermi. Solo che l'Anna non riusciva a capirlo e mi spinse di nuovo, questa volta più forte. Lei era alta, aveva le tette, dei folti cespugli sotto le ascelle e si era già sviluppata, da tutte le parti. Io ero un microbo e nonostante avessi abbastanza cervello per sapere che da una così le avrei prese, non potevo proprio smettere di ridere. Intanto erano accorse le crocerossine, tutta gente che poi ha fatto domanda nell’Esercito della Salvezza. Così io mi defilai, tra le occhiatacce di tutte. Tranne che dell'Anna, perché a quel punto, tra gli occhiali rotti e i fiotti di sangue dal naso, non vedeva più niente.
Un’altra volta eravamo sul pullman di ritorno da una gita. La mia migliore amica Guizzo Simonetta mi dice che ha da fare la pipì. Le dico di resistere, tanto mancano pochi metri alla scuola. Lei mi dice che non ce la fa proprio più, ha la faccia stravolta e sta per farsela addosso. Non so proprio cosa fare, già mi viene da ridere. Il pullman si ferma davanti alla scuola, scendiamo e lei mi chiede di accompagnarla fino al bagno.
«Se proprio devo…».
«Devi!».
Cominciamo a correre con gli zaini e tutto il resto. Percorriamo il vialetto tra i due prati, la maestra ci dice di andare piano ma chissenefrega, la Guizzo si stava pisciando addosso! Lei era sempre più disperata e gialla, io sempre più disperata e rossa. Era la mia migliore amica: se se la fosse fatta addosso e io fossi scoppiata a ridere, avrebbe capito che non potevo farci niente? Se la fece addosso – a un centimetro dalla porta del bagno! –, io scoppiai a ridere e lei non capì. Tra le lacrime, tutta inzuppata di pipì da lì sotto ai piedi, mi disse che non sarebbe mai più stata la mia migliore amica. Non smisi di ridere neanche a quel punto. Pensai che avevo bisogno di una migliore amica più spiritosa.
Un giorno la Casolari Margherita si ritrovò per sbaglio a fare una spaccata sul pavimento senza aver mai preso lezioni di danza artistica né avendo intenzione di farlo. Si rialzò dolorante, tentando di ricongiungere i piedi che erano inevitabilmente a papera. Quando mi vide ridere, scoppiò a ridere anche lei. A quel punto capii che saremmo state sorelle per sempre.
‎lunedì ‎29 ‎agosto ‎2011, ‏‎0.31.36 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTINOVE

La peggior figura di merda della mia vita fu al saggio di pianoforte. Si esibirono un concertista di fama internazionale, il pronipote di Mozart, un enfant prodige di tre anni, le fighissime allieve del conservatorio. Ma che bisogno c’era di inserire nel programma anche la sottoscritta? Fu la mia insegnante Caprotti Amalia a volere la mia esibizione. Sadismo? Sete di vendetta? Arrivai a pensare che dovevo averle fatto qualcosa di male in una vita passata. Lei sosteneva che il pezzo fosse facile facile. Sì certo, per una che sa suonare il pianoforte era un pezzo facile facile. Ma per me che avrei avuto bisogno di un corso intensivo anche solo per stare seduta sul seggiolino con la schiena dritta, poteva trattarsi di un suicidio.
Così fu.
Quando il mio nome fu pronunciato dal gran cerimoniere, il pubblico stipato nella Sala della Cultura aveva le orecchie talmente deliziate dalle sinfonie di chi mi aveva preceduto che se mi fossi limitata a scoreggiare mi avrebbero comunque applaudito. Invece presi l’incauta decisione di raggiungere – tremando come colta da un attacco giovanile di Parkinson – il pianoforte, di appoggiare le mie chiappe stritolate da un’indomabile centrifuga sul seggiolino e di darmi un’aria da musicista. Impiegai qualche secondo di troppo a sistemare gli spartiti sul leggio. Calò il silenzio: il pubblico assaporava la minuzia con cui stavo preparando la mia performance, in realtà le mani mi tremavano talmente tanto da non riuscire a mettere dritto un cazzo di foglio. Per raggiungere i pedali del piano tirai in avanti il seggiolino provocando uno stridio che regalò molto alla scena.
Ero fottuta.
Mi arrotolai le maniche della camicia, i polsini stringevano talmente tanto che il sangue smise di circolare lungo gli avambracci. Il gran cerimoniere mi fece cenno di cominciare. In sala non volava una mosca, potevo avvertire i conati di vomito metafisici di mia madre e l’anteprima del pallore che avrebbe manifestato ogni volta che qualcuno in paese le avesse fatto menzione di quella serata. Lei e la Caprotti, oltre alla mia disperata coscienza, erano le sole a sapere come sarebbe andata a finire. Partii con un do, lo amplificai col pedale che fa rimbombare le note e in genere attenua i disastri. Non nel mio caso (sbronzissimo pedale). Pronti via il piede scivolò con un tonfo e al re l’effetto rimbombo era già svanito. Percepii con chiarezza il movimento neurologico di mia mamma deputato alla fuga. Scoprii più tardi che avrebbe dovuto innalzarsi in volo sopra cinque file di signore impellicciate, quindi rinunciò e assistette alla Caporetto musicale di sua figlia.
Il pezzo faceva di per sé cagare: la scala fatta con la destra avrei dovuto farla anche con la sinistra e via dicendo. Arrivata non so come – ma di sicuro orrendamente – alla quarta scala, decisi che la Caprotti poteva essere soddisfatta e che l’espiazione dei peccati della mia vita passata e delle quattro precedenti poteva dirsi conclusa.
Mi alzai e me ne andai.
L’applauso non partì subito, però partì, accompagnato da un brusio. Mentre tornavo al mio posto, notai che mia mamma prese le distanze dalla mia sedia scostandosi sulla destra e creando con la mano una specie di barriera protettiva sulla faccia, neanche fossi un’untrice. Quando imboccai la fila col mio posto, tentai di scavalcare le gambe ciccione di una vecchia. Tremavo talmente tanto che, sollevato un piede, persi l’equilibro e finii a pelle di leone tra le braccia della signora che non sembrò gradire.
Dalla fila dietro sentii dire: «Allora è vero che nel programma hanno inserito anche una ritardata della San Paolo».
Al saggio dell’anno dopo non mi presentai.
‎mercoledì ‎24 ‎agosto ‎2011, ‏‎22.53.41 | RobertaRossiGo to full article
PICCOLO SPAZIO (AUTO)PUBBLICITA'

COPERTINA LIBRO ALPINIRoberta Rossi è nata a Monza nel 1976. Laureata in Lettere Moderne presso l’Università Cattolica di Milano, scrittrice e giornalista, vive a Roteglia (RE) con Cristian e la figlia Nicole. Già autrice di Storie di Boccassuolo, Storie di Vitriola, del romanzo Lasciami andare. Ritornerò (Incontri Editrice) e di Sassuolo nel Pallone (Artestampa), è direttore (ir)responsabile di Edizioni Terra marique.
www.robertarossi.net
www.edizioniterramarique.com


‎martedì ‎23 ‎agosto ‎2011, ‏‎18.14.23 | RobertaRossiGo to full article
ETA' ADULTA (PIU' O MENO)
E mentre sulla Freccia Bianca, a pochi metri dalla stazione di Modena, un infausto ronzio mi tappava le orecchie e le gambe cedevano facendomi ritrovare semi distesa, ovvero semi svenuta, sul mio stuolo di valigie, la cosa che più mi ha avvilita è stato l'esordio della domanda di un ragazzo premuroso: "Signora, tutto bene?". "Tutto bene un cazzo!" avrei voluto urlargli. "Avrai sì e no un anno meno di me, tredici mesi al massimo, e solo perché ti vesti come Lady Gaga e non hai mai visto una puntata di Happy Days, ti senti in diritto di rivolgerti a me come se fossi tua madre. Signora a chi? Vedi una fede al dito? Ti sembra che indosso un completo Chanel o una pelliccia di ermellino? Quindi rifolmula la domanda cominciando con Ragazza appena incamminatasi verso l'età adulta, oppure Fanciullina nell'animo e sul volto senza l'uso di photoshop eccetera eccetera". Ma a quel punto il capotreno mi stava facendo una doccia con una bottiglietta d'acqua gelata, quindi non andai oltre un tremolante "Sì, meglio". Il fatto è che tra un paio di settimane compirò trentacinque anni. Oh mio dio. Trentacinque non sono uno scherzo, la gente si aspetta da te che ti comporti come un'adulta, che sappia cosa sia un fido bancario e che nel tuo frigorifero ci siano almeno cinque oggetti diversi - e commestibili. Invece quando rispondo al telefono la tipa della Telecom mi chiede se posso passarle i miei genitori e mia figlia mi rimprovera quando dico le parolacce. Non mi sento pronta per i trentacinque, non ho ancora letto il libro delle istruzioni e francamente il mio ombelico comincia a scomparire tra i rotoli di ciccia. Va bene, ci deve per forza essere una soluzione: mentire sul mio anno di nascita. Potrei scalare di uno, ma dubito che nel corso di un solo anno le cose andrebbero a posto. Allora scalo di tre e d'un soffio mi ritrovo a dover compiere trentadue anni. Ecco, mi sento meglio nei panni di una quasi-trentaduenne, la faticosa scalata verso l'età adulta è lontana e posso ancora far passare la mia incapacità di accedere alle porte automatiche della banca come una graziosa sbadataggine, piuttosto che un ritardo mentale. Non sono una cima in matematica, quindi meglio se mi metto avanti con il cambio date: ho iniziato a convivere con il mio fidanzato a ventidue anni (quando mi facevo da sola i buchi alle orecchie con gli spilloni); abbiamo comprato casa quando di anni ne avevo ventisei (e credevo che bastasse andare al Bancomat per avere in regalo dei soldi); mia figlia l'ho avuto a ventisette anni (quando nel nostro frigo c'era solo la menta per il mohito). In effetti l'unica decisione sensata della mia vita è stata quella di non bruciare le tappe: con tre anni in più di esperienza per ogni momento e cambiamento significativo ho evitato di presentarmi al rogito con un orecchino di osso di drago a penzoloni dal naso, di comprare casa senza tirare in ballo i soldi del Monopoli e di crescere mia figlia sana evitandole un paio di antiestetiche orecchie da folletto. E se adesso avessi trentadue anni, entrando nel mio ufficio la gente potrebbe scambiarmi per la ragazza sì, ma delle pulizie. Quindi lasciamo le cose come stanno, sicura che al momento del fatidico gong mi sentirò la solita dei pre-trentacinque e continuerò a indossare la mia maglietta preferita convinta che nessuno noti gli aloni gialli sotto le ascelle.
‎martedì ‎23 ‎agosto ‎2011, ‏‎11.02.20 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTOTTO

Il pediatra aveva vietato ai miei di mandarmi all’asilo. Troppi batteri, troppi virus per il mio fisico da mammoletta. Rimasi in balia delle mie nonne e delle loro televisioni. Divenni teledipendente passiva.

Nel salotto della nonna Checca fui visitata da tutti i dottori di General Hospital, imparai con orrore cos’è un’isterectomia, ma scoprii che con le giuste cure si posso fare ottimi progressi; appresi i sotterfugi di Vanessa Chamberlain, mi sposai quattro volte, ma divorziai solo due – per fortuna la bigamia è ammessa in tutte le telenovelas. Più avanti arrivò Beautiful e gli eccessi coniugali superarono il limite. Anche quel limite a cui mia nonna si era per forza adeguata.
«Nonna, chi è quella lì?».
«Una vacca».
«Con chi è sposata?».
«Con Ridge. E con il padre di Ridge. E va con il fratello di Ridge. Che è anche l’altro figlio del papà di Ridge».
«Che vacca!».
«Appunto».
A mia nonna Lina non piacevano le telenovelas. Lei era più una da quiz e un sacco di volte abbiamo visto insieme Bis. Non ci ho mai capito una mazza. E trovavo una bella sfiga vincere quattro racchette da tennis, uno skateboard e otto paia di pattini a rotelle se hai settant’anni e non puoi permetterti di romperti il femore. Ci piaceva Happy Days, io facevo Fonzie, con la moto per finta e il giubbotto di pelle per finta. Una volta caddi dalla moto per finta, la nonna Lina mi bendò dalla testa ai piedi. Per davvero! Le dissi di portarmi al General Hospital, ma lei rispose che i duri non vanno mai all’ospedale e si rimettono in piedi da soli. Poi stava cominciando una nuova puntata di Bis, quindi non potevamo proprio andare all’ospedale.
‎martedì ‎23 ‎agosto ‎2011, ‏‎10.59.18 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTISETTE

Mia nonna Checca con mio nonno Felice non ha mai parlato. Lei urlava. Hanno sempre abitato sotto casa nostra e io ho sempre sentito le loro liti, parola per parola. Solo la versione di mia nonna, a dire la verità. Perché mio nonno si limitava a non parlare. Quindi la nonna Checca andava avanti finché aveva argomenti in canna e fiato nei polmoni. Intanto cucinava, apparecchiava, mangiava, dava da mangiare a mio nonno, beveva, aspettava che mio nonno bevesse il suo bicchiere di vino, sparecchiava, lavava i piatti, li asciugava, li metteva via oppure li lasciava sopra il lavandino, preparava il caffè per lei e per mio nonno, lo beveva, aspettava che lui lo bevesse, gli dava una brioche, aspettava che lui la mangiasse, buttava via la carta, passava la scopa e ancora urlava. Finché mio nonno si addormentava con la testa china sul tavolo e iniziava Sentieri. Allora mia nonna taceva perché doveva guardare Sentieri.

Una volta sentii l’acqua scendere dal lavandino della cucina: era l’ora del pranzo e della baruffa. Cominciò il borbottio di mia nonna, poi si sentì un gran tonfo e nient’altro. Feci le scale di corsa: temevo che mio nonno l’avesse accoppata. Anche se era più verisimile che lei avesse accoppato lui, vista la grinta. Invece erano entrambi vivi: mio nonno mangiava il suo risotto giallo, mia nonna era china per terra a raccogliere i pezzi scomposti della moka. Mugugnava debolmente. In pratica funzionava così: se mio nonno la faceva arrabbiare – non si sa per cosa visto che non l’ho mai sentito parlare – mia nonna tirava fuori la voce e si sfogava. Se si faceva arrabbiare da sola, implodeva e scagliava oggetti per la casa. Comunque sempre incazzata era.
Finché mio nonno raggiunse i novanta. Stanco, si chiuse nel suo mondo fatto di paure e di immagini che non ho mai potuto comprendere. Una volta stava riposando sul divano. Si alzò di scatto urlando «Il bambèn, il bambèn*, il fuoco!», indicando col dito un angolo del salotto. Personalmente mi cagai addosso. L’ultima volta che l'ho sentito parlare chiedeva della sua mamma, come un bambino piccolo e spaventato.

*Il bambino

‎martedì ‎23 ‎agosto ‎2011, ‏‎10.52.34 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTISEI

Andammo a vedere Il ragazzo di campagna al cinema di San Terenzo. La scena delle unghie tagliate che schizzavano da tutte le parti, rompendo i barattoli della cucina, mi fece ridere. Anche mia mamma rideva di gusto, nonostante si sentisse sola. Il fatto è che io ero una piaga: non mangiavo, soffrivo di eritema solare, facevo del mio meglio per lamentarmi sempre. Sempre! Una volta venne in vacanza con noi la Baby, che aveva sette anni più di me e le tette: mi innamoravo di tutti i suoi nuovi amici, anche di quelli orrendi, ma lei non mi voleva tra i piedi. Quindi mi lamentavo. Un’altra volta venne in vacanza con noi mio cugino Matteo, che faceva sempre come voleva lui. Quindi mi lamentavo. Non so per quale motivo, un pomeriggio mia mamma gli diede una sberla e il sangue cominciò a scendergli dal naso. Mio cugino pianse – pianse perché non era un duro. Lacrime e sangue. In quel momento mia mamma capì di amarlo come un figlio, quel figlio che le è sfuggito dalle mani prima ancora di comprenderne il dolore.
Poi un anno mia mamma disse: “Quest’estate basta, niente San Terenzo”. Capii che l’infanzia era finita. E che da quel momento mia mamma avrebbe preso in mano la sua vita.
‎lunedì ‎25 ‎luglio ‎2011, ‏‎22.41.39 | RobertaRossiGo to full article
‎lunedì ‎11 ‎luglio ‎2011, ‏‎18.46.57 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTIQUATTRO

La mia Saltafoss rossa cominciò a esercitare un’attrattiva sui miei cugini e i loro amici dalla prima volta che la chiusi col lucchetto. Mi aveva detto di farlo mio papà, dopo che aveva visto mio cugino Nicola farci un giro per il cortile. Mio cugino Nicola aveva sempre qualcosa di rotto, una gamba, un braccio, una gamba e un braccio. Quando non era ingessato, cercava il modo di procurarsi una qualsiasi frattura. Mio papà mi disse che se non volevo che un maschio salisse sulla mia bicicletta e la rompesse insieme al suo femore, dovevo metterci il lucchetto. Ne avevo uno con la combinazione, l’importante era che me la ricordassi.
Feci una pedalata per il cortile dove gli altri stavano giocando a calcio. In sella alla mia Saltafoss non suscitai il minimo interesse, neanche fossi invisibile. Fui costretta a schivare un paio di pallonate, forse ero davvero invisibile. Mi ritirai in garage, appoggiai la bici al muro e CLIC CLIC CLIC.
Fu una specie di richiamo primordiale, una sfida che catapultò i maschi nel mio garage. Io continuavo ad essere invisibile, la mia Saltafoss no.
«Pensa che qualcuno gliela ruba?».
«Tanto non gliela tocca nessuno. È una bici di merda».
«Però è rossa».
«Però è bassa».
«Basta alzare la sella».
«E aprire il lucchetto».
Ah ah ah! Ero in una botte di ferro. La combinazione non la conosceva nessuno, la bicicletta era al sicuro, sana e sal…
CLIC CLIC CLIC.
«Io sono il primo a farci un giro».
«Io secondo».
«Terzo».
«Quarto».
«Quinto».
«Poi ricominciamo da me».
«Secondo».
«Terzo».
«Quarto».
«Quinto».
Non sapevo che tra gli amici dei miei cugini ci fosse un mago dello scasso. Dovevo solo trovare il modo per dirlo a mio papà.
‎lunedì ‎20 ‎giugno ‎2011, ‏‎22.54.21 | RobertaRossiGo to full article
IDEA GENIALE
Sto lavorando a un esperimento scientifico di matrice entomologica (?) che avrà delle conseguenze sensazionali: sto modificando geneticamente le zanzare in modo che, invece del sangue, succhino la cellulite. Evvai!
Ho ancora qualche difficoltà col pungilione, che nei miei piani dovrebbe essere grande come la proboscite di un elefante in modo da risucchiare di un botto tutto il grasso della vittima. Un altro problemuccio riguarderebbe l'abbattimento della zanzara elefantesca rigonfia di cellulite, ma ci penseremo in seguito.
Comunque tranquille, vi tengo aggiornate sugli eventuali sviluppi.
Ps. Il nome scientifico della zanzara è Culex pipiens: speriamo solo che non disdegni le ragazze...

‎giovedì ‎16 ‎giugno ‎2011, ‏‎2.18.08 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTITRE

Ho avuto uno shock quando ho scoperto che mia nonna non si chiamava Nonna Checca, ma aveva un nome di battesimo vero e proprio.

«Nonna Francesca chi?», risposi al signor Almo che mi chiedeva sue notizie mentre giocavamo a dama.
«Nonna Francesca tua nonna»
«Mia nonna si chiama Nonna Checca», insistetti io con voce tremante.
«Ah ah ah. Non te l’hanno mai detto che Checca sta per Francesca?». E intanto si mangiò tre dei miei pedoni e vinse la partita.
In effetti no, non me l’aveva mai detto nessuno.
Su un sacco di cose non sono stata avvisata. Per esempio sulla falsa esistenza di Babbo Natale, cosa che mi vanto di averla scoperta da sola.
E poi nessuno mi ha mai avvisato sul fatto che annusare la colla è come drogarsi. Non ho fatto altro per tutte le elementari, mi sono strafatta di Vinavil non solo nelle ore dei lavoretti, ma anche a ginnastica, perché in effetti mi rendevo conto che, dopata di colla, le capriole mi venivano meglio.
E perché nessuno mi ha detto che per vivere bisogna guadagnare? Io questa cosa non l’ho mai assimilata. Una volta dissi a mia mamma che aveva finito i soldi in contanti di andare al bancomat a farseli dare: tanto quello te li dava sempre.
Mi è sempre sembrato ingiusto privarmi della possibilità di comprendere le vere differenze tra femmine e maschi e di rendermi conto che questi ultimi hanno tutte le fortune: perché nessuno mi ha spiegato che non siamo tutti uguali? Per esempio, all’aria aperta, quelli pisciano in piedi ed è fatta; noi invece dobbiamo acquattarci come rane e sperare in un fiotto dritto e potente, onde evitare di deviare all’improvviso e inzupparci le scarpe; che tanto poi ce le inzuppiamo lo stesso, perché il fiotto provoca schizzi a girandola e non siamo tutte dotate dell’apertura di gambe di una ginnasta.
Poi quelli possono ruttare e scoreggiare liberamente: io una volta ho scoreggiato per sbaglio in palestra, mentre mi piegavo per le flessioni. Le mie compagne, piene di pietà, hanno tirato fuori le motivazioni per quel rumore che NON POTEVA ESSERE quello che invece era:
- scarpe scricchiolanti
- pavimento instabile
- rottura del laccetto del reggiseno (che non indossavo, non esistendo all’epoca il modello imbottito)
- contrazioni peristaltiche dello stomaco, ovvero fame
- colon irritato
- e via dicendo
finché esasperata dissi: «Ho scoreggiato, va bene? Sono una femmina e scoreggio. La sentite la puzza? È come quella che fanno i maschi».
La maestra di ginnastica fu avvisata e fui messa in punizione. Cosa poteva saperne lei della mia lotta silenziosa contro le discriminazioni sessuali? Per la mia scoreggia oltraggiosa fui punita insieme ad altri due maschi, ai quali la maestra aveva perdonato i peti, ma non il tentativo di uccidersi a vicenda: dovevamo riordinare gli attrezzi della palestra. Mi ritrovai a trascinare i materassini, a tentare di spostare il cavallo, a recuperare il solito ritardato che si era incastrato sul quadro svedese, mentre quei due si tiravano giù le mutande l’un con l’altro. Con la forza residua, sollevai la palla medica e la lanciai in direzione di uno dei due, colpendolo sulla testa. Per molto tempo mi sono sentita rinfacciare il suo metro e cinquantanove: perché nessuno mi aveva mai avvisato che la palla medica in testa può causare il blocco della crescita?

‎giovedì ‎16 ‎giugno ‎2011, ‏‎2.12.46 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTIDUE

L’estate mi piaceva sentirla sulla pelle, umida e soffocante, limpida con tutti i colori in evidenza. Non serviva vestirsi più di tanto, una maglietta e i pantaloncini, le scarpe di gomma che andavano bene per camminare sugli scogli, ma io le usavo anche sull’asfalto. Adoravo i miei ghiacciolini di plastica trasparente, sul dorso di ciascun piede mi è rimasto marchiato a vita il segno dei laccetti arrugginiti. Molto meglio di un tatuaggio maori: sul dorso di ciascuno dei miei piedi c’è impressa la mia storia.

Sulla suola dei ghiacciolini si formava una pozzetta di sudore, trattenuta dai bordi a conca. Dai lati aperti entravano polvere, terriccio, detriti, fili d’erba, lucertole. Prima di andare a letto, nei miei ghiacciolini aveva preso vita un mondo vivace e pieno di sorprese che non mi faceva mai sentire sola.
Una volta tentai con un look più aggraziato e il risultato fu umiliante. Mia mamma chiese al tizio del negozio di farmi provare un paio di zoccoli rossi con un cestino di frutta appiccicato in punta. Una specie di terapia d’urto per avviarmi sul lungo cammino della vanità. Il negoziante scosse la testa. Mia mamma insistette, ma quello sembrava irremovibile.
“Signora, non vede che sono scarpe da femmina? Suo figlio non merita un trattamento simile, si vergogni”.
Stronzo di un negoziante sessista e imbottito di luoghi comuni. Avere i capelli corti, indossare una maglietta e un paio di pantaloncini che ricordano la divisa degli omini del subbuteo, togliersi le scarpe e mostrare il sottobosco di liquami e licheni custodito come un tesoro, significa per forza ESSERE MASCHI? E poi perché comprare a una femmina un paio di scarpe da maschio è socialmente accettato, mentre comprare a un maschio un paio di scarpe da femmina suona peggio di una bestemmia o di un oltraggio al buon gusto e alla decenza? Da quel momento, sviluppai un forte senso anti-maschilista e decisi di passare per un maschio che comprava roba da femmina. Mi feci tagliare ancora un po’ i capelli dal mio papà-mani-di-forbici e tornammo al negozio di scarpe. Fui irremovibile: mia mamma, nonostante le resistenze del negoziante, di tutte le commesse e del suo pudore che l’aveva fatta arrossire di vergogna, mi comprò gli zoccoli rossi col cesto di frutta in punta (che mi facevano cagare, ma vabe’). Per assolvere alla mia opera provocatoria, le abbinai alla solita maglietta e al solito paio di pantaloncini da subbuteo. Mi trasformai in un MASCHIO STRANO.
Il rossore di mia mamma rimase intatto fino alla mia adolescenza, virando sul melanzana in più di un’occasione, finché divenne verdognolo davanti al mio orecchino nel naso.
‎giovedì ‎16 ‎giugno ‎2011, ‏‎2.04.30 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTUNO


Nell’85 nevicò tanto che sembrava di vivere in una palla con la neve: sopra o sotto non faceva differenza, i fiocchi scendevano e salivano senza sosta. La meraviglia del paesaggio davanti casa, bianco e ovattato, si mescolò alla gioia per la scomparsa della scuola.
Era gialla e si sarebbe vista da qualche parte, al di là della strada, oltre i prati, dove era sempre stata. Invece era scomparsa per davvero, al di là della strada scomparsa, oltre i prati scomparsi, dove non c’era più.
Evviva! Tornai a letto, godendomi lo spettacolo della grande nevicata dalle finestre della mia stanza, al calduccio. Mia mamma, già vestita e truccata per l’ufficio, disse che avremmo potuto scavare un cunicolo sotto la neve per raggiungere la scuola, che a ben vedere, secondo lei, non era poi così scomparsa. Insomma, secondo lei da qualche parte doveva pur esserci, laggiù in fondo. Se no non si spiegava il fumo che saliva in mezzo al cielo. Sbiancai come un pupazzo ghiacciato. Per certe cose mia mamma è un po’ fanatica, ma non pensavo che la mia istruzione le stesse così a cuore, al punto da infilarsi i Moon Boot e la giacca vento, impugnare la pala e scavare un tunnel dall’ingresso di casa alla porta della scuola. Infatti non lo fece, ma solo perché si era ricordata che i Moon Boot le costringevano i piedi e i polpacci in eccessi claustrofobici.
Allora si tolse la giacca e la gonna, si rimise il pigiama e si infilò nel mio lettuccio, accanto a me. La mia mamma accanto a me, nel mio lettuccio, per un’intera giornata! Avrebbe cucinato per me, avrebbe fatto i compiti al mio posto, avrebbe ricucito i bottoni del mio maglione dopo averli io stessa scuciti uno a uno. E poi ci saremmo infilate io i Moon Boot rosa e lei i mocassini per sfidare le strade innevate e andare da qualsiasi parte, io e lei, la mia mamma, profumata di crema da giorno Collistar, col pigiama pieno di nuvolette bianche e rosse e il trucco da lunga giornata in ufficio, tenuta estrema, fard da “qui comando io” e ciglia impiastricciate alla viva il parroco di mascara.
Fu chiaro che i piani dovevano essere rivisti non appena mio papà rientrò dal lavoro, più o meno nelle stesse condizioni di Reinhold Messner sul Nanga Parbat. Negozi chiusi, frigo vuoto, niente cibo. Ci saremmo mangiati a vicenda come in Alive, solo che noi potevamo contare sul forno.
Ma ci avremmo pensato più tardi: era metà mattina, nevicava ancora e io volevo uscire. Ci ritrovammo nel giardino della scuola, io, i miei cugini e i soliti che bazzicavano lì intorno.
Oddio non so come ho fatto a non sprofondare in quella montagna di panna che aveva ricoperto e reso splendente, soffice e ingombrante qualsiasi cosa intorno a me. Non so quante volte abbiamo lasciato le nostre sagome impresse nel manto bianco, quasi dispiaceva aprire e chiudere le braccia e le gambe distruggendo la candida perfezione della superficie. Ma bastava attendere che i fiocchi scendessero ancora, sempre più numerosi e grossi, e si posassero tra i confini disegnati dai nostri corpi avvolti come salsicce nelle tele impermeabili.
Qualcuno aveva il bob, rosso fiammante, con i freni e qualche adesivo sul fianco. Qualcuno usava i sacchetti della spazzatura, idea del cavolo. Tutti scendevano giù per il burrone, tra il bordo del prato e l’accesso alla palestra.
Mia mamma mi aveva già ripetuto sessantasette volte “Andiamo a casa o ti verrà la febbre”, io avevo fatto i debiti scongiuri, ma sapevo che non sarebbero bastati. La convinsi a restare per vedere un altro paio di discese, poi promisi che mi sarei fatta infilare il termometro dove reputava più opportuno per verificare la potenza delle sue premonizioni iettatrici. Scesero Matteo, Nicola, Corrado e poi ce ne andammo davvero, senza il tempo di vedere la discesa di Marco. Mia mamma aveva gufato abbastanza sul mio stato di salute, era ora di ritirarsi.
Seguirono altri giorni di neve, ma mai belli come quel primo, inatteso e spensierato. Di lì a poco ci trovammo a sperare che smettesse di nevicare, primo perché mio papà, obiettivamente, non aveva né il fisico né l’attrezzatura per sfidare ogni giorno il Nanga Parbat. Poi perché mia mamma, a casa dal lavoro senza far niente – né cucinare, né farmi i compiti, né tantomeno cucire –, stava impazzendo e giurava di aver visto in lontananza un mammut. Poi perché il dottore faceva fatica a venire a casa nostra per valutare se mi occorressero tre o quattro supposte al giorno di Fluental per la mia bella influenza. Infine bisognava andare a trovare Marco, che dopo essere sceso in picchiata giù dal burrone col culo sul sacchetto della spazzatura, si era fermato con la faccia contro la porta della palestra, sfondandone il vetro. Dissero che era sceso troppo velocemente. Ai più sembrò un tentativo di suicidio, ma solo perché non lo conoscevano bene e non sapevano che spesso sbagliava traiettoria. E così finirono anche le discese lungo il burrone, che dopo la neve tornò verde e dimenticato.
‎venerdì ‎27 ‎maggio ‎2011, ‏‎2.44.06 | RobertaRossiGo to full article
PAROLE. LE MIE
Sono di un altro mondo
perché di questo non condivido le logiche.
Cerco complici e mi procuro nemici.
Taglio i rami secchi e il mio bellisssimo Ficus mi abbandona, divorato dai pidocchi.
Racconto storie come necessità, come mangiare pane quotidiano.
E mi sento dire che tanto la gente se ne frega
che tanto la gente è ignorante
che tanto la gente al massimo è interessata a sapere se sul fronte russo si mangiava di più o di meno che sull'Isola dei famosi.
Mi tormento, mi addoloro, perché chi ha i mezzi li spreca, anzi li deturpa,
e non si accorge di tutte le potenzialità calpestate.
Mi rattristo, mi avvilisco.
Ma poi qualcuno mi dice: "Hey, non sei tu ad aver sprecato un'occasione. Sono loro".
Allora ringrazio, un po' meno triste.
E penso a tutte le cose di cui val la pena esser fieri.
L'onestà.
La forza in quanto tale, seppur silenziosa e poco appariscente.
I consigli del passato che fanno eco nel presente, ovunque intorno a me.
Il caldo boia del mio ufficio, la luce che entra dalle ventun finestre, la buca delle lettere vuota (nessuna bolletta in vista, evvai!).
La poltrona Ikea che regge oltre ogni aspettativa.
Centoun centimetri x quattordici chili che mi tengono in pugno e si commuovono per il finale stupido del Medico in famiglia e mi dicono senza preavviso "Mamma ti adoro" (così mi commuovo anch'io).
Perché se amassi il mio amato lavoro almeno un quarto di quanto amo i miei centoun centimetri x quattordici chili - ovvero la misura di tutte le cose, la mia dimensione, la mia gioia - sarei una scrittrice di successo.
Ma non sarei la donna che sono adesso,
orgogliosa della mia forza silenziosa e poco appariscente,
convinta che il mio Ficus infestato dai pidocchi tornerà più bello e rigoglioso di prima.
‎domenica ‎22 ‎maggio ‎2011, ‏‎23.46.47 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
VENTI

Mi piacevano le penne col pomodoro. Un quarto di porzione al massimo, mezza andare bene. Ma le foglie di basilico dovevano sparire, anzi non dovevano proprio esserci. Perché a me il verde vegetale ricordava le alghe.

Non mangiavo nient’altro e lo sapevano tutti, compresa la cuoca dell’albergo Mulino che era anche la moglie del signor Almo. Il signor Almo lo sapeva più di tutti, visto che mi portava il piatto pieno e lo riportava via tale e quale.
Il pesce aveva le lische quindi neanche a pensarci.
La carne bisognava masticarla, invece io mi limitavo a rigirarla in bocca un paio di volte prima di sputare il malloppo in un angolo del parcheggio, dietro al Mulino.
Mi aveva dato il permesso una volta mia mamma e da allora era diventata una prassi. Secondo mia mamma era un buon sistema per farmi ciucciare e ingoiare qualche proteina, senza sorbirsi ogni volta i miei conati di vomito. Nell’angolo in cui sputavo, si era formata una collinetta di ciccia umidiccia. Finché i cani e i gatti della zona se ne accorsero e cominciarono a nutrirsi delle restanti proteine.
Mia mamma era esasperata dal mio modo esasperante di approcciarmi al cibo. Diceva che se da grande avessi fatto la dieta, mi avrebbe preso a sberle. Per risparmiarle la fatica, quando mi metto a dieta, mi sculaccio da sola.

«Roberta, mangia».
«Non mi va».
«Dài, mangia».
«No».
«Se mangi ti compro una piscina».
«Non so nuotare».
«Allora se mangi ti pago il corso di nuoto e poi ti compro una piscina».
«Gonfiabile?».
«Sì sì, certo!».
«Allora no. Non mangio».
«Ti prego. Ti supplico. Ti scongiuro».
«Mmm fammi pensare… No».
«Per favore, cosa ti costa? Un’altra forchettata, dài».
«Non mi va».
«Vuoi morire di fame? Pensa ai bambini africani, pensa a loro, poverini».
«Uff. Ma loro hanno sempre fame, io no».
«Roberta, adesso basta. Mi sono rotta le scatole. Chiamo il signor Almo e gli dico di portare via tutto. Signor Almo? Signor Almo? Glielo dica lei di mangiare. Dài, Roby, fallo per la mamma. Mangia, ti prego».
«Noooooooo».
«NON NE POSSO PIÙ, adesso mi arrabbio sul serio!».
«Mamma, ma lo sai che sei più bella quando ti arrabbi?».

A quel punto, tra le risatine e un accenno di applauso da parte degli altri villeggianti, il signor Almo portò via la porzione quasi intatta di penne al pomodoro e arrivò con una bella coppa di gelato, limone e fragola, più una ciliegina sciroppata (che non mangiai).
‎domenica ‎22 ‎maggio ‎2011, ‏‎23.41.37 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
DICIANNOVE

La prima volta che ho ingoiato per sbaglio una cicca credevo che non sarei sopravvissuta. Con tutta certezza era una Brooklin bianca, lunghissima. Talmente lunga che ero sicura non mi avrebbe dato scampo. Eravamo a una festa di paese, non saprei dire dove di preciso, ma ricordo il classico giostraio con le vaschette dei pesci rossi e le palline per fare centro. E l’orchestra, una mazurca o giù di lì. Ero con mio papà. Quando la cicca andò giù, trattenni il fiato stando in attesa di qualcosa di orribile. Rischiai l’apnea. Ripresi a respirare in affanno, tirai debolmente la tasca dei pantaloni di mio papà.

«Cosa c’è?».
«Aiuto».
«Cosa? Perché piangi?».
«Non lo so».
«Come non lo sai?».
«Ho mandato giù la cicca».
«Be’ non c’è bisogno di piangere. Ne vuoi un’altra?».
«Ma non respiro più».
«A me sembra che respiri».
«Invece no».
«Perché piange?».
«Ciao Luca! Piange perché ha mandato giù una cicca».
«Ah. Tanto non succede niente. Se vuoi la mando giù anch’io».
«…».
«Aspetta. Glu. Ecco, vedi che non succede niente?».
Sorrisi debolmente a quel bambino che secondo me era un aspirante suicida. Più che un sorriso il mio era un ghigno pre-morte. Cinque minuti e cinque mazurche dopo, nonostante gli incoraggiamenti di papà che continuava a dirmi che al massimo avrei scoreggiato bolle alla menta e di Luca che pur di rassicurarmi avrebbe ingoiato tutti i pesci del giostraio, temevo che da un momento all’altro avrei cominciato a rantolare per terra sulle note di “Romagna mia”. Sopravvissi, ma da allora doveva essere chiaro che l’ansia mi avrebbe perseguitata più di mille Brooklin bianche andate di traverso.
‎lunedì ‎9 ‎maggio ‎2011, ‏‎1.17.02 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
DICIOTTO

Per fortuna mia mamma è sempre stata cicciottella. Non mi sarebbe piaciuta una mamma magra, non per quell’idea di abbraccio morbido che lei mi ha sempre regalato. Il pigiama colorato di nuvole, il profumo di crema da notte, i suoi occhi stanchi ma pieni di tenerezza.

«Buonanotte mammina».
«Buonanotte tesoro, bambino mio d’oro. Tranquillo riposa, scordando ogni cosa».

‎lunedì ‎9 ‎maggio ‎2011, ‏‎1.13.41 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
DICIASSETTE

I castagni del parco, a ridosso del campo da golf da una parte e dell’autodromo dall’altra, erano pieni di frutti pungenti.

Lunedì pomeriggio:
Io: «Ahy».
Mio papà: «Pallina da golf o riccio?».
Io, piagnucolando: «Riccio».
‎domenica ‎24 ‎aprile ‎2011, ‏‎11.17.40 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
SEDICI

Sacrosanta verità post-contadina:
I dané fan danà.
Ma sa ga son no
fan crepà.


‎domenica ‎24 ‎aprile ‎2011, ‏‎11.13.22 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
QUINDICI

Avevamo una 500 cabrio color panna con la capotte nera. Una figata! Papà apriva il tettuccio e mi portava in giro per Vedano, senza andare da nessuna parte. Salutavo le vecchiette che ridevano ai piedi del sagrato della chiesa. L’aria mi prendeva a schiaffi, anche se andavamo veramente piano. Si andava più veloci lungo la discesa del parco e poi più piano all’imbocco del cancello, quando ormai i moscerini avevano nidificato sui miei capelli a spazzola e impiastricciati di gel. Sognavo di andare in pista, ma ancora di più in sopraelevata su due ruote, dove un tempo Fangio e gli altri si davano battaglia. Non ci hanno mai fatto oltrepassare i cancelli della strada che costeggia Villa Litta, figuriamoci l’autodromo. Allora tornavamo su, fino alla piazza Bonfanti, senza una meta precisa. A quel punto papà mi faceva mettere seduta, di moscerini ne avevo mangiati abbastanza. La 500 ha preso fuoco una volta che l’abbiamo prestata a mia cugina. Da allora non ho più prestato niente, a eccezione di un cotton fioc usato (non dirò a chi neanche sotto tortura).
Abbiamo comprato una 126 color mattone, senza tettuccio e senza l’optional moscerini. Una vera noia. Però a papà piaceva guidarla, con le sue gambe lunghe credevo che si sarebbe attorcigliato ai pedali. Con la 126 mi portava ovunque, avanti e indietro da scuola, alle medie, e poi fino al liceo, a Monza. Le mie compagne fighette storcevano il naso, per loro esistevano solo la Golf e un qualunque BMW. Allora papà smise di mollarmi davanti all’ingresso, scaricandomi in una stradina laterale (ottima anche per eventuali bigiate). Comprensivo il mio papà!
Siamo passati a un’anonima Panda grigia e poi, quando fighetta lo sono diventata anch’io, a una Punto Cabrio nera con capotte bianca. Niente a che vedere con la 500 (dove almeno non ci ha mai piovuto dentro) né con la 125, un vero bolide.
Ricordo un viaggio che ci fece fare mio papà dall’oratorio a casa nostra: con noi c’era la mia migliore amica di sempre, la Marghe. Lei è sempre stata un tipo apprensivo, però non le piaceva darlo a vedere. Io ho sempre cercato di proteggerla, anche se non sempre ci sono riuscita. Le lasciai il posto davanti, lì si stava più comodi. Appena salita sulla 126, intravidi il ghigno di mio papà, ma non gli detti il giusto peso. Sbagliai. Tutto bene fino alle prime due curve, dallo stradone fino a via Matteotti. Ma quando girammo a destra e ci trovammo nel drittone di via Europa, sul lungo tratto che costeggia il cimitero, mio papà si piegò un filino in avanti per assumere la posizione aerodinamica e schiacciò a tavoletta l’acceleratore. Ora, capisco che la 126 non poteva superare gli 80 chilometri orari, però toccare i 79 dentro quella scatoletta poco accessoriata ti dava la sensazione di essere sul punto di decollare. Papà persisteva nella sua posizione da aviatore, la Marghe era muta con un pesce, forse un po’ pallida, ma tenace nel non tentare di gettarsi dall’abitacolo. Quando in prossimità della svolta a destra la vidi aggrapparsi a una maniglia inesistente e allungare i piedi nel tentativo di frenare, diedi un coppino a mio papà. Che rallentò. Lo feci per la Marghe, la mia unica e grande amica di sempre. Però mi sarebbe piaciuto un sacco percorrere via Rimembranze su due ruote, come Fangio in sopraelevata.
‎domenica ‎24 ‎aprile ‎2011, ‏‎11.10.03 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
QUATTORDICI

Mia mamma fumava le Muratti bianche. La prima sigaretta che ho fumato è stata una Muratti bianca. Anche il fumo era bianco e tutta la stanza era bianca, a pois gialli e rossi. Non volevo rischiare di non inspirare la mia prima sigaretta, l’ho accesa e ho preso la rincorsa all’indietro, fino a risucchiarmi le guance. I polmoni ne risentirono per mezza giornata.
Mia mamma, prima di andare al lavoro, lasciava sempre qualche pacchetto in giro per casa. Di accendini non se ne trovavano neanche a crepare, mio papà ha da sempre il terrore che mia mamma salti per aria con tutti gli accendini sparsi tra la borsa, il cappotto, le tasche.
Quando andavo a comprare le Muratti bianche, non arrivavo al bancone. Per fortuna il cerchietto mi alzava il ciuffo, così il venditore si accorgeva di me. Diventavo rossa. E con un filo di voce dicevo che le Muratti erano per mia mamma, tanto per sentirmi in pace col mondo. In effetti le compravo per rimetterle nei suoi pacchetti sparsi per casa.
Vuoi mettere il gusto di fumare le sigarette rubate piuttosto che quelle comprate?

‎domenica ‎24 ‎aprile ‎2011, ‏‎11.07.05 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
TREDICI

«Gigino e Gigetto vanno al laghetto».
«Sì».
«Muore Gigino».
«Poverino».
«Muore Gigetto».
«Poveretto».
«Gigino e Gigetto vanno al laghetto».
«Ma non erano morti?».
«Torna Gigino».
«Ah».
«Torna Gigetto».
«Ma…».
«Non vedi che sono tornati? Eccoli qui».
«Ma…».
«Cosa?».
«Ma prima non c’erano».
«E adesso ci sono, vedi?».
«Mmm».
«Te lo rifaccio?».
«Sì. Ma pianino pianino».
«Gigino e Gigetto vanno al laghetto…».

Ero convinta che mio papà fosse un prestigiatore. Un mago! Perché Gigino e Gigetto, ossia due pezzettini di carta appiccicati con la saliva sull’unghia dell’indice e del medio, sparivano davvero, dopo la gita al laghetto. E poi ricomparivano, senza una spiegazione logica. Tutto quello che non era logico era magico. Così fino a quando ho imparato a capire e a non illudermi. E Gigino e Gigetto non sono più spariti. Né tornati.
‎lunedì ‎28 ‎marzo ‎2011, ‏‎0.06.01 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
DODICI

La prima sberla in faccia me la ricordo bene. Una cinquina indimenticabile. Mio papà l’avevo fatto veramente arrabbiare, non voleva che prendessi la rincorsa, saltassi sul cancello fino a farlo schiantare contro il fermo della chiusura e rimbalzare all’indietro, quasi fino al punto di partenza, contro il muro di casa. A me piaceva tanto rimbalzare sempre più forte o forse piaceva solo ai miei cugini e allora doveva piacere anche a me. Mia mamma aveva paura che il cancello uscisse dalle guide e si ribaltasse al suolo con me attaccata alle sbarre verticali. Secondo lei si sarebbe staccato dai ganci, spinto all’indietro, ribaltato di spalle, spiaccicandomi come una formica. Io non sarei morta, ma sarei rimasta in coma. Neanche a pensarci che caso mai il cancello si sarebbe tuffato in avanti e io sarei caduta di faccia, tutt’al più evitando il coma.

«Roberta, scendi giù dal cancello».
«Ancora no».
«Ti ho detto di scendere».
«Un altro giro e scendo».
«Scendi subito prima che…».
«Ma non succede niente».
«…ti ammazzi. Vieni giùùù! Vittorio, tirala giù. Subito!».

Ecco la cinquina. Porca vacca, mi sembra che la faccia mi rintroni ancora. Mio papà ha sempre avuto le mani grandi e forti, che sfiga! Mi sembra ancora di sentire l’odore di nicotina aleggiare nell’aria prima del colpo secco. E l’indice ingiallito dal fumo. Non è che mio papà mi abbia menata parecchie volte, anzi. Però quelle due o tre battezzate me le ricordo bene. A volte penso e mi fermo e vorrei che un ceffone me lo desse ancora, giusto per insegnarmi il modo in cui si devono fare le cose. Ma devo imparare da sola. Ed è una gran bella fregatura, perché a pensarci bene le cinquine di papà facevano meno male di certe mazzate quotidiane.
‎venerdì ‎25 ‎marzo ‎2011, ‏‎19.53.50 | RobertaRossiGo to full article
CONSIDERAZIONI DOPO DUE GIORNATE MILANESI
A costo di passare per la ragazza di campagna che affronta la grande città, dopo due giorni di corso a Milano mi vengono spontanee alcune considerazioni:
- da quando i cellulari prendono anche in metropolitana? A questo punto non esiste un angolo di questo mondo in cui non siamo raggiungibili. Persino sotto terra, lungo i cunicoli delle talpe e sprofondati tra le falde acquifere milanesi, c’è gente che telefona. Tra una sferragliata e l’altra della metro, ho assistito (indipendentemente dalla mia volontà) alla seguente conversazione:
“Sì. Sì. Dimmi”
“…”
“A che ora?”
“…”
“Ma non ce la faccio, mi mancano sette fermate”
“…!!!”
“Ma sei scemo? Come faccio a dirgli di andare più forte? Vabe’, ora ci provo”
A quel punto sono scesa io, nonostante di fermate me ne mancassero otto.
- la città non guarda in faccia nessuno. Appena arrivata in Porta Romana, vedo un tipo sul motorino stramazzare a terra. Da un’Alfa scende l’investitore che, noncurante delle elementari regole del primo soccorso (cioè non toccare il ferito né tantomeno calpestarlo) lo solleva per le ascelle facendogli segno di non esagerare. A quel punto mi aspettavo l’intervento del vigile urbano con in mano il cartellino giallo per punire la simulazione in area dell’incidentato.
- grazie al cielo non sono una pendolare. Sono intollerante alla compressione claustrofobica da treno mattutino. Per fortuna sulla metro, anche nell’ora di punta, ogni passeggero ha a disposizione svariati millimetri cubici. Peccato che a un certo punto sia salito un lord che tentava di avanzare da una carrozza all’altra all’urlo di: “Lasciatemi passare, teste di cazzo”.
- la città avrà anche il suo bello. Il Duomo, i piccioni, la Rinascente, la Feltrinelli in Centrale. Ma un piccione non fa primavera e io mi sono mollemente adeguata alla vita di provincia (emiliana), dove se dicono che il corso di aggiornamento comincia alle nove, può anche essere che alle nove e dieci secondi non ti abbiano già murato vivo nella stanza e legato alla poltroncina facendoti scorrere davanti alla faccia cinquanta diapositive al secondo, dopo averti infilato negli occhi le asticelle per non farti chiudere le palpebre, come neanche in Arancia meccanica; e se ti portano fuori a pranzo, ti danno il tempo per ruttare in libertà la torta Barozzi, mentre il bicchiere abbondante di Lambrusco ti renderà incapace di vegliare nell’arco delle quattro ore pomeridiane del corso medesimo, con buona pace di tutti. Così mi piace!
‎lunedì ‎21 ‎marzo ‎2011, ‏‎0.34.57 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
UNDICI

Mia nonna Francesca non è mai stata tollerante.

Se tossivo, mi diceva:
«Eh, ta g’he la tus?».
Se starnutivo, mi diceva:
«Eh, ta g’he il frejù?».
Se non mangiavo (come al solito), mi diceva:
«Eh, ta g’he minga fam?».
Se mangiavo (raramente), mi diceva:
«Eh, ta g’he fam, eh?».
A proposito di cibo, ha sempre avuto strane fisse. Una volta stava cucinando il risotto giallo, si è messa in testa che una mosca c’era finita dentro e per sicurezza ha buttato via tutto. Per fortuna non le hanno mai detto che il dado per il brodo lo fanno con i resti di animali decomposti (almeno così hanno detto a me). Ha sempre temuto i cibi crudi: tutto doveva essere cotto per ore e ore. Per ore e ore e ore. Il risotto diventava purè, il purè semolino, il semolino acqua. A mio nonno piaceva così, almeno non doveva masticare. Una volta mia nonna Francesca fece il bollito nella pentola a pressione. La lasciò andare talmente a lungo che la pentola a pressione esplose e il bollito si disintegrò.
Quella volta mio nonno non masticò per niente.

tus = tosse
frejù = raffreddore
fam = fame

‎venerdì ‎18 ‎marzo ‎2011, ‏‎12.44.50 | RobertaRossiGo to full article
E' NATA EDIZIONI TERRA MARIQUE
via Radici in Monte 21/H
Roteglia di Castellarano (RE)

Un po' di pazienza e sarà on line il sito www.edizioniterramarique.com
Ogni tanto provate a fare un clic, sarà disponibile da un momento all'altro.

Lì troverete tutte le informazioni utili per scoprire la casa editrice, il profilo editoriale, le pubblicazioni in fase di lavorazione.
C'è un'ottima offerta corsi, dalla scrittura creativa (a cura di Roberta Rossi), alla fotografia (a cura di Margherita Meani).
Siccome l'ufficio è grande e in posizione strategica (alla mia sinistra c'è una splendida collina con simpatici animaletti che sorrazzano qua e là - spero non siano pantegane! -, di fronte a me e alla mia destra il via vai di macchine è notevole)
abbiamo pensato di proporre agli artisti uno spazio espositivo, con pubblicità e cataloghi al seguito.
Le idee sono tante, le offerte interessanti: Wedding Books con foto e racconti per chi si sta sposando, Video Books per raccontare i nostri libri in corso di pubblicazione e quelli che ci piacciono.
Ma soprattutto invio manoscritti per chi aspira a una pubblicazione targata Edizioni Terra marique.
Inoltre servizio editing e correzione bozze per chi ha un testo tra le mani (libro, saggio, tesi di laurea...) e vuole dargli la veste migliore.
Vi aspetto a breve sul sito edizioniterramariqe.com
e soprattutto vi invito all'inaugurazione del 10 aprile, ore 17, presso l'ufficio di via Radici in Monte 21/H a Roteglia. Faremo due chiacchiere insieme alla sottoscritta, a Margherita Casolari (editor), a Margherita Meani (fotografa) e a Jessica Rossi, che sta organizzando corsi di lingue per adulti e bambini nella sala grande dell'ufficio di Edizioni Terra marique.
Non mancate!
Roberta

INVITO-3
‎martedì ‎15 ‎marzo ‎2011, ‏‎15.14.46 | RobertaRossiGo to full article
PAROLE
TRE

A chi si sente ferito da parole dette con cattiveria.

A chi impara a curarsi le ferite. E diventa più forte, finché la pelle sottile si trasforma in una solida corazza.
A chi ha bisogno di parole solo per ferire. Cosa che poi non gli riesce neanche tanto bene.
A chi non sa riconoscere il talento, l’onestà, la buona volontà. E prima o poi pagherà a caro prezzo la sua ottusa filosofia.
A chi gode dei fallimenti altrui. Ma non sa che “fallimento” è solo un vocabolo, una parola che ai nemici, agli invidiosi piace per credersi vincitori.
A chi sa che “fallimento” è solo un vocabolo e non ha nulla a che fare con “the end, titoli di coda”. Se si trova la forza per rialzarsi, non si è “falliti”, ma solo “inciampati”.
A chi inciampa e si rialza, e continua imperterrito nella sua corsa. Più forte di prima. Le ferite si stanno rimarginando, la corazza non sanguina, il talento, l’onestà, la buona volontà. Alle spalle i nemici, gli invidiosi.

A chi si lascia alle spalle i nemici. Ma non li dimentica: un po’ di rabbia senza dubbio, e il consapevole istinto di dirgli “grazie”. Perché senza le loro parole dette per ferire, senza la loro ottusa filosofia e le ferite procurate, la pelle sarebbe ancora sottile, fragile.
A chi ha faticato e ha imparato a non essere fragile.
E a me che sono felice di non esserlo più.
‎lunedì ‎14 ‎marzo ‎2011, ‏‎22.24.03 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
DIECI

Odio i gatti, le galline e i topi. La spiegazione psico-traumatica ce l’ho. Ce l’ho eccome! Mia zia Carla, che abitava di fianco a casa mia, nello stesso cortile, aveva una valanga di gatti. Uno più brutto dell’altro, uno più zoppo dell’altro. Ad eccezione di Neve, una gattona bianca e molto diffidente, l’unica morta di vecchiaia. Gli altri sono morti vivisezionati sull’asfalto, fatti a brandelli dalle macchine che, a onor del vero, lungo la via Rimembranze passavano non certo come razzi spaziali. Eppure quei gatti cretini ci finivano sotto.

Sulla via Rimembranze c’erano le budella dei gatti di mia zia Carla, nel cortile del civico 23 di via Rimembranze c’erano le carcasse delle galline di mia zia Carla, che con gli animali è sempre stata sfigata. Il problema delle galline era Billy, il cane dei miei cugini. Non so che razza di cane fosse, era marrone e poco bello. Abbastanza inutile, direi. Ma quando scoprì che in qualche modo poteva raggiungere le galline chiuse nel pollaio dietro casa, quella divenne la sua missione. Provò a scavare buche e a saltare la staccionata, ma non c’era verso. Allora scelse una tattica diversa: l’attesa. In effetti fu premiato, di tanto in tanto le galline, che erano più cretine di lui, si avventuravano per il cortile e Billy le assaliva alle spalle inscenando agguati mortali e poco dignitosi. Morale della favola: cortile infestato di penne e rimasugli vari. L’altra mia zia, proprietaria del cane, risarcì alla zia Carla le prime tre galline. Poi disse che tutto sommato non era colpa di Billy se le galline finivano spennate, ma di chi lasciava aperto il pollaio. Quindi non pagò la quarta né la quinta. E nemmeno la sesta. Così Billy fu legittimato nel perpetuare la sua carneficina e chi lasciava aperto il pollaio (chi?) fu dichiarato suo complice. Billy morì in un incidente stradale: fu investito dal figlio di mia zia Carla mentre manovrava il camion in cortile. Il figlio di mia zia Carla si sentì colpevole e gli altri lo lasciarono fare: nessuno disse che lui era legittimato a manovrare il camion in cortile. Una volta il figlio di mia zia Carla stava per investire col camion mia nonna Checca. La schivò per un pelo solo perché dallo specchietto retrovisore l’aveva vista sbracciarsi piccola piccola, pallida pallida.
Inorridita dalle interiora di gatti e galline, avevo bisogno di dare una svolta alla mia vita. Così un giorno chiesi a mia zia Carla se, oltre ad avere dei gatti e delle galline francamente ritardati, era bello avere un cane. Mia zia Carla aveva un vecchio cane, femmina e trovatella, incrociata con un ippopotamo nano e una pantera chiatta. Si chiamava Coca. Era una cagna abbastanza brutta, priva di portamento e modi fini. Però le piaceva stare in compagnia, era diventata la mascotte di noi bimbi delle scuole elementari. Si intrufolava nel giardino della scuola passando sotto il cancello, scorrazzava indisturbata per i prati e si spalmava al sole come un balenottero spiaggiato. Adesso che ci penso bene, non poteva essere cicciotta. Eppure io me la ricordo così, un po’ tarchiata e lenta.
Ero rimasta al punto in cui chiedevo a mia zia Carla se era bello avere un cane: lei ne aveva avuti un sacco, compresi certi tremendi che si aizzavano contro gli ospiti, tirando come matti la catena. La Coca invece era docile e buona. Anche i miei cugini avevano avuto molti cani, morto uno ne arrivava subito un altro, sempre più grosso e scemo. Una volta portai a casa un cucciolo, che tra l’altro aveva una zecca sotto un orecchio ma vabe’: me lo fecero portare indietro perché dissero che per il cortile c’erano già troppe cagate di cani killer, di gatti suicidi e di galline moribonde. Per questo chiesi a mia zia Carla se era bello avere un cane.

«Sai che la Coca tira fuori la lingua quando è ora di pranzo?».
«Davvero?».
«Anche i gatti sono simpatici. Ma a te non piacciono. Come mai?».
«Non saprei…».
«Una volta, quando eri piccola, hai messo i gattini della Neve nel secchio. Te lo ricordi?».
«Nel secchio? Ma non c’era l’acqua».
«Sì che c’era. E bella sporca: ci avevo appena lavato i pavimenti! Volevi affogarli?».
«Non lo so. Ma zia, è bello avere un cane?».
«E fattene prendere uno!».
«Mia nonna Checca non vuole. E neanche mia mamma, perché il suo è morto».
«Ma è successo più di vent’anni fa. E non si è più ripresa? Mah».
«La Coca non fa niente tutto il giorno. Fa anche la pipì fuori casa, vero?».
«Non è vero che non fa niente tutto il giorno. Oggi è andata a caccia».
«Dove?».
«In cantina».
«A caccia di cosa?».
«Secondo te in cantina cosa ci sono?»
«I ragni?».
«No, i ragni no. Vieni vicino alla pattumiera che ti faccio vedere».

Alzò il coperchio. Lo fece davvero, giuro. Ci infilò dentro le mani e tirò fuori il bottino di caccia della Coca. Lo tirò fuori per la coda e da quel momento non sono più riuscita a guardare in faccia né Topolino né Minnie.
‎domenica ‎6 ‎marzo ‎2011, ‏‎23.28.21 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
NOVE

In bici mi è sempre piaciuto andare sul manubrio, lasciando che qualcun altro pedalasse. Indole pigra, poco incline al sudore. C’è stato un periodo in cui la bici la frequentavo parecchio, per andare a scuola, ad esempio. La scuola era di fronte a casa mia, facevo fatica sugli ultimi sette/otto metri che erano in salita. Invece al ritorno era una pacchia: partivo in discesa e lungo la stradina asfaltata tra i due grossi prati non dovevo neanche pedalare. Arrivavo dritta al cancello di ingresso, il vigile mi dava il via libera sulle strisce pedonali ed ero già a casa. Mi piacevano le bici da maschio, avevo una saltafoss rossa con la sella lunga che era uno spettacolo. Un giorno, lungo il vialetto asfaltato tra i due grossi prati, un bambino mi corse dietro, urlando “ridammi la mia bici”. Lì mi toccò pedalare, dovevo seminarlo. Riuscii a seminarlo perché l’aveva fermato il vigile sulle strisce pedonali, stava passando il pullman. Arrivai a casa paonazza e sudata fradicia. La nonna Checca mi chiese se fuori pioveva.

Scoprii che a quel bambino, Luigi non so cosa, avevano rubato la saltafoss che era simile (simile!) alla mia e pensava che gliel’avessi rubata io.
Deficiente.
Quando pedalavo io, la gente tendeva a scansarsi. Indole temeraria, poco incline all’equilibrio. La gente si scansava, ma le cose inanimate no. Per mia sfortuna.

«Papà, ci venivi nel parco da piccolo?».
«Ci sono cresciuto nel parco, praticamente».
«Ci venivi in bici?».
«Sì».
«Mi piace pedalare nel parco. Aspetta che vado su, su quella montagnetta».
«Stai attenta a non burlà giù».
«Lo so. Ma tanto c’è il percorso. Vieni anche tu!».
«Arrivo».
«Ci sono le radici, guarda. Stai attento».
«Conosco queste stradine a memoria. Vedi di stare attenta tu».
«Ohi ohi ohi. E adesso?».
«Fermati lì e fammi passare».
«Secondo me non ci riesci. Ma papi, cos’è?».
«È una pozzanghera, non vedi?».
«Sì, ma è strana. Ce l’hai fatta. E io come faccio?».
«O passi lungo il bordo o fai il giro. Fai il giro».
«Passo lungo il bordo».
«No no, lascia perdere, Roby. Fai il giro. Scendi dalla stradina e risali più avanti, dài».
«No no, io passo di qui».
«Ecco, e adesso? Non fermarti, devi venire avanti!».
«Non ci riesco, ho paura di cadere».
«Ma non puoi fermarti lì in mezzo. Non ha senso. E non puoi tornare indietro…».
«Non ridere almeno… Vieni a prendermi, papi».
«Ma come faccio? Te l’avevo detto di non passare di lì. Rimetti i piedi sui pedali e pedala. Vai!».
«No che non vado».
«Dài, Roberta. Vai».
«Ho detto di no».
«Vaaai!».
«Vaado!».
«Ma cosa fai?!!! Ah ah ah ah ah…cretina… ah ah ah ah ah…».

La pozzanghera era morbida e accogliente, la merda di cavallo mi avvolse come una soffice coperta. Lo dicevo io che quella pozzanghera era strana.
La strada del ritorno fu umiliante, con la gente che mi guardava e mio papà che mi spingeva sulla bici con la sua mano dietro la mia schiena, sfinito dalle risate.
Quando arrivai a casa, puzzolente e bagnata fradicia, la nonna Checca mi chiese se fuori pioveva (merda).
‎domenica ‎27 ‎febbraio ‎2011, ‏‎22.59.00 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
OTTO

Mia mamma mi ha detto che i primi passi li ho fatti a quindici mesi, quando ormai in molti avevano perso la speranza. Ero la più piccola, la più magra tra tutti i miei cugini. E di sicuro la più pigra. Mia mamma mi ha detto che i primi passi li ho mossi dal salotto alla cucina. Non potrei ricostruire con esattezza il percorso del mio primo mini-viaggio, casa nostra è stata fatta e rifatta, girata e rigirata talmente tante volte che non ho idea di dove all’epoca fossero le stanze.

In salotto c’era il nonno Felice, in cucina la mamma. Mi basta sapere che primi passi della mia vita mi hanno portato dal nonno alla mamma.

«Béta, camminano tutti. Puoi camminare anche tu, un passo dopo l’altro».

Mia mamma mi ha detto che avevo un’espressione furbetta. Avevo deciso che era ora. Avevo deciso che era ora perché sapevo che potevo farcela, se no sarei rimasta seduta lì dov’ero, tra i miei giochi e i peluche.
È stato il mini-viaggio più emozionante della mia vita. Lo so per certo.
Mia mamma mi ha detto che avevo un’espressione felice. Anzi ero la Felicità in miniatura.
E passo dopo passo l’ho raggiunta, con le mie gambette corte e secche, sicure di quello che stavano facendo. Lei mi ha presa tra le sue braccia, mi ha sollevata come se fossi un granellino di sabbia in pericolo di perdersi in una distesa uniforme.
Mio nonno mi ha insegnato a camminare, mia mamma a rialzarmi da terra.


‎domenica ‎20 ‎febbraio ‎2011, ‏‎21.55.01 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
SETTE
Sono sempre stata un tipo ansioso. Anche molto suggestionabile, direi. Una volta sentii dire da mia nonna Francesca che un tale era morto. Le chiesi come mai. Lei mi rispose che si era dimenticato di respirare, perciò era morto. Andai in iperventilazione. Più che altro cominciai a controllare il mio respiro, aria dentro, aria fuori, onde evitare che mi dimenticassi qualche passaggio e ci rimanessi secca.


«Mamma, ho perso il mio braccialetto».
«Quale?».
«Quello di corda, quello rosa».
«Non ti ricordi dove l’hai messo?».
«No che non mi ricordo».
«Cercalo, sarà da qualche parte».
«Ho cercato dappertutto. Non c’è da nessuna parte. Aiutami a trovarlo, aiutami».
«Va bene, però calmati. Perché hai quella faccia? È solo un braccialetto di corda, salterà fuori…».
«Non salterà fuori».
«Da qualche parte sarà».
«Da qualche parte dove? Dove?».
«Nella tua cartella».
«Non c’è».
«Sulla scrivania, nei cassetti…».
«Non c’è».
«Nelle tasche dei jeans».
«Non c’è da nessuna parte! Tu non capisci!».
«Cosa non capisco».
«Che forse so io dov’è».
«Dov’è?».
«Non posso dirtelo».
«Non puoi dirmelo? Sei cretina?».
«Mamma, mi viene da piangere».
«Per un braccialetto? Oh santo cielo».
«Mamma, ho paura di morire».
«Eh?!».
«Mamma…».
«Roberta, per favore».
«Mamma, il braccialetto…».
«Il braccialetto cosa?».
«Il braccialetto l’ho…».
«Il braccialetto l’hai cosa?».
«Non posso dirtelo…».
«In che senso?».
«Il braccialetto… L’HO MANGIATO! Forse».
«Ma cosa stai dicendo?».
«Ho paura di aver mangiato il braccialetto e tra poco non riuscirò più a respirare. E morirò».
«Oh santo cielo. Roberta, con te sarà dura. Molto dura».

Di fronte al discorso morte, ognuno reagisce come vuole e dà le spiegazioni che meglio gli riescono. Per esempio, la zia Marisa, che era un tipo pratico, aveva un’idea essenziale dello stare al mondo e del non starci più. Una signora le chiese di cosa fosse morto un tale e lei, sbrigativa, rispose che era morto di morte. Tutto qui, morto di morte. Mi sembrò una spiegazione onesta, che non lascia spazio a interpretazioni sbagliate.
Quanto al mi braccialetto di corda, non l’avevo ingoiato. Lo trovammo nella scatola dei medicinali (dopo sette ore di ricerche). Da quel giorno mia mamma cominciò a guardarmi con aria dubbiosa.

‎martedì ‎15 ‎febbraio ‎2011, ‏‎21.08.07 | RobertaRossiGo to full article
IL FENOMENO
Uno che mi ha fatto innamorare.imagesCASSSNN8Uno che mi ha fatto piangere insieme al suo dolore, potente come uno strappo che ti spezza l'anima.imagesCA5Q167YUno che mi ha fatto sperare.
Uno che ha ripagato le mie speranze.ronie new

Uno che mi ha fatto incazzare, ma non mi ha delusa.imagesUno che è stato un Fenomeno. E non smetterà mai di esserlo.untitled

‎domenica ‎13 ‎febbraio ‎2011, ‏‎22.53.31 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
SEI

Il piatto preferito di mio papà è il rognone.

Ho cercato su Wikipedia:
il rognone è il rene dell'animale. Tenero e delicato quello di vitello, duro e di sapore forte quello di manzo. Fa parte delle interiora rosse. Di alto valore nutritivo, contiene piccole quantità di grassi e abbondante colesterolo.
Pare che la nonna Lina sapesse cucinarlo meravigliosamente. Io penso che il concetto di “meraviglia” non possa in nessun caso riferirsi al rene di un animale, a meno che non funzioni meravigliosamente bene nel corpo del suo proprietario e se ne stia meravigliosamente lontano dalla mia tavola. Eppure la nonna Lina non la pensava così. Se la cavava benissimo anche con la cassoeula, il risotto giallo e il caffelatte. Invece mia mamma non se l’è mai cavata bene con quasi niente in cucina, insalata compresa.

«Stasera cena a base di pesce!».
«Ci risiamo».
«Vittorio, è possibile che non ti vada mai bene niente? Per una volta che faccio qualcosa dinuovo…».
«Una volta me lo fai il rognone come me lo faceva mia madre?»
«No. Neanche morta. Ecco qui!».
«Cosa sono questi?».
«Spiedini di pesce».
«Quale pesce?».
«Pesce».
«Mamma, ma io ho fame».
«Allora mangia».
«Ho mangiato».
«Di già? Bene. Ti sono piaciuti?».
«Buoni. Ma…».
«A te sono piaciuti, Vittorio?».
«Buoni. Ma…».
«Non c’è nient’altro».
«Ma mamma?».
«Ho detto che non c’è nient’altro. Mi sembravano grossi, invece nel forno si sono rimpiccioliti».
«Quindi?».
«Mangiate lo spiedo!».

“Cena a base di pesce” per noi è sempre stato sinonimo di “cena a base di fame, molta fame”. Ma sempre meglio della cena a base di fagiolini.



‎mercoledì ‎9 ‎febbraio ‎2011, ‏‎23.54.52 | RobertaRossiGo to full article
LA FINE DEL MONDO
Gli astrologi, gli astronomi e gli astronzi hanno previsto la fine del mondo per il 21 dicembre 2012. Ne prendiamo atto con rassegnato entusiasmo (qui l’ossimoro è evidente): rassegnato perché, se saremo colpiti da un asteroide o ibernati da un’improvvisa glaciazione, non potremo farci niente. Entusiasmo perché siamo tutti curiosi di sapere come andrà a finire e soprattutto vogliamo scoprire se le terrorizzanti puntate di Voyager siano o non siano state vane. Se non sono state vane, cioè veritiere, complimenti a Roberto Giacobbo, a cui intoneremo in punto di catastrofe un collettivo “Lui l’aveva detto”; se sono state vane, cioè inutilmente angoscianti, smetteremo di credere a tutto quello che ci dice la tv, telegiornali compresi (vogliamo darci fin da ora una mossa in questo senso?). Comunque è difficile non dare ascolto a tutti quelli che prevedono la fine del mondo, anche perché sono tanti, e, sembra, autorevoli:

- i Maya
- gli Egizi
- Nostradamus
- il mago Zurlì
- puffo Quattrocchi
- alcuni passanti
Un’idea precisa sull’apocalisse non me la sono ancora fatta, diciamo che al momento mi preoccupa di più sapere se domani la mia caldaia smetterà di gocciolare, altrimenti altro che inondazioni. D’istinto però mi vengono in mente una serie di cose che vorrei fare prima di quella data. Avete presente promemoria che vengono inseriti nell’agenda mentale di una vita intera, ma per pigrizia o paura o impossibilità materiale vengono delegati a un futuro tanto prossimo quanto indefinito? Tipo:
- ritirare due paia di scarpe che ho portato dal calzolaio nel 2006
- acquistare un paio di Manolo Blahnik tacco 12
- sfoggiare le mie Manolo Blahnik tacco 12 sulla Fifth Avenue di New York
- precipitare dalle mie Manolo Blanhik tacco 12 sulla Fifth Avenue di New York e farmi soccorrere da John Corbett, ovvero Aidan Shaw, ovvero il fidanzato di Carrie Bradshaw (signore, altro che Big!)
Altre cose in sospeso non ne ho, a parte imparare a fare la scala di do, anche se da un po’ di tempo non è più tra le mie priorità (ho lasciato perdere ventitre anni fa dopo la prima mezz’ora di lezione di pianoforte). Non so quali cose voi riteniate necessario fare prima del 21 dicembre 2012, ad esempio mi sembra un’ottima idea quella che hanno avuto i miei amici F. e M.: acquistare casa. Siccome la loro sarà pronta verso la metà di dicembre, faranno giusto in tempo a fare l’inaugurazione in pompa magna, ma, stando alle previsioni di Giacobbo, non avranno lo sbattimento della prima rata del mutuo. In caso contrario, Giacobbo farebbe bene a cambiare identità.
‎lunedì ‎7 ‎febbraio ‎2011, ‏‎15.01.23 | RobertaRossiGo to full article
VASCO
Eh già, per fortuna tu sei ancora qua!
http://www.tgcom.mediaset.it/spettacolo/videodallarete/video2340.shtml
‎domenica ‎6 ‎febbraio ‎2011, ‏‎23.02.03 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
CINQUE

Mio nonno Felice non ha mai imparato a guidare. Gli bastava la bicicletta. Sempre la stessa, appoggiata al muro sotto casa. Non aveva il lucchetto, lo strato di ruggine la faceva luccicare come fosse nuova. Il sellino era in buono stato, strano. Partiva presto al mattino, caricava a sinistra il secchio per la malta, a destra il secchio per qualcos’altro. Non so come facesse coi sacchi di cemento. Era forte mio nonno, molto più forte di Hulk e molto più buono.


«Felice, come sei conciato?».
«Sa ta ghe, Francesca?».
«I calzun, Felice!
«Cosa? Cosa i calzun?».
«Sono bianchi, tutti bianchi… Stai sporcando dappertutto. Vatti a cambiare!».
«Adesso vado. Ho lavorato tutta la mattina in Villa Litta. Sun strac».
«Dove sono i bambini?».
«Quali bambini?».
«Come quali bambini, Felice! Fam minga…».
«La Béta l’ho portata a casa sul manubrio».
«Il Matteo?».
«Mi è venuto dietro in bicicletta».
«E il Paolo?».
«…».
«Il Paolo?».
«Mi sa che me lo sono dimenticato in Villa Litta».
«Oh Madonna, FELICE!».

Il nonno aveva un sacco di cose a cui pensare. La malta da fare, i sacchi di cemento da trasportare in qualche modo, da qualche parte. La carriola. I conti da tenere sul quadernetto, ordinato come uno scolaro che impara a far di conto. Era buono mio nonno. E molto indaffarato, al limite della sbadataggine. Ma penso che mio cugino Paolo non gliel’abbia mai perdonato.



‎venerdì ‎4 ‎febbraio ‎2011, ‏‎11.26.40 | RobertaRossiGo to full article
PAROLE
DUE

A chi ha bisogno di parole per raccontare quello che non è mai riuscito a capire.

A chi sta aspettando quelle parole, nonostante il dubbio che chi dovrebbe dirgliele non abbia ancora capito.
A chi di parole ne ha dette tante, troppe, tutte più o meno sbagliate. Perché non è mai riuscito a capire.
A chi ha capito. E di parole non gliene servono più, per ora.
A chi stamattina ha fatto colazione insieme, per la prima volta dopo un secolo e il lavoro e una piccola distrazione.
A chi stamattina ha fatto una colazione ipercalorica, nonostante un pallido tentativo di dieta. Ma non avrà i soliti sensi di colpa, ne valeva la pena.
A chi avrà i soliti sensi di colpa, per tutto il giorno, fino alla pizza di questa sera.
A chi odia le diete e i sensi di colpa, che se stai a dieta e rinunci ti girando le balle, se fai uno strappo alla regola, ti girano le balle lo stesso.
A chi pensa di aver bisogno di mettersi a dieta, ma poi considera il fatto che la sedia non si è ancora piegata e che sul treno non deve pagare due biglietti, quindi fanculo anche alla dieta.
E a me che, nonostante a breve dovrò acquistare una sedia coi rinforzi, voto a favore delle colazioni insieme, ipercaloriche, in attesa delle parole che sto aspettando. E di una fetta di pane spalmata di marmellata.
‎lunedì ‎31 ‎gennaio ‎2011, ‏‎0.03.35 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
QUATTRO

La nonna Francesca diceva di essersi allargata i fianchi a furia di lavorare nella stalla. Dev’essere stato molto tempo prima del mio arrivo. Ha fatto la bambinaia, ne ha cresciuti quattro o cinque che le vogliono ancora bene. Non so come le sia venuto in mente di fare la bambinaia, è sempre stata un tipo piuttosto asciutto.


«Buon Natale. Ma fan mal i gamb».
«Buon Natale, nonna».
«Auguri! Nonni, sedetevi intanto che aspettiamo gli altri».
«Mamma, dov’è il regalo per la nonna?».
«Guarda sotto l’albero. Intanto io do un occhio all’anatra in forno».
«Tieni nonna, è per te».
«Uh i me’ gamb. Sal’è? Un angioletto. Te vist, Felice».
«Eh sì, sì. Che ora l’è?».
«Ti piace, nonna? È il mio regalo per te».
«Mi piace, mi piace».
«Che ora l’è, Francesca?».
«Puoi metterlo sulla mensola, sopra la tele».
«Francesca…».
«NEM FELICE, SARÀ MEZDÌ».
«Ah. Bèta, fam vedè l’angioletto».
«Tieni, nonno».
«L’anatra è quasi pronta. Roby, hai dato un bacio alla nonna?».
«Io no. E tu?».
«Alla nonna no. Al mio papà sì».
«Allora dài un bacio anche alla nonna».
«Lo vuoi un bacio, mamma?».
«Ma va là!».
«Dài, nonna».
«Ecco fatto, bella la mia mamma vecchietta».
«Dài nonna, adesso dai tu un bacio alla mia mamma».
«Oh nem. Poi mangiamo, però, che ho mal ai gamb. Ven chi, Tiziana».
«Varda lì, il bas da Giuda».
«FELICEEE!».

Quel Natale non arrivammo all’anatra.
Né agli antipasti, se per questo.



Il bas da Giuda = il bacio di Giuda.
‎venerdì ‎28 ‎gennaio ‎2011, ‏‎15.12.59 | RobertaRossiGo to full article
FUORI IL CAPEZZOLO!
Guardo Sky Sport 24, una specie di maratona senza sosta con servizi sullo sport in onda ogni santo giorno in diretta. Una specie di carcere a vita per i conduttori, costretti a ripetere le stesse notizie e a lanciare gli stessi servizi per tutta la durata del loro turno di lavoro. Vabe’, ognuno ha le sue grane e onestamente c’è di peggio. Se vi capita, fateci caso: i giornalisti sono sempre una donna, sulla sinistra del teleschermo, e un uomo, sulla destra. Mentre l’uomo è in giacca e cravatta, abbottonato fino alla giugulare, la donna indossa top la cui scollatura arriva in zona ombelico, mentre il reggiseno strizza le poppe in bella vista. Le domande che ho sulla punta della lingua sono due:
- perché se io oso anche solo ipotizzare di uscire di casa senza maglietta della salute, dolcevita, sciarpa, mi becco all’istante la catarrosi virale e mi ritrovo per almeno sette giorni con la voce di Maria De Filippi, mentre queste qui niente, mai neanche un raffreddore?
- perché dei due giornalisti è la donna la meno vestita, quindi la più provocante e catalizzatrice dell’attenzione, mentre l’uomo potrebbe anche infilarsi un passamontagna in testa, visto che per contratto deve comunque stare in video nonostante nessuno lo caghi?
Mi oppongo fermamente all’evoluzione contemporanea dell’immagine femminile, svilita tra tette, culi, labbra in bella mostra e cervelli in ombra. Per carità, non mi riferisco alle giornaliste di Sky Sport 24, che sono sicuramente bravissime e da lodare per essere riuscite a metterci il viso (e un po’ di corpo) in un ambiente maschile (e maschilista). Però faccia il provocante anche il suo collega, mostrando che ne so, un capezzolo. Riconosciamo all’uomo la stessa dignità sessuale e provocatrice che viene attribuita alle donne belle e poppute. E cominciamo a trattarli secondo gli stessi stilemi con cui veniamo trattate noi. Vogliamo gli uomini oggetto, i velini, i bunga bunga boys: questa sì che è parità dei sessi!
‎giovedì ‎27 ‎gennaio ‎2011, ‏‎0.17.17 | RobertaRossiGo to full article
SETTE GIORNI E MEZZO SPESI BENE
In genere per stirare impiego sette giorni e mezzo:

Giorno numero uno = per sbaglio passo accanto alla pigna di biancheria e butto lì l’occhio. È un errore madornale, ma non posso ignorare il fatto che se fino a qualche giorno prima c’erano un paio di magliette e qualche pigiama, ora si è materializzato l’Empire State Building. Ne prendo atto e, sgomenta, passo oltre. Nella mia testa visualizzo l’infausto momento in cui dovrò aprire l’asse e appoggiarvi sopra il ferro da stiro.
Giorno numero due = apro l’asse e vi appoggio sopra il ferro da stiro. Poi me ne allontano in preda all’ansia e alla tachicardia. La mia dolce metà mi invita a togliere dalle balle il ferro perché potrebbe nuocere alla salute di qualcuno che si trovasse a passare di lì. Credo commossa che si stia preoccupando per me, invece si riferisce alla bambina. Mio malgrado sono costretta a spostare il ferro, che finisce in stand-by in un armadio non meglio specificato.
Giorno numero tre = cerco il ferro in un armadio non meglio specificato, ma non lo trovo. Che sfiga! Me ne sbatto e via. Intanto cominciamo a far indossare alla bimba roba stropicciata, convincendoci che tanto nessuno ci fa caso se i bambini di oggi vestono come Oliver Twist. In un eccesso di zelo – o di vino – trasferisco la pigna di panni: sul divano prende forma la catena montuosa degli Urali. In un angolo c’è anche la Sierra Nevada. Urge trovare il ferro.
Giorno numero quattro = trovo il ferro e lo appoggio sull’asse, rimasto nella stessa posizione dal giorno numero due. Lo sforzo di trasportare la Stirella dal suo nascondiglio all’asse è insopportabile. Ho bisogno di riposo.
Giorno numero cinque = stiro. Mica tutto però.
Giorno numero sei = stiro. Mica tutto però.
Giorno numero sette = stiro tutto (vabe’, quasi tutto). Il resto lo infilo nell’armadio così com’è o lo rimetto nella cesta dei panni sporchi, individuando macchie che non si vedrebbero neanche al microscopio.
Giorno numero sette e mezzo = sistemo negli armadi la roba stirata, ciascuna al suo posto. Capita che tale operazione sia rimandata a data da destinarsi a causa dell’umidità provocata dal vapore del ferro. In tal caso i panni stirati, lasciati ad asciugare sul tavolo del salotto, non sanno più di umido, ma di cotolette alla milanese miste a lasagne al forno.
Dopo sette giorni e mezzo ho finito di stirare, evviva evviva. Per sbaglio passo accanto alla nuova pigna di biancheria e butto lì l’occhio. È un errore madornale, ma non posso ignorare il fatto che se fino a qualche giorno prima c’erano un paio di magliette e qualche pigiama, ora si è materializzato il Pirellone. Uff.
‎lunedì ‎24 ‎gennaio ‎2011, ‏‎1.04.13 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
TRE

Il signor Mario arrivava sempre puntuale, sempre sorridente anche se non c’era un granché da sorridere. Nei tempi morti dava un occhio al giornale oppure schiacciava un pisolino, di tanto in tanto. I tempi morti mi piacevano un sacco, mi sedevo sulla poltrona girevole e fingevo di essere un’astronauta. Il nonno si fumava una sigaretta, il mio papà si faceva dare un’aggiustata ai capelli dal signor Mario – quando non dava un occhio al giornale e non dormiva. Il signor Mario non l’ho mai visto farsi tagliare i capelli.


«Papi, facciamo due tiri col pallone?».
«Di là, però. Non in negozio».
«Va bene. Papi, guarda cosa so fare».
«Dài, palleggia anche col sinistro».
«Non è facile. Aspetta».
«Vedi… Uno, due, tre, quattro… sono ancora bravo».
«Anch’io, guarda. Uno, due… Vai a vedere l’Inter domenica?».
«No, ma mi piacerebbe».
«Una volta mi porti allo stadio?».
«Vedremo. Uno, due, tre, quattro, cinque… Osti, qualche anno fa ne facevo di più».
«Quando sei andato allo stadio la prima volta?».
«Inter-Bologna, tanto tempo fa».
«Magari anch’io vedrò Inter-Bologna la prima volta».

«Vedremo…».
«Facciamo qualche tiro? La porta è quella».
«Tira piano però, se la palla va in negozio… Piano».
«Vado!».
«Parata! Tira col sinistro. Piano…».
«Vado?».
«Vai!».
«Oh cazzo! Signor Mario… signor Mario…».
Dopo quel tiro che colpì in testa il signor Mario appisolato sulle poltroncine d’attesa, capii due cose:
il mio sinistro era più potente del destro
il signor Mario non si era mai fatto tagliare i capelli perché quelli in testa non erano i suoi veri capelli
«Roberta, vai subito a raccogliere il parrucchino del signor Mario».
«Va bene, papà».
«E chiedi scusa».
«Scusa, signor Mario».
‎giovedì ‎20 ‎gennaio ‎2011, ‏‎11.50.54 | RobertaRossiGo to full article
LE PAROLE
A chi ha una storia da raccontare, la sua, e prima o poi troverà le parole per farlo.
A chi di storie ne ha raccontate tante e non smette di farlo, ogni santo giorno.
A chi crede che smetterà di nevicare entro mezzogiorno.
A chi è un idealista, felice di esserlo, mai stanco.
A chi crede che vivere sia faticoso, faticosissimo.
A chi crede che comunque ne valga la pena.
A chi combatte con le unghie e coi denti, sperando in una buona notizia.
A chi quella buona notizia non l’ha ancora ricevuta, ma continua a combattere.
A chi ha perso una battaglia, ma non la guerra.
A chi se n’è andato, ma non si è portato via niente: questa è la guerra che ha vinto.
A chi guarda fuori dalla finestra e sa che non smetterà di nevicare entro mezzogiorno.
A me che penso che se anche non smetterà di nevicare entro mezzogiorno, prima o poi smetterà. Eh che cazzo!
‎lunedì ‎17 ‎gennaio ‎2011, ‏‎21.09.30 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
DUE

Il rischio quando si entrava nella corte dove abitavano i nonni era che i cani ti facessero pipì in testa. Passavi sotto il portone in legno, attraversavi la zona d’ombra che sapeva di umido, poi di corsa verso il cortile oltre il balcone dei setter. Doveva esserci una Madonnina da qualche parte, ma non ricordo dove. Prima di arrivare in casa dei nonni, c’era un altro ostacolo da superare: le rondini. Nidificavano sotto il voltone di accesso alle scale. Una rondine fa primavera, ma dieci cagano parecchio.


«Ciao Roby».
«Ciao nonna».
«Ciao Roberta».
«Ciao nonno».
«Vuoi un po’ di caffelatte? L’ho appena fatto».
«No. Non mi piace il caffè».
«Ma c’è anche il latte. È buono, provalo».
«Non mi va, non ho fame».
«Ma mangi? Sei troppo magra, sciatel. Sei venuta in bici?».
«Sì».
«Da sola?».
«Sì».
«Oh signur. Da sola?».
«Sì nonna. Dài…».
«Ma stag atent, sciatel. Ci sono tanti pericoli per strada».
«Adesso devo andare».
«Vai a casa?».
«Prima in cartoleria, devo comprare i quaderni. Poi a casa».
«Tua nonna Francesca ti dà da mangiare? Guarda come sei magra».
«Ma sì, non ti preoccupare. Ciao nonna, io vado. Ciao nonno».
«Ciao Roberta».
«Ah aspetta, ti abbiamo comprato il regalo di compleanno. Un momento».
«Ma nonna, devo andare».
«Ecco qui. Aprilo. Sono dei biscotti».
«Ah sì, grazie. Ma non mi piacciono».
«Non ti piacciono?».
«No».
«Sono i frollini. Non ti piacciono?».
«No, davvero».
«Non li mangi?».
«No. Adesso devo andare. Ciao nonni».
«Se vuoi li cambiamo con qualcos’altro».
«No, fa niente. Ciao».
«Stai attenta con quella bici, vai piano».
«Ciao».
«Ciao».
Per tutto l’oro del mondo, vorrei averli presi quei frollini.



‎domenica ‎16 ‎gennaio ‎2011, ‏‎11.32.54 | RobertaRossiGo to full article
LA MIA STORIA
UNO

Magra magra, un soffio di vento bastava a portarmi via. Mi tenevo stretta al mio papà. Gli spillavo duecento lire, i più simili di tutti a una moneta d’oro, e sgattaiolavo nella saletta per una partita a Wonder Boy. Facevo presto a schiattare, me la facevo sotto tra le liane. Il polipo gigante non l’ho mai superato.
«Dài Popi, che è ora».
Davanti a quello schermo hanno preso vita le mie prime parolacce, tanto poi ci pensava don Giovanni ad assolvermi.
“Game Over”.
«Porca vacca».

«Ti pago il caffè e due pacchetti di Marlboro rosse».
«Papi, mi compri le Brooklin bianche?».
«E le Brooklin bianche. Prendile tu, Popi».
«Non ci arrivo».
«Eccole qui».

Mi è sempre stata simpatica la Patrizia.
«Ciao».
«Ciao».
Beati i vecchi che se ne stavano sotto il porticato coperto d’edera, sulle sedie di corda dura, gialla verde o rossa.
«Ciao nonno».
«Ciao».
«C’è il nonno, papà».
Papà si accende una sigaretta, poi mi dà la mano per attraversare.
Due fumatori, mio nonno e mio papà. Come il resto della famiglia, tranne la nonna, credo.
Saltello con ancora negli occhi Wonder Boy, per fortuna a Vedano non ci sono liane. Né polipi giganti.
Papà gira la chiave nella toppa, mi investe il profumo di schiuma da barba. Il negozio è fresco e pulito, il signor Mario non è ancora arrivato. Arriverà.
«Papi guarda, c’è una mosca».
«Dov’è?».
«Sul bordo del lavandino. Guarda!».
«Stai ferma. E zitta».
So cosa farà: appostamento, concentrazione e via! Ora la mosca è nella sua mano. Ora è spiaccicata per terra.
«Evvai», anche se un po’ mi dispiace. In mattinata ho già ucciso sette formiche, gli avevo dato sepoltura sotto mucchietti di ghiaia con croci di legno infilzate sopra.
«Papi, chi ti ha insegnato a prendere le mosche?».
«Il postino».
«E a lui chi gliel’ha insegnato?».
«Ha imparato da solo».
«È bravo?».
«È svelto. Una volta ne ha presa una, mentre giocava a carte».
«E l’ha buttata per terra?».
«No».
«L’ha fatta volare via?».
«No».
«E allora?».
«L’ha mangiata».
«E poi?».
«L’ha cagata».





‎lunedì ‎3 ‎gennaio ‎2011, ‏‎1.45.46 | RobertaRossiGo to full article
QUANDO TUTTI (O QUASI) DORMONO
Ore 23.37. Finalmente in casa mia tutti dormono. Così ho tempo di mettermi davanti al computer in tutta tranquillità. Be’, più o meno. Il fatto è che tra qualche giorno verrà alla luce Terra marique, la mia piccola casa editrice. Il parto è lungo e faticoso, ma non può essere diversamente: per far bene le cose, bisogna prendersi tutto il tempo necessario. Questa perla di saggezza me l’ha insegnata mia figlia, che è venuta al mondo con dodici giorni di ritardo e dodici ore di travaglio.

Terra marique quindi, preparativi frenetici e un sacco di cose da fare. Ci vuole concentrazione e anche se le vacanze non sono ancora ufficialmente concluse, mi sono già rimessa al lavoro. Nel frattempo i restanti due terzi della famiglia dormono sul divano, a pochi centimetri da me. Non che non mi faccia piacere sapere che sono entrambi fuori uso, però il continuo grugnire mi impedisce di concentrarmi. Comincio a colpire la mia metà sullo stinco. Grrr grrr. Lo colpisco un po’ più forte. Grrr grrr grrr. Esasperata, parto con un calcio che mi hanno insegnato tempo fa al corso di kick boxing. Grrr, grrr. A questo punto mi viene un dubbio: mi alzo a controllare e in effetti scopro che i grugniti sono emessi da mia figlia. Oh santo cielo. Ora il problema non è tanto il difetto sonoro di mia figlia – col tempo ce ne faremo una ragione – quanto l’ematoma in continua espansione che giace sullo stinco del suo papà. Scusandomi per il disagio procurato, gli porgo cordiali saluti (sperando che domani non si accorga di niente). Ops.
‎mercoledì ‎29 ‎dicembre ‎2010, ‏‎1.58.38 | RobertaRossiGo to full article
I REGALI DI NATALE
Nonostante i ripetuti (e fallimentari) tentativi di far capire ai nonni che la loro nipotina non è figlia di profughi e che per essere felice non ha bisogno di un milione di giocattoli alternativi all’unico che non è stato trovato da Babbo Natale (ovvero uno yacht VERO attraccato alle Seychelles – che in realtà sarei stata... ehm... io a chiedere nella letterina sotto… ehm… mentite spoglie), la piccola è stata sommersa da un’infinità di regali. Eccone un elenco parziale:
- il regalo più utile: anche se mi ero fatta l’idea che determinati oggetti avrebbero definitivamente distrutto la nostra quiete domestica, alla fine ho dovuto ricredermi. Le perline di Minnie per costruire i gioielli si sono rivelate il regalo più azzeccato: mia figlia ha dimostrato una vera vocazione per la creazione di gioielli, così mi sono ripromessa di portarla a fare colazione ogni mattina da Tiffany. Che mamma sarei se non incentivassi le sue doti artistiche?
- il regalo più stravagante: l’ukulele. Credo non occorra una spiegazione dettagliata.
- il regalo più coinvolgente: la pianola. Nel senso che siamo tutti coinvolti, vicini di casa compresi, nel tentativo di togliere le pile a quell’aggeggio infernale – soavemente suonato dalla piccina.
- il regalo più gradito: la sorellina finta sul passeggino vero. Una vera figata, da non credere! E io non devo neanche allattarla, evvai!
‎mercoledì ‎22 ‎dicembre ‎2010, ‏‎18.42.21 | RobertaRossiGo to full article
ELISEO
Amico leale, maestro generoso.
Non hai idea di quante cose mi hai insegnato, te ne sono grata.
Ricordi la dedica che mi hai scritto regalandomi il tuo Grande libro di Sassuolo?
Sì Eliseo, mi sono messa a fare cose importanti e continuerò a farle, con la professionalità e l'onestà di cui tu sei stato un esempio.
Sarai sempre nei miei pensieri.
rob_photoCiao Eliseo.
Ti voglio bene.
‎mercoledì ‎15 ‎dicembre ‎2010, ‏‎0.23.08 | RobertaRossiGo to full article
IDEONA
Per l'uscita del mio prossimo libro (sempre che un prossimo libro ci sia e che soprattutto esca) avrei pensato a una cosa del genere
http://www.tgcom.mediaset.it/spettacolo/articoli/articolo498172.shtml

Visto che di grandi del cinema italiano si parla, proporrei l'alter ego dell'Arcuri, ovvero questo attorone qui

Vist 01_gabriel-garkoche volendo può sentirsi libero di spegnere la cicca sulla copertina del libro, dargli fuoco e denudarsi selvaggiamente. Faccia lui, avrà carta bianca (con immensa gioia delle mie amiche che finalmente compreranno volentieri un mio libro!).
‎lunedì ‎6 ‎dicembre ‎2010, ‏‎18.00.37 | RobertaRossiGo to full article
ATTENZIONE
Persone come queste ce ne sono. Per fortuna non dietro ogni angolo, ma ce ne sono, credetemi.
http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo497569.shtml
Non occorre andare nel Lincolnshire, chi specula sulle proprie (finte) disgrazie e sulla buona fede altrui può essere un volto che riemerge da un recente passato, una persona di cui avevi perso le tracce e che bussa alla tua porta col suo carico da novanta. Una figlia malata, un'operazione in America, qualche lacrima di circostanza e gli occhi puntati con malcelata avidità, come il lupo davanti alla preda, sul tuo blocchetto degli assegni. Salvo poi sibilare: "Meglio in contanti, prego".
Il lupo però mangia per fame. E attacca senza vigliaccheria.
Inutile augurare a questo tipo di gente la stessa fine cui millantano di essere destinate. Troppo scontato, troppo banale. Però la tentazione di tagliare le gomme dell'auto a quella persona che si è fatta dare dei soldi da un mio familiare puntando sul suo buon cuore, io ce l'ho avuta, eccome. E l'avrei fatto, se solo non fossi stata costretta a tagliare le gomme di un intero quartiere residenziale per essere sicura di tagliare le sue. Perché subire un inganno fa male, ma anche il conto del gommista non scherza.



‎sabato ‎4 ‎dicembre ‎2010, ‏‎16.52.54 | RobertaRossiGo to full article
ADESSO PARLO, ANZI SCRIVO IO
Voglia di togliermi qualche sassolino dalla scarpa? Eh sì.
Desiderio di riconoscenza (nei confronti di chi se lo merita) in questo periodo di festanti scampanellii e bontà natalizia? Può darsi.
Smania di prendere a mazzate (fisiche e metaforiche) chi non ha il minimo rispetto per la fatica, la professionalità, l'impegno di chi ce la mette sempre tutta, ricevendo in cambio maleducazione e istinto di sopraffazione prima di tutto perché è una giovane donna? Ci puoi giurare.
Bene, allora cominciamo.
Siccome è di recente uscito un libro che ho scritto personalmente dalla A alla Z, ma non mi è stata data la possibilità di spendere nemmeno una parola sul mio lavoro di ricerca e di scrittura, né tantomeno nessuno l'ha fatto al mio posto (basti pensare che il mio nome, pur comparendo in bozza tra i ringraziamenti, è stato eliminato al momento della stampa), lo faccio ora, sul mio blog, che è il mio spazio, la mia dimensione, una parte minuscola della mia anima.

In riferimento alla frase che compare nell'introduzione: "Roberta Rossi non lo conosceva bene il mondo del calcio, forse non lo amava nemmeno, eppure si è dedicata a questa impresa con l'impegno di chi scopre un mondo nuovo e vi si appassiona all'istante", preciso che:


Roberta Rossi, autrice dei testi che compaiono nel libro Sassuolo nel pallone, lo amava eccome il calcio, già prima di imbattersi e realizzare, non senza grandi difficoltà, questo progetto. Il mondo del calcio lo ha sempre conosciuto bene, benissimo, grazie al suo papà, Vittorio Rossi, che a tre anni le aveva insegnato la formazione dell’Inter e per molte (interminabili…) stagioni l’ha accompagnata allo stadio San Siro. Primo anello, tribuna arancio, talmente vicino al campo che si sentiva salire il profumo dell’erba bagnata, il fiato grosso dei calciatori e gli insulti a Coco.

Non ho avuto la possibilità di pubblicare sul presente volume né la mia biografia (sono una giornalista e scrittrice e amo il mio lavoro, non serve aggiungere altro) né i miei personalissimi ringraziamenti (che vanno alla mia famiglia, a Cristian, a Nicole, e ai miei amici più cari, tra cui Giorgio Casiraghi, avvocato sempre pronto a darmi buoni consigli). Un lavoro editoriale non può dirsi concluso se non si citano coloro che, durante il lungo e tortuoso percorso, hanno dato il loro contributo per la realizzazione dell’obiettivo più grande. Quindi grazie per il sostegno e il costante incoraggiamento. Grazie anche al personale della Biblioteca Estense di Modena e della Biblioteca "Cionini" di Sassuolo, a Luca Mazzacani per il numero infinito di classifiche trascritte a computer e a D. M. per la condivisione di certe difficoltà.
Sento mio questo libro, parola dopo parola, frase dopo frase, per quanto mi compete. Ci ho creduto fin dall’inizio e ho lottato con tutta me stessa, con orgoglio, determinazione e dignità per portarlo a termine.
Roberta Rossi


‎sabato ‎4 ‎dicembre ‎2010, ‏‎16.21.33 | RobertaRossiGo to full article
DOVEROSO OMAGGIO
A chi non se n'è persa una (obbligato da vincoli coniugali)
a chi ha fatto molta strada (in macchina o in treno) per dare il suo sostegno
a chi avrebbe voluto esserci, ma non ha potuto
a chi ha dovuto rinunciare a causa di una fidanzata troppo gelosa, come questi tre

brad-pitt-clooney-matt-damon
a chi mi ha chiesto (con tutte le ragioni del mondo) "Mamma, quando finisci di parlare?"
a chi ha apprezzato la mia torta di pere e cioccolato e non ha battuto ciglio quando si è dovuto pulire la bocca nella manica della giacca perché mi ero scordata i tovaglioli
a chi si è premunito di occhiali con gli occhi aperti dipinti, ma si è dimenticato di non russare
a chi ha cucinato una torta resistendo alla tentazione di mangirsela tutta prima della serata
a chi ha applaudito (seppur dormendo)
a chi mi ha dato una mano facendo magie col computer, creando il mio sito, preparando volantini, fotocopie, locandine (e sbuffando solo un pochino)
a chi si è emozionato guardando il dvd di Vitriola
a chi si è commosso ascoltando la lettura di una storia
a chi si è rotto le balle sentendo parlare dei miei libri
a chi ha scoperto che il mio lavoro è fatto di tanta passione, infinita pazienza e collaboratrici insuperabili (le mie due Margherite, sempre pronte a dare una mano con entusiasmo e professionalità)
GRAZIE, GRAZIE DI CUORE.
E GRAZIE
a chi avrà voglia di esserci anche il prossimo anno, quando nascerà terra marique e non dovrò più sentirmi dire da nessun editore che il mio libro, approvato e stampato, "fa schifo". Al massimo saranno i lettori a dirmelo e per me sarà una lezione per il futuro. Perché io non mi fermo.


‎sabato ‎4 ‎dicembre ‎2010, ‏‎12.14.37 | RobertaRossiGo to full article
SHOPPING A TRENTO
Dopo quattro giorni passati con la mia mamma e la mia bimba a Trento, per i mercatini di Natale, il mio portafogli ha avuto un attacco cardiaco e ora è in rianimazione: le speranze però sono nulle, stiamo pensando di donare ai bisognosi i 50 centesimi avanzati e i bigliettini da visita dei ristoranti a chi può permettersi di andarci. Non la sottoscritta, almeno per i prossimi… dieci giorni. Siamo onesti, vivo nella terra dei ristoranti gaudenti, non posso certo tirarmi indietro! Al massimo mi fermerò a scrostare i piatti dai residui di gramigna al ragù. Comunque i giorni trascorsi a Trento sono stati magnifici: sul mio viso è possibile ricostruire la mappa di tutte le cioccolate calde che ho bevuto unendo i brufoli; la mia schiena è a pezzi a causa del peso delle valigie, riempite di ogni ben di dio natalizio; la mia panza se la gioca con quella di Babbo Natale, visto che il ristorante del Grand Hotel di Trento in cui alloggiavamo è inserito nella Guida Michelin, nella Guida Gambero Rosso e nella Guida Panzoni d’Italia. A proposito di Babbo Natale, l’abbiamo incontrato di persona nella sua casetta, seduto sulla sedia a dondolo e circondato da due elfe ottuagenarie! Per mia figlia è stata una vera sorpresa e i suoi occhioni pieni di meraviglia sono stati l’immagine più bella della nostra mini vacanza (oltre alla gioia di mia mamma dopo aver svuotato un intero scaffale di Intimissimi). Ne abbiamo parlato e abbiamo deciso che il prossimo anno torneremo a Trento: vogliamo rivedere i mercatini di Natale, assicurarci che le nostre amiche commesse dei negozi del centro siano ancora al loro posto, verificare se riusciamo a battere il record di sette palline acquistate e una rotta in tre minuti da Maisons du Monde, infine dobbiamo scoprire cos’è quell’edificio col portone e un paio di guglie nella piazza vicino a Calzedonia. 435_1

‎sabato ‎20 ‎novembre ‎2010, ‏‎19.40.51 | RobertaRossiGo to full article
GIOVEDI' 25 NOVEMBRE 2010
Siete tutti invitati!

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‎venerdì ‎19 ‎novembre ‎2010, ‏‎12.13.03 | RobertaRossiGo to full article
TECNOLOGIA TI ODIO (MA NON POSSO FARE A MENO DI TE)
Non sono fatta per vivere nell’epoca del progresso tecnologico: io sono più un tipo da “Wilma passami la clava” e mi trovo bene quando i conti posso farli con le dita (cifra massima 5+4 o giù di lì). Eppure non posso rassegnarmi, anche perché sono convinta che, se dovessi decidere di ritirarmi in una qualsiasi caverna, vi troverei una rete integrata wireless. In generale faccio fatica a relazionarmi con qualsiasi cosa prenda vita infilandole una spina nel culo, ma soprattutto con:
- il computer = ieri, dopo avermi morso (giuro!), ha tentato di strangolarmi con il filo dell’ADSL, esasperato dai miei continui pigiamenti a casaccio dei tasti. Solo in un dettaglio io e il mio pc ci assomigliamo: l’icona di e-mule.
- la stampante = dopo mezzo giro di cartuccia, è prematuramente deceduta. Fuori uso. Caput. Il dramma è stato sceglierne la destinazione dopo il decesso: alla fine ha prevalso l’opzione esorcista post-mortem. Ecco spiegato il motivo dei rantolii ogni volta che tentavo di accenderla.
- il cellulare = mi trovavo bene con il modello che lui squillava e tu rispondevi. Ora non so cosa farmene dei tre quarti delle funzioni disponibili, figuriamoci se dovessi confrontarmi con un BlackBerry o con un i-Phone, tanto più che di quest’ultimo, santo cielo, siamo già arrivati alla quarta versione. Leggo su Wikipedia: “Questa nuova versione possiede una doppia videocamera, una posteriore da 5 MP, in grado di registrare video in HD a 720p, e una anteriore VGA per la nuova funzione di videochiamata tramite FaceTime”. Secondo indiscrezioni, la quinta versione sarà dotata di piedi e mani, ma soprattutto del dito medio, che userà in mia direzione ogni volta che deriderò la sua “telecamera posteriore da 5 MP”.
‎mercoledì ‎17 ‎novembre ‎2010, ‏‎22.25.40 | RobertaRossiGo to full article
MANONE
Vorrei spendere due parole su questo uomo quiimages
ovvero l’unico al mondo ad avere le mani più lunghe dei piedi.
Se fosse un animale, Gianni Morandi sarebbe un palmipede superdotato.
Se dovessi lottare con lui, preferirei che mi prendesse a badilate piuttosto che a schiaffi.
Se a scuola avessi avuto l’estensione dei suoi palmi, mi ci sarei scritta sopra la parafrasi di tutta la Divina Commedia.
Questo uomo farà Sanremo
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Secondo me bisognerebbe fargli fare la manona clapper da stadio
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‎lunedì ‎15 ‎novembre ‎2010, ‏‎22.51.44 | RobertaRossiGo to full article
DOMENICA
Ore 18.30
. Mi viene un’idea diabolica: portare la piccola che ci tiene in ostaggio da quattro anni a questa parte dai nonni e lasciarla lì per la cena. Mio marito acconsente, nonostante un paio di resistenze, peraltro falsissime, da padre giudizioso. La vista di un perizoma vagante lo convince senza riserve.
Ore 18.33. Mentre mio marito e la piccola sono sul pianerottolo, mi infilo nella vasca. Merda. L’acqua è bollente, resto accovacciata con le sole ginocchia immerse nell’acqua. Vado giù col sedere millimetro dopo millimetro: non so perché, ma immergermi di culo nell’acqua calda mi dà più coraggio che andare giù di pancia.
Ore 18.36. Sono completamente ammollo. Anche di pancia.
Ore 18.37. Tento di rilassarmi. La luce è spenta, la candela è accesa. L’atmosfera è invitante, dalla vasca salgono nuvole di fumo.
Ore 18.38. Fa sempre più caldo. Sto sudando. Sudano anche le piastrelle. E i sette nani a bordo vasca. È probabile che stia prendendo fuoco.
Ore 18.39. Sto prendendo fuoco. Deve trattarsi di una combustione interna, dato che l’acqua spegne sul nascere le vampate corporali. Mi farà bene tutto questo calore? All’ultimo campionato del mondo di sauna, un finlandese è morto. Bollito. Ma devo resistere fino al ritorno di mio marito, l’atmosfera è davvero invitante.
Ore 18.41. L’unica nota positiva della bollitura è che non mi cresceranno mai più i peli sulle gambe. Né sul resto del corpo. Pertanto evito di immergere la testa.
Ore 18.43. Provo a rilassarmi. Giocherello con un sette nano a caso. Purtroppo ho pescato Brontolo, che comincia a lamentarsi del bagnoschiuma al gelsomino e della ritenzione idrica sulle mie gambe.
Ore 18.44. Non mi sto rilassando per niente. Dove cazzo è mio marito? Oddio, e se non ha capito che lo sto aspettando in una vasca da bagno fumante, dove si potrebbe tranquillamente cuocere un intero pollaio? Andare e tornare da casa dei suoi è un’operazione che richiede non più di cinque minuti, in condizioni normali. Ammettiamo pure il traffico, ovvero due gatti che si avventurano sulle strisce pedonali, le condizioni meteo avverse e mia suocera che si sincera circa lo stato nutrizionale del suo figliolo: ma anche così è troppo. E se gli è successo un incidente? Oh no, avrà di sicuro i calzini bucati. Daranno la colpa a me perché non so cucire. E perché non gli taglio regolarmente le unghie dei piedi. Sto diventando paranoica.
Ore 18.46. Mi sono appena ricordata che nell’acqua, oltre alle gambe, è immersa anche un’altra zona pelosa. Santo cielo, diventerà pelata? Si vergognerà senza il suo soffice manto? Ecco mio marito, mi spiega che ha dovuto riprogrammare il decoder di suo padre, installargli il digitale terrestre, girare la parabola sul tetto verso nord per una migliore ricezione e mangiare un piatto di tortelli alla zucca per confortare sua madre. Il tutto mentre io diventavo implume al lume di candela.
Ore 18.49. Esco dalla vasca, sorretta da mio marito. Gira tutto, ho la tachicardia, la testa pulsa. Suppongono siano gli stessi sintomi post-sauna avvertiti dal finlandese (chissà se ha poi vinto il campionato del mondo post-mortem o se gli hanno almeno tributato una menzione d’onore come idiota dell’anno). Per fortuna i sintomi sono passeggeri, a parte le chiazze rosse sulle chiappe, che allevio con una generosa spalmata di Prep. Non è come tuffarsi nei fiori d’arancio, ma tant’è. Cerco comunque di apparire sexy e lasciva.
Ore 18.50. Non sono per niente sexy e lasciva. L’immagine del finlandese bollito mi tormenta. Caccio mio marito dal bagno e noto con una punta di dispiacere che tutti i peli sono al loro posto. Sto asciugandomi col phon quando un pensiero mi fulmina: mia madre! È in viaggio con mio papà verso casa loro, a momenti arriveranno. La prima cosa che farà sarà telefonarmi per dirmi che è entrata in autostrada, ha viaggiato accanto a papà per tutto il tragitto, è uscita dall’autostrada, è arrivata in garage, ha aperto il garage, ha chiuso il garage dopo che papà ha parcheggiato (o durante, tanto per fare la spiritosa), è salita in casa e mi ha telefonato. Un tipico esempio di notizie che mia mamma deve per forza comunicarmi. Non me la sento di telefonarle mentre so che è ancora in viaggio per dirle: “Non ti azzardare a telefonarmi mentre sarò BIIIP a fare BIIIP aggrappata a BIIIP nella posizione della BIIIP”. Preferisco mandarle un sms anticipatore con scritto: “Quando sarai arrivata a casa, noi staremo bene. Non chiamarci e se ci chiami e non rispondiamo, non sarà perché siamo stati sommersi dallo tsunami o perché un sacco di patate coi germogli ci ha mangiati vivi. Fammi uno squillo quando arrivi e ti richiamerò più tardi”.
Ore 19.03. Mentre io e mio marito, sopravvissuti alla sauna, al digitale terrestre e ai tortelli di zucca, ci godiamo finalmente un po’ di intimità, squilla il mio cellulare.
Ore 19.04. Squilla il telefono di casa.
Ore 19.05. Squilla di nuovo il mio cellulare.
Ore 19.05 e 30 secondi. Squilla di nuovo il telefono di casa.
Ore 19.06 e 15 secondi. Squilla il cellulare di mio marito.
Ore 19.07. Non squilla niente (il che è peggio perché ci fa temere l’imminente irruzione delle Forze Speciali o dell’Esercito della Salvezza).
Ore 19.08. Arriva un sms sul mio cellulare. Lo leggo esasperata, è di mia mamma: “Perché devo farti uno squillo e mi richiamerai più tardi. Ps. Davvero c’è il rischio tsunami a casa tua? Non pensavo potesse succedere anche coi fiumi. Non sarà il caso che ti sposti in collina?”.
Ore 19.08 e 7 secondi. Invio un sms a mia mamma: “Se questa volta il tuo genero non fa cilecca, bisogna premiarlo. Altro che finlandese!”.
Ore … Be’, la cilecca è stata scongiurata. Posso solo aggiungere che a noi Sting, sua moglie e le loro cinque ore ininterrotte di sesso non ci vedono nemmeno.
Ore 19.10. “Amore, hai messo su il brodo per la pastina?”.
‎sabato ‎6 ‎novembre ‎2010, ‏‎19.19.37 | RobertaRossiGo to full article
CHI SI FERMA E' PERDUTO
Quando il cervello è in movimento, è bene lasciarlo fare. Tanto c'è sempre tempo per correre ai ripari... E poi il periodo freddo e uggioso obbliga al rinnovamento, le idee piombano a fiotti come le foglie dagli alberi. Per farla breve, oltre alle novità già annunciate, c'è in programma uno spazio interamente dedicato ai libri e al buon cibo. Il progetto è in divenire, ci sono un sacco di cose da decidere e a cui dare una forma compiuta. Nel frattempo chiedo una mano ai lettori/visitatori di questo blog: cliccate su Commenti e scrivete qualche titolo di libro di cui vorreste una recensione, o perché l'avete letto e vi è piaciuto un sacco o perché l'avete odiato o perché semplicemente vi incuriosisce, ma vi butta male acquistarlo e leggerlo. Non importa che sia una pubblicazione recente o antica, basta che sia successiva all'invenzione della stampa di Gutenberg e facilmente reperibile.
Grazie mille per la collaborazione!
Roberta
Ps. Non saranno presi in considerazione i libri oltre le 460 pagine. Eh scusate, ma ho una vita anch'io! :)
‎giovedì ‎4 ‎novembre ‎2010, ‏‎14.46.41 | RobertaRossiGo to full article
RUBRICA: COME ERAVAMO (CESSE)
In attesa che qualcuno si faccia avanti spedendomi le proprie foto, ho deciso di inaugurare personalmente il nuovo spazio "da cesso-diciottenne a super-gnocca-alla-riscossa (?)". Guardate qui e giudicate voi stessi
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NONA FOTO














Da Mortimer a Donna pronta per il Senato.
Si astengano i maligni circa l'uso di photoshop: la seconda foto non è stata abbellita né la prima imbruttita. Giuro.
‎mercoledì ‎3 ‎novembre ‎2010, ‏‎22.16.44 | RobertaRossiGo to full article
NOVITA'
Parte una rubrica dal titolo COME ERAVAMO (CESSE). L’idea è di pubblicare la fototessera della propria patente e accanto mostrare l’evoluzione odierna: nonostante qualche ruga in più rispetto ai floridi diciotto anni, sono sicura che i miglioramenti si vedranno, eccome. Invito chiunque voglia partecipare a inviare la versione retrò di se stessa e la versione “qualche anno in più, ma molto più gnocca”. Angelina Jolie l’ha già fatto e si è detta soddisfatta del miglioramento della sua immagine (soprattutto grazie alla scelta di sostituire gli occhiali tondi con le lenti a contatto e di farsi crescere i capelli). Mi ringrazia molto per l’idea della mia rubrica e ha deciso di prestarmi Brad per un paio d’ore. Io ho declinato, ovviamente. Ma solo perché non avevo tempo di farmi la ceretta.

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‎lunedì ‎1 ‎novembre ‎2010, ‏‎22.07.34 | RobertaRossiGo to full article
ANSIA E DINTORNI
Le persone ansiose hanno uno strano modo di vedere le cose: pensano che dietro ogni angolo si nascondi una minaccia e se possono, esagerano. Per capire se una persona è ansiosa, basta farle notare che ha una STRANA macchiolina marron sotto il piede destro (non importa che ci sia per davvero, basta farglielo credere). La qualifica da ansioso patologico a menefreghista felice viene definita nella gamma di risposte che vanno da:
“Oddio, è da amputare?”
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“Avrò pestato una merda”
Un altro argomento spinoso per gli ansiosi è la conservazione dei cibi, ovvero uno dei più classici motivi di scontro tra me e mia mamma. Perché mia mamma È L’ANSIOSA.
Ecco alcuni estratti di conversazioni telefoniche in cui le chiedo consigli. Lei, piena di premure, me li dà e alla fine io, piena di angosce, penso di rinchiudermi in un rifugio antiatomico.
«Mamma, sono spuntati dei rametti molli sulle patate. Cosa faccio?».
«Prendi le patate e lanciale il più lontano possibile. Fai attenzione perché potrebbero esplodere».
«Quindi non le mangio?».
«Sei impazzita? Sono velenosissime. A meno che tu non voglia diventare fosforescente e bitorzoluta…».
«Be’ no, però mi dispiace buttarle».
«Non devi buttarle. Devi DISTRUGGERLE».
«E il tartufo? Al mercato mi hanno detto che dura almeno una settimana in frigo».
«No no. Intanto prima dell’uso va lavato, asciugato, depilato, spazzolato, phonato… Poi in frigo si conserva per mezza giornata, ma io gli darei sei/sette ore al massimo».
«E poi?».
«Poi lo lanci il più lontano possibile, eh».
Mia mamma è sicura di quello che dice perché queste cose le ha lette sull’enciclopedia. Sì certo, l’ENCICLOPEDIA DELL’APPRENSIVO.
‎martedì ‎26 ‎ottobre ‎2010, ‏‎11.58.37 | RobertaRossiGo to full article
3 OTTOBRE 2010
Ne ho viste di facce felici, ma la gioia stampata sui volti di due neo-sposini è inconfondibile. È un misto di sollievo dopo l’impresa appena compiuta (un’ora e cinque minuti davanti al sacerdote e al suo predicozzo-fiume), di euforia per la presenza di amici e parenti accorsi per i festeggiamenti e di panico trasformato in sorriso mascellare.
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Può essere che la strizza si sia a tratti impadronita di Daniele e Simona nel giorno più importante della loro vita, ma siamo tutti convinti che a strizzarli per bene sia stata più che altro la sangria.

Ma andiamo con ordine.
Il prete di Rubiera si è rivelato inflessibile: più di mezz’ora di ritardo e il matrimonio comincia, con o senza sposa. Onde evitare che Daniele si unisse in matrimonio con un chierichetto, Simona è arrivata in chiesa puntuale. È bellissima, raggiante come non mai. Accompagnata da suo zio, avanza sicura lungo la navata centrale. Daniele l’aspetta all’altare, visibilmente emozionato. Lei spera di non inciampare. Lui non ha occhi che per lei. Lei è a un passo dal momento più significativo della sua vita. Lui lo sa. Lei gli sorride. Lui le si avvicina e le dice: «Hai visto come sono bello?».
Ecco, e pensare che a questo punto lo sposo era ancora sobrio.
Per noi che eravamo lì come pubblico, la cerimonia è stata uno spasso (la nostra solidarietà è andata alla sorella della sposa, nonché sua testimone, Barbara, che dopo venti minuti inchiodata sulla sedia presso l’altare ha cominciato a manifestare i primi sintomi di insofferenza, arrotolando il libretto delle preghiere e tentando di fumarselo). Tra i momenti indimenticabili:
- il pianto isterico di un bambino e i tentativi (inutili) della mamma di farlo tacere, tra cui la minaccia di immergerlo nell’acquasantiera
- il canto da usignolo del prete, che dell’usignolo aveva solo il piumaggio

- il classico segno di pace che tra Luca e Fabrizio si è trasformato in: “Hey fratello, rock’n’roll”, a cui ha assistito esterrefatto il vicino di panca di Luca, che ha subito cambiato posto (fossi stata in lui, me ne sarei andata già al primo Padre Nostro)
Dopo il lancio del riso sul sagrato della chiesa e la reazione per niente infastidita del parroco, che un minuto dopo aveva già raccolto tutto con il Folletto e passato il Mocho Vileda, l’allegra brigata si è trasferita al Sider Park, bellissimo ristorante rubierese.
Mentre posava per le fotografie artistiche, la sposa si è guardata intorno e si è accorta che lo sposo se l’era data a gambe levate, essendo più a suo agio nei panni abituali di cameriere piuttosto che in quelli di fotomodello (strano però!).
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Sulle note di Ligabue, è cominciato il pranzo: il volume sparato dal dj era talmente alto che i commensali, per farsi passare qualsiasi cosa dal vicino di posto, hanno dovuto imparare al volo il linguaggio dei sordo-muti, accontentandosi di ricevere una sedia al posto del parmigiano grattugiato.
I fiumi di lambrusco e di sangria hanno fatto il resto, soprattutto in occasione della caccia al tesoro organizzata per mettere alla prova gli sposi circa la loro conoscenza reciproca. Pur di trangugiare gli ettolitri di alcol previsti come penitenza in caso di risposta sbagliata, alla domanda “come si chiama tuo marito?”, lei ha risposto Gustavo e alla domanda “qual è il sex symbol preferito da tua moglie?”, lui ha risposto Luciano Rispoli.
A questo punto è facile intuire le conseguenze: dopo aver fatto il giro d’onore su un’auto d’epoca agghindata con classe e parsimonia (che, giuro, Cristian ha venduto in Bulgaria dove tutti leggeranno “Puppo gay” e “Simo gnocca” pensando che si tratti di una nuova griffe italiana)
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gli sposi sono crollati. Letteralmente.
Essendo amica di entrambi, ma dovendo assolvere alle mie funzioni di cronista, mi limiterò a dire che:
- lo sposo non solo non berrà mai più il vino, ma d'ora in avanti sarà intollerante persino al color rosso rubino con retrogusto fruttato
- no, gli schizzi verdastri sui pantaloni di Cristian (che reggeva lo sposo in un momento di “sfogo”) non erano dovuti al fango, anche se alla lavandaia, per tranquillizzarla, abbiamo detto che il matrimonio è stato celebrato in un campo, in stile Woodstock
- la sposa è fermamente convinta di aver lanciato il bouquet (che, per il secondo matrimonio consecutivo, ho afferrato io, essendo immune per definizione al binomio bouquet afferrato-nozze in vista). In realtà quello lanciato non era il mazzolino di fiori portato all’altare, ma una quercia nana estirpata dal giardino del ristorante
Mentre lo sposo era già a letto da un bel pezzo, la sposa ha salutato gli ultimi ospiti, ma solo dopo averli ossessionati con la domanda “avete preso la bomboniera?”, salvo poi inviare un sms il giorno dopo a ciascun invitato chiedendogli “avete preso la bomboniera?” e ribadendo la stessa domanda per i cinque giorni consecutivi, via mail, via telegramma, via piccione viaggiatore. Una volta per tutte: Sì Simo, la bomboniera l’abbiamo presa, ma ti puoi immaginare che fine abbiamo deciso di farle fare!
In attesa che i coniugi Puppo tornino sani e salvi da Mauritius, si accettano scommesse tra queste tre ipotesi:

  1. A Malpensa verranno perquisiti e arrestati perché sospettati di traffico internazionale di oggetti sado-maso a causa di una frusta, di un paio di manette e di un tira-pisello (rotto!) malamente nascosti in valigia
  2. Daniele sbarcherà dall’aereo pallido e dimagrito in seguito alla maratona di sesso a cui l’ha sottoposto Simona dopo il flop della prima notte di nozze, quando (cito testualmente) “lo sposo rantolava come un alce ferito”
  3. Simona sbarcherà dall’aereo in splendida forma, con al suo fianco un tizio scuro, alto e si suppone ben dotato che lei indicherà a tutti come “è Daniele, mio marito! Sul serio non lo riconoscete?”. Nessuna supposizione circa la misteriosa scomparsa del VERO Daniele tra le mangrovie mauriziane
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‎giovedì ‎7 ‎ottobre ‎2010, ‏‎16.37.20 | RobertaRossiGo to full article
GIOVEDI' 14 OTTOBRE 2010
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Siete tutti invitati alla presentazione del libro di Eliseo, che è il mio maestro, ma prima di tutto uno dei miei più cari amici. Colto da improvvisa follia, Eliseo mi ha chiesto di intervenire alla serata, porgendo alcune domande agli ospiti (di livello e fama internazionali!). Ho accettato, convinta che, sparita la botta di follia, Eliseo mi avrebbe sollevata dall'incarico: invece ha addirittura messo il mio nome su locandine e inviti. Oh merda. Comunque in qualche modo me la caverò. Qualche giorno fa aggiornavo alcuni amici circa i miei ultimi impegni, compresa la serata al De André. Allora Luca mi fa: "Fai la scrittrice, la giornalista e adesso anche la presentatrice. MA UN LAVORO VERO?"
Be', per quello c'è tempo...
‎mercoledì ‎8 ‎settembre ‎2010, ‏‎16.01.57 | RobertaRossiGo to full article
LE IMMAGINI PIU' BELLE DI UN'ESTATE DA RICORDARE
L’estate sta finendo e un anno se ne va, sto diventando grande (vecchia), lo sai che non mi va eccetera eccetera. Fuori piove, i miei capelli sono un incrocio tra una marmotta selvatica e un tappetino umido, le foglie cadono, l’umore fa schifo e via dicendo. Il governo va a rotoli, la crisi economica è alle stelle, Topolino sta con Minnie e Pippo… pippe. Insomma, le solite cose. Ma a me quest’estate 2010 resterà nel cuore per un sacco di buone ragioni:
- Ragione numero uno: una settimana a Pinarella di Cervia con la mia piccola ma chiassosa famiglia. Dopo estenuanti trattative, una sera mia figlia ha scelto il regalo (promesso in cambio di un tuffo in piscina con tanto di braccioli, ciambellone, paracadute che neanche il mega yacht di Abramovich è tanto accessoriato). La scelta è caduta su un mini tagliaerba all’apparenza innocuo. Quando la piccola è uscita dal negozio alla guida del suo nuovo attrezzo agricolo, ci siamo resi conto che il rumore prodotto dal giocattolo era superiore al fracasso di una moto trebbiatrice arrugginita. Da notare che Pinarella è la patria del silenzio (a parte in spiaggia dove ti urlano nelle orecchie anche le meduse) e della cortesia: un giorno ho visto un signore dire a un altro “scusi per il disturbo, le dispiacerebbe posteggiare il suo pattino un paio di centimetri più in là del mio piede spappolato dalla sua prua? Cordiali saluti…”. Con la bimba trionfante dietro il suo tagliaerba, pur nel silenzio notturno, non ce la siamo sentita di rovinarle la festa; ma lungo la strada dal negozio all’albergo, abbiamo notato più di un vecchietto abbandonare la sua stanza all’urlo di: “I tedeschi, ci bombardano, mettiamoci in salvo!”.
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- Ragione numero due: le zanzare. Ebbene sì, quei piccoli insetti pungenti e demoniaci mi mancheranno e nonostante le ore passate a grattarmi, le bolle cosparse sul corpo, l’Autan usato (inutilmente) anche come dentifricio, voglio ringraziare soprattutto la specie Tigre perché ha saputo risvegliare nel mio uomo l’istinto da cacciatore sepolto da secoli di evoluzione pantofolaia. Una sera l’ho visto partire verso il salotto armato di uno spazzettone e brandirlo come se fosse una lancia; l’ho sorpreso mimetizzarsi col ciliegio della libreria per cogliere di sorpresa l’intrusa; ho scorto nei suoi occhi un lampo di trionfo quando finalmente l’ha catturata e infilzata con uno spiedino per abbrustolirla sul fuoco. La denuncia da parte dell’ENPA è un’altra storia e comunque non intendo parlarne in questa sede.
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Ragione numero tre: Storie di Vitriola. Facciamo i seri? Trattasi di una pubblicazione di un certo respiro geo-sociologico, realizzata in collaborazione con le mie amiche Margherite (una Casolari - editor, l’altra Meani - fotografa) che abbiamo presentato il 7 agosto presso la vitriolese Villa Anna Maria. Strano che non ne abbiate sentito parlare, per giorni i telegiornali non hanno fatto che riportare la notizia, rubando francamente un po’ troppo spazio alla questione “Perché le vuvuzelas non se le sono infilate in quel posto?”. Sul numero dei partecipanti si è scatenata una bagarre: il TG1 ha detto “pubblico scarno, ridotto a due pini forse pagati come figuranti, tutti gli altri erano davanti alla tv per la cinquantanovesima replica del Commissario Rex”; il Tg3 ha confermato “i vitriolesi snobbano la cultura, erano tutti in fila per una salsiccia e una birra media alla locale festa dell’Unità”; infine Studio Aperto ha azzardato “ci è sembrato di vedere Belen pippare dietro la statua di un putto da giardino, ma forse era una resdora con l’allergia da fieno”. In realtà i partecipanti li abbiamo contati uno ad uno: 150 persone, di cui ottanta seduti, venti in piedi, trenta assiepati sui cespugli, diciannove arrampicati sulle querce e uno disperso nel sottobosco.
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‎lunedì ‎2 ‎agosto ‎2010, ‏‎22.49.22 | RobertaRossiGo to full article
STORIE DI VITRIOLA
Dopo un anno di interviste, viaggi su e giù per borgate sperdute (ma incantevoli), richieste di aiuto a tutti quelli che sapevo non mi avrebbero detto di no (e sono tantissimi), pagine e pagine di racconti (letti e riletti da Margherita) e foto splendide (scattate dalla Maggie), finalmente è pronto Storie di Vitriola! Il libro sarà in vendita a partire da sabato 7 agosto: per quel giorno, l'appuntamento è a Vitriola, dalle ore 18, presso Villa Anna Maria, a pochi passi dal centro del paese. Siete tutti invitati!
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Ps. Chi si fosse rotto le balle di partecipare alle presentazioni dei miei libri, sappia che ci saranno giovani e bravissimi musicisti e un buffet di dolci offerto da Gualmini Torte (gente che se ne intende... non so se mi spiego). Quindi niente torta pere e cioccolato della casa!
‎martedì ‎25 ‎maggio ‎2010, ‏‎0.38.40 | RobertaRossiGo to full article
IL SENSO DELLA MIA VITA
Questa sera, a tavola, mia figlia non la smetteva più di parlare. Allora, rivolgendomi al suo papà, ho detto: <<Ti ricordi quando ci lamentavamo perché non diceva neanche una parola?>>. Poi, guardandola mentre mangiava un boccone di pesce Nemo, ho aggiunto: <<Eppure non tornerei mai indietro. Come facevo quando non c'era?>>. E mia figlia ha risposto: <<Ma adesso ci sono!>>. Ecco, questo è il senso della mia vita.
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‎domenica ‎2 ‎maggio ‎2010, ‏‎23.14.24 | RobertaRossiGo to full article
AVVISO
E' on line il mio sito nuovo di zecca e luccicante. Fatevi un giro:
www.robertarossi.net
‎domenica ‎2 ‎maggio ‎2010, ‏‎23.08.34 | RobertaRossiGo to full article
LA FRASE DELLA SETTIMANA
Mentre avevo in braccio mia figlia che ha tre anni e stava mangiando un grissino, all'improvviso sento una puzzetta inconfondibile. Allora le chiedo: <<Amore, hai fatto una scoreggina?>>. E lei: <<Io no. Ma forse è stato il grissino!>>. Da allora in casa mia non si parla che del grissino scoreggione.2341375586_4811872817

‎lunedì ‎12 ‎aprile ‎2010, ‏‎14.59.08 | RobertaRossiGo to full article
IL BELLO DELLE VACANZE
Si avvicina (lentamente) l’estate e il tema vacanze comincia a fare capolino. Io avrei pensato a una cosa del genere
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Ma per non sembrare troppo esosa, mi accontenterei anche di
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Temo però che dovrò abbandonare i sogni di gloria, dato che mia figlia, che ha tre anni e il carattere di Napoleone Bonaparte, ha già deciso dove si andrà quest’estate: Pinarella di Cervia. Dopo tutto, per il terzo anno consecutivo, dovrà controllare che ci siano ancora le giostrine, Pinocchio e la foca, il gommone di Lupo Alberto, la moto e la macchina da corsa, il cavallo al galoppo. E il suo faccino contento vale più di qualsiasi paradiso caraibico (le mamme tendono a consolarsi in questo modo…). Tra l'altro, a quanto pare, le giostrine non piacciono solo a mia figlia: ricordo che l’estate scorsa mandammo ai nonni paterni via mms la seguente foto
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E mia suocera, presa dall’entusiasmo misto a commozione, in tutta fretta scrisse il seguente sms: <<Uuuh, ma che bel cavallino!>>. Solo che, noncurante della tecnologia moderna, lo mandò a un numero a casaccio della sua rubrica: il giorno dopo, sul posto di lavoro, rimase sorpresa dell’atteggiamento ammiccante del commercialista!
‎martedì ‎9 ‎marzo ‎2010, ‏‎0.54.05 | RobertaRossiGo to full article
ROSICONA SI', MA CHISSENEFREGA
Supponiamo che negli ultimi dieci anni abbiate vissuto in una grotta. Supponiamo che per la prima volta vi imbattiate in questa foto, senza sapere chi siano, cosa facciano, dove si trovino questi due:
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Onestamente, dico onestissimamente, non vi verrebbe da dire: "Toh, un vecchietto in frak schiaccia il naso contro la faccia di una ragazza con due belle labbra e uno sfogo di acne populosa sulla fronte"? Ora biasimatemi pure, datemi della rosicona impenitente, fatemi bere per punizione un litro di tisana al finocchio, ma cosa volete che vi dica: a me questi due non mi convincono proprio!
‎sabato ‎6 ‎marzo ‎2010, ‏‎12.51.39 | RobertaRossiGo to full article
EMOZIONI
Esistono momenti da incorniciare, situazioni che cinque minuti prima di iniziare ti fanno tremare le ginocchia, cinque minuti dopo aver finito ti fanno venir voglia di ricominciare daccapo, riafferrare il microfono e riprendere a raccontare la tua storia (non fosse che gli inconfondibili zzzzzzz delle ultime file ti suggeriscono che è meglio finirla lì). Uno di questi momenti è stata la presentazione del mio romanzo a Vedano al Lambro, di fronte per la prima volta ad amici (tanti), parenti (pochi ma buoni), un sacco di conoscenti che non mi aspettavo di vedere tra il pubblico (tipo la mia maestra delle elementari, il mio professore di latino ai tempi dell'università, il mio primo dottore, la mia insostituibile madrina e una ventina di comparse pagate a caro prezzo per enfatizzare la riuscita della serata). Ho già avuto modo di ringraziare (ma lo faccio ancora con grande affetto) gli organizzatori, i miei favolosi e indomabili pr, tutti i presenti (soprattutto quelli che non erano lì solo per il buffet), i giornalisti che hanno dato spazio al mio lavoro e in particolare la mia amica Margherita, compagna delle più significative tappe della tournè di Lasciami andare. Ritornerò!
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‎domenica ‎28 ‎febbraio ‎2010, ‏‎19.16.24 | RobertaRossiGo to full article
GATTI, TETTE E COCAINA
Beppe Bigazzi è stato sospeso dalla Prova del cuoco per aver dato una ricetta sui gatti: per questa uscita culinaria, poco felice va bene, ma non certo demoniaca (esistono libri che riportano modi per cucinare le tartarughe e a mio avviso avere in menù un piccione bollito è quanto di più tremendo possa esistere…) è stato addirittura ipotizzato il reato di istigazione a delinquere. E certo, come se tutte le telespettatrici, invasate dal suggerimento bigazziano che cadeva giusto all’ora di pranzo, si siano arrampicate fino alla finestra del vicino per acciuffare il gatto incautamente appollaiato sul davanzale e sbatterlo in padella, ma solo dopo aver infornato un opossum all’aceto balsamico e sei pappagallini panati. Se le ricette feline di Beppe Bigazzi istigano a delinquere, cosa dire allora di queste due (o meglio di queste quattro)?
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Se le ragazze italiane, imitando l’esempio di certe eroine televisive, ricorressero al chirurgo estetico per una settima, soffocando alla prima occasione il proprio fidanzato costretto a soccombere sotto cotante protuberanze mammarie, non si parlerebbe di omicidio preterintenzionale e quindi di istigazione a delinquere? E se Morgan va da Santoro e ribadisce di usare la cocaina come antidepressivo perché tanto fa meno male del Tavor, del Valium e del Lexotan, non è questa istigazione a diventare tossicodipendenti depressi? O è pura e semplice IGNORANZA?
‎domenica ‎28 ‎febbraio ‎2010, ‏‎19.07.06 | RobertaRossiGo to full article
SONO SODDISFAZIONI!
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Non a caso, questo ragazzo è reggiano. E qui c'è gente che, pur non distinguendo un paio di sci da una racchetta da tennis, un po' reggiana lo è, quindi partecipa con tanto di lacrimuccia alla grande gioia appenninica (e italiana). GRANDE RAZZOLI!
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‎mercoledì ‎24 ‎febbraio ‎2010, ‏‎1.28.42 | RobertaRossiGo to full article
CHE TRISTEZZA
Vengo a sapere che il Lambro, quel fiume nel quale da piccolo mio papà si tuffava senza temere di diventare radioattivo, è stato inondato da 600 mila litri di gasolio e olio combustibile, con grave danno per le acque, per la fauna e per la flora. Un vero strazio, soprattutto se penso alle povere papere che mia figlia, in gita nel parco di Monza col nonno, non vedrà più. Non che non fossimo abituati all’inquinamento del fiume brianzolo – a nessuno della mia generazione è mai venuto in mente di farci un tuffo, se non per un tentativo di suicidio – ma 600 mila litri di danno (intenzionale) sono francamente troppi.
Ecco le immagini:
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Da notare, sulla sinistra, uno strano esemplare della fauna locale: secondo indiscrezioni, si tratterebbe di una paperetta trasformata in grizzly dopo la grande inondazione inquinante.
‎lunedì ‎18 ‎gennaio ‎2010, ‏‎23.54.15 | RobertaRossiGo to full article
ANNO NUOVO RUBRICA NUOVA
Ci sono generi di persone che proprio non sopporto, tipo le vecchie che attraversano la strada alla velocità di lumache bavose trascinando carrelli trapuntati di stoffa scozzese dentro cui nascondono gatti morti mentre alle spalle della tua auto che si è inchiodata a un paio di millimetri da quel poltergeist si forma una fila chilometrica da cui si innalza al tuo indirizzo un corale “mortacci tua” in perfetto romanesco anche se vivi in provincia di Reggio Emilia come a dire “tirala sotto quella vecchia” eh certo tanto in galera ci finisco io.
Inauguro una nuova rubrica che avrà come oggetto di interesse quelle tipologie di persone che detesto per motivi evidenti e inconfutabili, contro le quali scaglierò dardi infuocati - non potendo infilargli sotto il sedere mentre si siedono le puntine da disegno.
Significato sociologico della rubrica: non pervenuto.
Finalità edificante della rubrica: nessuna.
Scopo terapeutico della rubrica: elevato.
Il primo dardo infuocato lo lancio contro quelli che organizzano nei minimi dettagli un omicidio, ma solo dopo aver invitato a cena uno di questi personaggi:
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Miss Marple
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Jessica Fletcher
dai quali vengono ovviamente sgamati. E gli sta bene (soprattutto quando usano l'attizzatoio).
‎sabato ‎19 ‎dicembre ‎2009, ‏‎10.34.33 | RobertaRossiGo to full article
AVVISO AD AMICI E PARENTI
So che viviamo in un paese democratico, ma la democrazia in casa mia non esiste: comanda la sottoscritta. Per esempio, se dico che stasera si mangia la pasta bianca, stasera si mangia la pasta bianca, perché so quello che dico (provate voi a mangiare la maionese scaduta da tre mesi o i datteri sopravvissuti al cenone dello scorso anno, ovvero le uniche cose che maramaldeggiano nel nostro frigorifero). Quindi so quello che dico nel momento in cui pubblico la lista dei regali di Natale per mia figlia che non saranno ammessi in casa mia:
- perline di Hello Kitty
- perline di Trilly
- perline di Barbie
- perline di una fricchettona qualsiasi
perché le perline sono mine vaganti, soprattutto per il sistema nervoso. Inoltre:
- pongo
- didò
- creta
- cemento armato
ma sarà ben accetto il marmo bianco di Carrara, caso mai la bimba si rivelasse una piccola Canova (in questo caso non dimenticate lo scalpello). Vietatissimi:
- bambolotti più alti non tanto della bimba, quanto della sua mamma
- gatti finti che miagolano
- cani veri che abbaiano (ho promesso al papà che l’avrei specificato)
- cicciobelli che fanno pipì, pupù, russano come cinghiali, vomitano se hanno preso il virus intestinale, gli viene pure la febbre che poi ti voglio vedere a infilargli la supposta di tachipirina in fessure che si sono dimenticati di includere nella confezione. Infine:
- il ferro da stiro
- l’asse da stiro
- la scopa e la paletta
- l’aspirapolvere
anche se il passaggio in cui Biancaneve, appena arrivata nella casetta dei sette nani, si mette a rifare i letti e a pulire i pavimenti, temo abbia già fatto la sua parte.
Per inciso, nonostante alcune tendenze hitleriane, non sono una dittatrice.
Ma sulle perline non transigo!
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BUON NATALE A TUTTI!!!
‎sabato ‎14 ‎novembre ‎2009, ‏‎19.37.49 | RobertaRossiGo to full article
LE PERLE DELLA SETTIMANA
Al terzo posto, ma solo perché ha tre anni (nella convinzione che ci regalerà molte altre delizie), mia figlia. Riferendosi a un suo compagno d’asilo non proprio chiaro di carnagione, ha detto: «Mamma, ho un amico marròn».
Al secondo posto, a dimostrazione che la tecnologia moderna… “questa sconosciuta”, la mamma della mia amica B., che alla figlia ha detto: «Uh, ho sentito parlare di Fantasmagor. Ma sì, Fantasmagor». E con un’espressione a metà tra l’irritato e il sorpreso: «Non fare quella faccia, non conosci Fantasmagor?». Pare si riferisse a Facebook.
Al primo posto, perché l’autrice di questa definizione è un vero mito, la mia amica S., che rivolgendosi al suo moroso ha detto: «Piantala di guardare quella ragazza con l’occhio trombino!». Dicesi OCCHIO TROMBINO “lo sguardo fisso tipo pesce lesso/triglia surgelata del maschio in punta, unito a un sorrisetto abbozzato sulle labbra e a un atteggiamento ammiccante tipo Brad Pitt in Vi presento Joe Black (ma che purtroppo per tutti nemmeno lontanamente gli somiglia)”. [Dal vocabolario tecnico-scientifico della mia amica S.]
‎venerdì ‎13 ‎novembre ‎2009, ‏‎15.47.17 | RobertaRossiGo to full article
LA SCOPERTA DEL SECOLO
Ho fatto una scoperta incredibile: i puntini bianchi che ogni mattina il mio fidanzato lascia sullo specchio del bagno non sono semplici schizzi di dentifricio, ma messaggi in codice! Per puro caso ho deciso di unirli col mascara ed è apparsa la scritta: “Oggi pranzo fuori”. E’ fantastico, il mio fidanzato ha elaborato un sistema di comunicazione sofisticato e preciso, tra l’altro impossibile da eliminare visto lo stato di solidificazione avanzata degli schizzi di Mentadent. Comunque lui è diventato abilissimo a schierare i puntini in modo da mettermi al corrente sulla temperatura esterna, su chi andrà a prendere la bimba all’asilo, su cosa vorrebbe per cena, cu chi ha vinto il Gran Premio di Monza nel 1961. Così io sono aggiornata su tutto e grazie a lui sto persino imparando il giapponese antico. A questo punto, dopo sette anni di convivenza, siamo pronti a elaborare nuove tecniche di comunicazione, tipo:
- sul tappeto persiano del salotto potremmo scrivere la lista della spesa utilizzando il taglierino: scrivendo ad esempio “sei etti e mezzo di macinato misto” ne uscirebbe un intarsio delicatissimo
- potremmo colorare i petali delle margherite del copripiumone in modo da comporre numeri di telefono o l’estrattoconto mensile
- infine sarebbe romantico deviare la canna fumaria del camino verso l’interno della casa e dirci TI AMO coi segnali di fumo
In quest’ultimo caso temo che, prima di arrivare alla A, saremmo già intossicati.
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‎giovedì ‎12 ‎novembre ‎2009, ‏‎0.16.16 | RobertaRossiGo to full article
TRE ANNI FA
Non è una foto recentissima, quel fagottino lì ora è una bimbetta con un caratterino niete male. Però non riesco a resistere alla tentazione e mi trovo costretta a pubblicare un'immagine che rappresenta uno dei momenti più intensi della mia vita: sulla destra il mio papà emozionato alla vista della sua nipotina nata da poco più di dieci ore, al centro una bimba in miniatura, sulla sinistra... bè, sulla sinistra la mia mamma che o aveva visto un ginecologo travestito da Shrek o le era venuto in mente che prima o poi Nicole avrebbe fatto tardi la sera, come la sua mamma qualche anno fa.NICOLE 2006 008
Comunque poco dopo, tutto bene
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‎martedì ‎10 ‎novembre ‎2009, ‏‎14.52.05 | RobertaRossiGo to full article
CRAZY GIRLS
Un omaggio all'amicizia, ricordando in una giornata piena di pioggia momenti indimenticabili. E se anche il giro intorno al palo non siamo mai riuscite a farlo, NOI abbiamo tante altre qualità.
http://www.youtube.com/watch?v=PFaBKg5iEwU
‎martedì ‎10 ‎novembre ‎2009, ‏‎0.54.31 | RobertaRossiGo to full article
NOVITA'
Sono orgogliosa e felice di annunciare la nascita del Club del libro! Siccome mi vanto di essere tra le fondatrici del club (insieme alle mie amiche Simona e Margherita), utilizzo le pagine del mio blog per fare un po' di sana pubblicità al nostro progetto. Se qualcuno avesse voglia di partecipare in prima persona o con suggerimenti, idee, consigli, sappiate che ne saremmo felici. Tenete presente che si tratta di un club tutto al femminile, quindi se siete uomini potete rilassarvi e continuare a pensare ai fatti vostri, a meno che non abbiate sostenuto in passato un provino per entrare a far parte dei California Dream Men e tutt'oggi abbiate una aspetto che rasenta il seguente:
deppQui di fianco trovare il link del blog: www.ilclubdellibro.splinder.com
‎lunedì ‎2 ‎novembre ‎2009, ‏‎19.36.57 | RobertaRossiGo to full article
APPUNTAMENTI DI NOVEMBRE
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Per non farvi venire due occhi così, riassumo:
PRESENTAZIONI DI LASCIAMI ANDARE. RITORNERO’
APPUNTAMENTI DI NOVEMBRE
Giovedì 26 novembre
Ore 19
Caffè Livre e des Arts
Via Emilia Centro, 103
Modena
Sabato 28 novembre
Ore 21
Sala della Cultura
Via Italia, 13
Vedano al Lambro
(Monza e Brianza)
Introduce: Margherita Casolari






‎mercoledì ‎28 ‎ottobre ‎2009, ‏‎23.47.46 | RobertaRossiGo to full article
INSEGNANTE VS MECCANICO
Per una volta ero contenta di una pubblicità idiota in cui un vecchietto (Christian De Sica) ci provava con una gnocca (Belen Rodriguez) nel ruolo di una professoressa di latino.
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Il fatto è che io sapevo perfettamente cosa fosse la PERIFRASTICA, citata da Belen con la stessa consapevolezza che avrebbe il mio calzolaio citando la sindrome di Tourette. Poi però mi sono avvilita: va bene che siamo in epoca di precariato, ma lasciare l’insegnamento per aprire un’officina meccanica in società con due Barbie che al massimo potrebbero cambiare l’olio nella golf di Big Jim, mi sembra eccessivo. Anche se è risaputo che gli spinterogeni rendono molto di più dei verbi deponenti...
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‎venerdì ‎23 ‎ottobre ‎2009, ‏‎12.35.03 | RobertaRossiGo to full article
SE NE VANNO SEMPRE I MIGLIORI (E I PEGGIORI RESTANO)
Durante l’evoluzione si sono estinte un sacco di cose: i dinosauri, gli ittiosauri, i mosasauri, i PELIcosauri, insomma tutti i sauri, e anche i principi azzurri, la lira, l’Eucommia montana e soprattutto il soldino del Mulino Bianco. Ma, nonostante siano inutili, o meglio SUPERFLUI e fastidiosi come le etichette sulle mutande, ci sono esseri che sopravvivono a ogni passaggio epocale, mutazione genetica, cataclisma glaciale: i PELI. Benché sia ormai chiaro che non servano a niente – se non a far felici gli ingegneri laureati in lame rotanti e disboscamento epidermico della Gillette – i peli si rinforzano sempre più, tanto da occupare aree sempre più estese del corpo dall’età dello sviluppo in avanti. E sono quasi convinta che, zitti zitti, sotto i jeans o le calze ultra-coprenti, i peli abbiano elaborato un sistema per sopravvivere a rasoi, cerette, creme di ogni tipo: nel primo caso si tuffano sottopelle e poi ritornano fuori alzando il dito medio, nel secondo caso abbandonano il campo promettendo di ritornare quanto prima, più numerosi e rinvigoriti che mai, nel terzo caso la vivono come l’equivalente di una distruzione chimica di massa, ma poi te la fanno pagare con gli interessi. Vivessimo in una società in cui dici chissenefrega se assomiglio a una scimmia macaco… ma purtroppo non è così. Anzi. Per quanto mi riguarda, potrei azzardare che la lunghezza dei miei peli superflui sia inversamente proporzionale alla mia autostima. Per esempio, d’estate che sono sempre allegra, abbronzata e disinvolta, non permetto a quegli esseri di impadronirsi delle mie gambe, passando gran parte della giornata a estirparli, minacciarli e a rinfacciargli di avermi rovinato i momenti migliori della mia vita, come quella volta che un mio fidanzatino mi disse che avrei dovuto farmi i codini (ma non si riferiva ai capelli). Invece con l’arrivo dell’autunno è normale lasciarsi un po’ andare, ma a volte si esagera di brutto, tanto che alle soglie della primavera si è pronti per la grande tosatura. Comunque, come dicevo, si può valutare la percezione che ho di me stessa misurando per quantità e lunghezza i peli che infestano le mie gambe e invertendo la proporzione. Tipo:
- gambe lisce da post-depilazione = gente fate largo, la dea Venere sta per scendere dall’Olimpo!
- follicolo pilifero che fa capolino (ossia quarantasette secondi dopo il caso precedente) = oh merda, era meglio se Venere avesse indossato un paio di calzettoni e un’armatura dei crociati, tanto per andare sul sicuro
- pelo di un millimetro = sono ancora ottimista perché nutro la speranza di diventare il primo caso di donna sui cui arti i peli abbiano compiuto un suicidio di massa
- pelo di un centimetro = è la fine, anche perché di solito da questa fase in avanti i peli si biforcano e si diramano ospitando nidi per gli uccelli
- setole tipiche di un cinghiale selvatico = non mi alzo dal letto, non perché mi senta a disagio con me stessa, ma perché temo di trafiggere qualcuno passandogli accanto
- chioma liscia e fluente (grazie all’uso del balsamo) = a questo punto la mia autostima è talmente compromessa che decido di fregarmene: indosso un paio di bermuda e me ne vado in giro cantando sotto la pioggia. Il problema è che con l’umidità i peli tendono ad arricciarsi e a quel punto mi vergogno un po’
‎giovedì ‎8 ‎ottobre ‎2009, ‏‎10.43.36 | RobertaRossiGo to full article
METAMORFOSI
E’ un’epoca di strani cambiamenti. E metamorfosi radicali. Per esempio, una volta c’erano le zanzare, che erano più o meno così
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Non dico che fossero attraenti o che ispirassero particolare simpatia, però erano diventate quasi tollerabili, ormai di famiglia, come una zia vecchia e petulante che la vedi solo d’estate, ti rompe le palle a più non posso, però alla fine ti ci abitui e quando la schiacci con un caterpillar, un po’ ti dispiace. Invece ora, non si sa bene come – si parla di container infestati arrivati dall’Africa o molto più probabilmente di un esperimento da laboratorio sfuggito di mano a quelli dell’Autan – siamo tormentati da una nuova tipologia di insetti pungenti. Questi:
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La zanzara tigre è indomabile e invincibile, negli ultimi anni ha messo su una corazza che svela la sua parentela con la tartaruga di terra, con la differenza che è più veloce di Usain Bolt, ma solo se dopata. E la zanzara tigre è sempre dopata. In pratica, l’effetto di droghe, i fenomeni atmosferici, i virus ci stanno cambiando. Per esempio, se per l’influenza normale un tempo ci riducevamo così
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è probabile che dopo il contagio da suina, ci ritroveremo così
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Per inciso, maiale.
Il bello è che, col culo che mi ritrovo, sono quasi sicura che dopo una settimana di suina e tre supposte, io diventerei tale quale a Miss Piggy
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‎mercoledì ‎23 ‎settembre ‎2009, ‏‎1.02.46 | RobertaRossiGo to full article
ODE ALL'AUTISTA
A parte che ogni giorno (o quasi) torna a casa con un'incisione rupestre sul viso, la nostra bimba è contenta di frequentare la scuola materna o scuola d'infanzia. In pratica, il vecchio asilo. Sarà premura della sottoscritta mettere al corrente i lettori di questo blog sulle novità riguardanti la nostra avventura alla scuola dei bimbi grandi. Ad esempio, proprio oggi ho firmato l'autorizzazione che dà il via libera a mia figlia a partecipare alla gita per la vendemmia. Partenza alle nove, tutti in pullman, rientro alle 11.30. Fin qui tutto bene, peccato non ci abbiano detto che il pullman lo guida Otto Disk.
OTTO DISK
‎venerdì ‎18 ‎settembre ‎2009, ‏‎1.32.43 | RobertaRossiGo to full article
LE VERITA' NASCOSTE
Se siete donne e usate i Lines Seta Ultra alati (oppure se siete uomini e avete strane abitudini) vi sarete accorte che da un po’ di tempo a questa parte appaiono sulle confezioni alcune notizie e suggerimenti su come affrontare la sindrome premestruale. Dicesi sindrome premestruale quel periodo di 4-7 giorni che precedono il ciclo, caratterizzati da sintomi riconoscibilissimi: irritabilità, tensione emotiva, cambiamento d'umore, insicurezza, crisi di pianto immotivate, manifestazioni depressive, aggressività, scarsa concentrazione, stanchezza, tensione mammaria, dolore al seno, gonfiore addominale, aumento di peso, caviglie gonfie, mal di testa, emicrania, ma soprattutto un irrefrenabile istinto omicida. Tutta roba che ci rende desiderabili agli occhi degli uomini, ben volute sul posto di lavoro, adorate da tutti, in particolare dalle guardie carcerarie di Guantanamo quando gli serve qualcuno che metta in riga i prigionieri disubbidienti. Bene, sulle confezioni di assorbenti si trovano frasi di questo genere:
1) Lo sai che il 60% delle donne soffre di sindrome premestruale?
2) Lo sai che durante il ciclo mestruale è consigliabile indossare indumenti comodi e traspiranti?
3) Lo sai che la posizione yoga migliore per alleviare i dolori mestruali è quella della farfalla?
4) Lo sai che la sindrome premestruale può essere influenzata anche dallo stress?
5) Nella fase premestruale si possono manifestare anche effetti positivi come l’aumento del desiderio sessuale e della creatività
6) Lo sai che fare sport aiuta a combattere i dolori mestruali?
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A parte che non è bene rivolgersi a una donna in preda al mestruo con
l’espressione di sfida “Lo sai che” in quanto basta anche meno per far venire
fuori la bestia che è in lei, comunque qualcuno dovrebbe anche spiegare che:
1) Se solo il 60% delle donne soffre di sindrome premestruale, è perché il restante 40% è già in menopausa (ma i sintomi pare non siano molto diversi)
2) Davvero durante il ciclo è consigliabile indossare indumenti comodi? Ma no, in quei giorni lì un bel tanga brasiliano e un paio di pantaloni bianchi e via!
3) Se la posizione yoga migliore per alleviare i dolori mestruali è quella della farfalla, la presa della tarantola assassina tipica del wrestling è quella che riesce meglio
4) Certo che la sindrome premestruale può essere influenzata dallo stress, ma anche da un aquilone che vola nel cielo (a cui daresti volentieri fuoco) o da una farfalla che si posa su un fiore (a cui spareresti a vista) o da una vecchietta che ti attraversa la strada (mentre con la macchina le passi sopra. Ops.)
5) Sarà anche vero che nella fase premestruale aumenti il desiderio sessuale, è però molto probabile che alla fine dell’amplesso la donna si comporti come una simpatica mantide religiosa
6) I dolori mestruali si combattono facendo sport? Per sport si intende il pugilato, la lotta greco-romana o il lancio col paracadute? Nei primi due casi potrei anche essere d’accordo, ma nel terzo caso l’unica speranza che i dolori passino è che il paracadute non si apra
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‎giovedì ‎17 ‎settembre ‎2009, ‏‎15.53.13 | RobertaRossiGo to full article
NEWS DEL GIORNO
Leggo e pubblico:
“La Guardia di Finanza pizzica un pornoattore, non potrà usare lo scudo”
Vabè, gli rimane pur sempre l’alabarda spaziale!
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‎mercoledì ‎16 ‎settembre ‎2009, ‏‎10.03.54 | RobertaRossiGo to full article
CON QUELLE FACCE LI'
L'estate è finita e come ogni anno in questo periodo è tempo di stilare la lista dei buoni propositi per l'autunno 2009. Per quanto mi riguarda giuro solennemente di:
- non comprare nemmeno un numero della collana De Agostini Realizza il tuo presepe, ma forse non resisterò al fascino dei Barbapapà in trenta dvd
- non guardare l'Isola dei famosi, nè Ballando con le stelle, nè la Tribù, nè Studio Aperto. Tutto il mio interesse televisivo sarà concentrato su programmi di spessore quali La storia siamo noi, Superquark e la miniserie sulla Guerra di Crimea, giusto per svagarmi quel tanto che basta
- scoprire il corretto significato di termini tecnici come: template, tag, html, passaggio al digitale terrestre, così quando qualcuno me ne parlerà, eviterò di guardarlo come se un esercito di scimmie urlatrici stesse suonando una mazurka nel mio cervello
Comunque spero che abbiate avuto un'estate divertente almeno quanto la mia. Dal momento che sarebbe impossibile descriverne ogni singolo momento, ho pensato di riassumerne i folli contenuti pubblicando questa immagine:
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Messaggio per chi si occupa della censura: capisco che il vostro compito è di evitare che sui blog appaiano immagini crude e lesive del pubblico decoro, però per questo singolo caso mettetevi una mano sul cuore e considerate che:
1) era una notte buia e tempestosa, trascorsa in un campo da calcio dimenticato anche dal più sfigato dei guardalinee federali e per giunta aveva appena finito di esibirsi l'Equipe 84, essendo stata incenerita nella figura del suo ottuagenario bassista da un fulmine improvviso, quanto mai provvidenziale
2) non eravamo pronte al flash dell'autoscatto ravvicinato, inoltre eravamo senza trucco (mica come la Canalis che quando la immortalano appena uscita da un'immersione nella piscina di George ha i capelli cotonati e guarda caso con una passata di lacca sul ciuffo)
3) alla fine noi ci piacciamo così, sconvolte e al naturale, sempre in pista, sempre sul solito cubo, sempre le numero uno!
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‎martedì ‎15 ‎settembre ‎2009, ‏‎12.15.22 | RobertaRossiGo to full article
PER ME, UN MITO
Sarà che Dirty Dancing l’ho visto almeno un milione di volte, sarà che quando sei poco più che un’adolescente non puoi non innamorarti di uno che dice “Nessuno può mettere Baby in un angolo”, poi ti prende coi suoi forti bicipiti, ti porta sul palco di un villaggio turistico a cui cinque minuti prima avresti voluto dar fuoco, ma dove ora sei sicura che ci porterai i tuoi figli e i figli dei tuoi figli, ti fa roteare come una trottola sulle note di The time of my life e, incurante dei chili che hai messo su durante le vacanze, ti solleva sopra la sua testa come se fossi una libellula, mentre tu distendi le gambe e allarghi le braccia non perché la presa dell’angelo si fa così, ma perché pensi che se dovessi cadere e ti dovessero ingessare, la posizione della crocefissa renderebbe molto di più. Invece lui non ti fa per niente cadere, anzi ti porta in giro come se fossi una specie di trofeo volante, finché decide che è ora di baciarti e di chiederti in sposa a tuo padre, il quale risponde: “Certo figliolo, non sai cosa ti metti in casa, ma sposatela pure, mia figlia”. Sarà per tutto questo e anche per il fatto che Patrick Swayze ora non c’è più, comunque voglio ringraziarlo per il milione di volte in cui mi sono immedesimata in Baby e mi sono vista arrivare Johnny coi suoi Ray Ban neri e con quell’espressione da finto duro che diceva “Ragazzina, ti faccio passare l’estate più indimenticabile della tua vita”.
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‎lunedì ‎14 ‎settembre ‎2009, ‏‎0.52.30 | RobertaRossiGo to full article
MESSAGGIO PER LA MIA CARA AMICA (E SORELLA) BARBARA
Cara Barbara, smettiamola di girarci intorno e andiamo dritti al sodo. Se, ora che si ripresenta l’occasione, mi appioppi come vicino di casa un altro Topo Gigio, prometto che non solo infilerò i mortaretti nella cassetta della posta, ma lancerò ad ogni ora bombette puzzolenti sul pianerottolo e cambierò di continuo il calendario settimanale in modo che la pulizia delle scale tocchi sempre al nuovo arrivato! So che sono minacce molto pesanti, ma non mi sembra giusto lasciarti cercare a casaccio il nuovo inquilino senza invece considerare alcuni miei suggerimenti. Quindi lascia perdere per una volta certi (noiosissimi) requisiti sui quali ti sei fissata tu – tipo che non faccia parte di un’organizzazione paramilitare giapponese per lo sterminio della balena bianca con sede nella tua ex camera da letto, che non sia il vincitore delle ultime cinque edizioni della gara di rutto di Reggiolo onde evitare che i vicini corrano in strada gridando “il terremoto!” dopo ogni sua sorsata di coca cola, che paghi l’affitto in euro e non con la moneta corrente nella città dei Puffi – e dai retta alla sottoscritta. Prima di tutto il nuovo inquilino non deve essere troppo rumoroso; gli concedo di canticchiare canzoni gradevoli sotto la doccia, basta che quando ha finito abbia più o meno questo aspetto:
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(anche se in questo caso ti consiglierei di dare una sistemata al sistema idraulico).
In secondo luogo, vorrei che il nuovo vicino fosse simpatico e alla mano e che soprattutto, se mai dovesse capitarmi di slogarmi una caviglia sulle scale mentre per pura coincidenza lui appare sul pianerottolo, fosse abbastanza vigoroso, biondo e con gli occhi azzurri da portarmi fin sul divano del mio appartamento. Tanto per intenderci:
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(Va da sè che se ce ne sono due, facciamo contenta anche la vecchietta del secondo piano).
Infine vorrei che si vestisse così quando va a buttare via la spazzatura:
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(e chi se ne frega se non fa la differenziata, eh!)
Ci siamo capite, sorella?
Con affetto
Roberta
Ps. Resta del tutto secondario il fatto che Cristian abbia espresso una preferenza, per altro incomprensibile, per la modella del catalogo Intimissimi (di cui sopra). Sciocchino, ma non lo sa che quella tipa lì soffre di flatulenza gassosa?
‎lunedì ‎14 ‎settembre ‎2009, ‏‎0.51.39 | RobertaRossiGo to full article
WEEK END ROVINATO
E' un sabato pomeriggio di gioia e spensieratezza. Il mio fidanzato decide del tutto spontaneamente di portarmi in centro per un paio d’ore di shopping. Il sole splende, gli uccellini cinguettano, i piccioni cagano dal cornicione, ma per fortuna non mi centrano: questa sembra proprio la giornata perfetta. Sempre scortata dalla mia dolce metà, decido di entrare nel negozio Intimissimi e lì, tra pizzi, merletti e la nuova collezione 2010, mi compro una quantità imprecisata di mutande a vita-bassa-culo-alto-chiappe-sode, un reggiseno aerostatico con pompetta annessa e cinque canotte che non mi servono per niente, ma sono multicolor e quindi irresistibili. La giornata è talmente perfetta che il conto non lo pago io – a quel punto mi pento di non aver sfruttato l’occasionissima “compri quindici culottes, ne paghi solo quattordici e mezzo”, ma vabé. Mentre il mio fidanzato paga, mi distraggo per un secondo – per la precisione, mi azzuffo davanti alla vetrina del vicino negozio di scarpe con un gruppo di ragazzine che mi impediva di controllare i nuovi arrivi – quindi non mi accorgo di quello che la commessa ha appena infilato nel mio sacchetto degli acquisti. Quando arrivo a casa, ignara del fatto che il mio week end sta per essere rovinato, frugo tra le mie mutande-culo-alto e cosa mi capita tra le mani? IL NUOVO CATALOGO INTIMISSIMI INVERNO 2010! Merda, so che dovrei lanciarlo il più lontano possibile da me e dargli fuoco, più o meno come fecero gli inquisitori col libro di Galileo Galilei, ma non resisto. Gli do un’occhiata e, come prevedibile, dopo una pagina e mezzo sono già depressa. A questo punto mi sorgono spontanee un paio di domande:
1) che bisogno c’è di far indossare a una modella stragnocca che ha le chiappe dove io ho le spalle e che ha le tette dove per me c’è solo il nulla cosmico la stessa biancheria che, se tre secondi prima ti faceva sentire carina e desiderabile, dopo averla vista su di lei ti fa pensare che forse era meglio comprare un lenzuolo?
2) l’obiettivo è forse quello di farti auto-partecipare al gioco della settimana enigmistica “Trova la differenza”? In questo caso, voi che fate questi cataloghi molto poco rappresentativi della ragazza media italiana sappiate che non aiuta riempire ogni pagina con almeno venti crocette, una differenza qua, una differenza là, una differenza su, una differenza giù, forse a eccezione dei lobi delle orecchie, ma non ne sarei tanto sicura
3) a qualcuno può sembrare divertente il fatto che il vostro fidanzato si offra di accompagnarvi in tutti i negozi di biancheria intima del centro, a patto che non opponiate resistenza alla domanda della (stronzissima) commessa: “Lo vuoi il nostro nuovo catalogo?”
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Risultato? Week end rovinato. Pazienza, lunedì mi consolerò acquistando un iPod nano: almeno il confronto con la mia statura dovrebbe reggere, sempre che non abbiano inventato il modello Pamela Anderson...
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‎giovedì ‎2 ‎luglio ‎2009, ‏‎12.17.36 | RobertaRossiGo to full article
UN SOGNO CHE SI AVVERA
So che non si vede un granchè perchè il fotografo, seppur MOLTO bravo, non era esattamente Helmut Newton. Comunque se aguzzate la vista, potreste riconoscere lassù su quel palco due ragazze
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Una fa la editor e vi assicuro che è molto in gamba, l'altra fa la scrittrice, ma a questo proposito non me la sento di assicurarvi niente di niente. Vi consiglio comunque di procurarvi il suo libro, leggerlo e scrivere su questo blog quello che pensate - sempre che pensiate cose carine e lusinghiere.
INVITO-1-RIT
Chiedete nelle librerie, nelle edicole e anche nei negozi ortofrutticoli (caso mai lo usino per impacchettare i cachi). Intanto vi lascio qualche dettaglio sulla presentazione di qualche giorno fa, alla quale vi assicuro che ha partecipato un sacco di gente, forse perchè si era sparsa la voce che, visto l'argomento del romanzo, si sarebbero esibite ragazze brasiliane in perizoma e spogliarellisti disinibiti. Bè, tutto fa brodo!
la primavera letteraria
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Tanto per darvi un'idea del pubblico... Scherzi a parte, grazie a tutti quelli che c'erano e a chi avrebbe voluto esserci, ma per un motivo o per l'altro si è perso le mie fantastiche dediche del tipo "A Luigi, qui al parco Amico di Braida in Sassuolo tutto bene, il tempo è bello, non piove neanche un po'. Con simpatia lascio la firma mia e scappo via. Roberta"
‎mercoledì ‎24 ‎giugno ‎2009, ‏‎18.31.39 | RobertaRossiGo to full article
SIETE TUTTI INVITATI!
INVITO-1-RIT
INVITO-2-RIT
‎mercoledì ‎6 ‎maggio ‎2009, ‏‎18.11.38 | RobertaRossiGo to full article
INVITO
Caso mai passaste di lì...
INVITO LIBRO
‎venerdì ‎3 ‎aprile ‎2009, ‏‎1.10.16 | RobertaRossiGo to full article
10.000 AMICI
Amici, ci siamo, stiamo per raggiungere le 10.000 visite! Mica male per un blog come questo qui, che fa ridere ma anche piangere (pensate a certe fotografie spaventose), che fa evadere dalla noia ma fa anche riflettere (un po' come Studio Aperto, ma con meno tette al vento), che intrattiene ma neanche tanto. Dato che il contatore fa felice la sottoscritta, ho deciso di festeggiare il diecimillesimo visitatore con un premio speciale, a scelta tra:
- un pomeriggio in compagnia di mia figlia, quando, pur avendo un sonno che la fa deambulare come neanche un astemio dopo una bottiglia di vodka, non ha nessuna intenzione di dormire, quindi piange, si rotola per terra e parla in sanscrito stretto, salvo poi spazientirsi se uno non la capisce
- un sabato sera con il mio consorte, quando su Sky c'è la Juve. Unica attività consentita in salotto: il gioco delle belle statuine - è inoltre gradita l'apnea, e in caso di perdita dei sensi, si dovrebbe avere almeno la cortesia di non farsi ammonire
- un sabato mattina con me, quando nella mano destra ho il Vetril, nella sinistra lo spazzettone che brandisco come un'arma di distruzione di massa e se starnutisco mi vien giù direttamente il Mangiapolvere
Quindi sotto a chi tocca!
Ps. Mi hanno detto che starnutire il Mangiapolvere non è grave per chi, come me, fa gli aerosol a base di Glad Assorbiodori
‎mercoledì ‎25 ‎marzo ‎2009, ‏‎22.18.01 | RobertaRossiGo to full article
UNA FIGLIA RIBELLE
Mia figlia è bionda e ha gli occhi azzurri. Ha poco più di due anni e qualche ricciolino che la fa sembrare un angioletto. In effetti è una bambina dolce e molto delicata, fuori casa. La gente pensa che sia una specie di Swarosky che puoi tranquillamente lasciare sulla mensola della libreria, tanto non si butterà mai giù di sotto. Così, quando mamma e papà tentano di spiegare che la bambina è sì un amore, ma non proprio la statua della Libertà, la gente ha delle reazioni scandalizzate, del tipo: <<Eh certo, se vi lamentate voi allora vi conveniva adottare un bambolotto!>>. Infatti noi il bambolotto ce l’abbiamo e ogni tanto lo indichiamo a nostra figlia come modello di comportamento. Ad esempio, proprio oggi le abbiamo spiegato che il bambolotto, a differenza sua, non farà mai venire un’angina pectoris ai suoi genitori (di nostra figlia, non del bambolotto – che sarà figlio di una coppia etero di nani da giardino o di Biancaneve e di un nano da giardino). Il perché dell’angina pectoris? Dunque, pomeriggio nostra figlia, dopo essere entrata in casa, ha finto di dirigersi verso la cameretta e di togliersi la giacca. Ma, presa da un impeto di ribellione pre-adolescenziale, ha fatto uno scatto all’indietro, ha dribblato i giochi per terra e i suoi genitori che la guardavano attoniti e con le braccia al vento è corsa fino alla porta di casa. L’ha aperta ed è scappata fuori. A quel punto, mentre suo padre si gettava all’inseguimento della figlia invasata, io sì che mi sono cristallizzata in uno Swarosky, uno di quelli che raffigura l’urlo di Minch, ma senza sonoro. Nello spazio di quei quattro/cinque secondi in cui il papà seguiva la figlia in fuga sul pianerottolo in direzione delle scale, io ho pensato:
1) ecco, ora devo infilarmi un paio di jeans perché non mi va di andare in tuta al pronto soccorso
2) chissà se per il parcheggio del pronto soccorso servono le monete
3) oh merda non c’è benzina nella macchina e adesso chi lo sente il mio maritino che mi aveva detto di fermarmi dal benzinaio e invece io avevo fatto spallucce come quando mia mamma mi diceva di fare i compiti
4) ma in quale mondo viviamo se anche i parcheggi dei prontosoccorsi sono a pagamento. E comunque io mi rifiuterei di pagare
5) spero solo che se la ingessano, le lascino libere le chiappette perché dovrò un pochino sculacciarla. Un conto è fuggire a diciotto anni quando un genitore se lo aspetta anche, ma a due anni e tre mesi, quando oltretutto si ha la tendenza a scambiare i gradini per una rampa di lancio, mi sembra eccessivo
6) al massimo prenderò la multa, ma io i soldi nel parcheggio del pronto soccorso proprio non ce li metto
Ma giuro che la visione più terribile che mi è venuta in mente in quei pochi istanti sono state le facce di mia mamma e di mia suocera, immortalate nel fermo immagine della signorina sotto la doccia quando nel film di Hitckock vede il pugnale, nello stesso istante in cui annunciavo loro del nostro piccolo incidente domestico
Poi per fortuna la bambina è stata acciuffata dal suo papà in prossimità del secondo gradino. Comunque per un istante abbiamo pensato lo stesso di chiamare l’elisoccorso perché, dopo lo scatto che da una quindicina d’anni gli mancava dal repertorio, le pulsazioni cardiache del papà avevano raggiunto i 100 battiti al minuto. Ma poi tutto bene.
‎mercoledì ‎4 ‎marzo ‎2009, ‏‎11.13.41 | RobertaRossiGo to full article
UN FUTURO DA CANTAUTRICE
Io ho poche certezze nella vita. E molti dubbi. Ad esempio, non so se domani mi verrà voglia di controllare se i panni lasciati da una settimana nella lavatrice si siano autolavati e autostesi (pregherei che si siano anche autostirati, ma mi sembra eccessivo). Stessa cosa per le uova comprate un mese fa. Chissà mai che domani entri in cucina e scopra che si sono fusi con lo zucchero, il lievito e la farina per autotrasformarsi in deliziosi biscotti. Insomma, se del domani non c’è certezza, mi sento abbastanza sicura nell’affermare che da grande mia figlia farà la cantautrice. Sentite qui che testo impegnato ha buttato giù in quattro e quattr’otto, mentre le spalmavo la cremina anti-irritazione sul sederino –circostanza che deve averla ispirata parecchio:
Cacca cacca
ah ah
cacca cacca
oh oh
cacca cacca
pipì
alè.
In queste parole io ci vedo dell’intensità espressiva. E della musicalità – comunque sempre meglio di certa roba che si sente oggi, tipo “tu se il mio gancio in mezzo al cielo”. Ma per favore, come si fa a innamorarsi di una gru! – Poi sul finale il testo spiazza, perché uno si aspetta la cacca, invece salta fuori la pipì, che è di tutt’altro genere. E quindi il testo spiazza, sul finale, non c’è che dire.
Insomma, nonostante le poche certezze della mia vita, sono sicura che mia figlia, che ha due anni e fa la cantautrice, abbia l’X FACTOR!
Senza nome
‎mercoledì ‎28 ‎gennaio ‎2009, ‏‎0.34.59 | RobertaRossiGo to full article
LIEVITAZIONE
Se in questi giorni vi sembro un pò assente o distante, è perchè mi sono buttata anima e soprattutto corpo nell'apprendimento delle tecniche della lievitazione, che applicherò sabato quando la nutrizionista mi farà salire sulla bilancia (onde evitare che mi metta a pane e acqua per un mese!). Tenete le dita incrociate. ohm.
Bilancia Professionale Soehnle
‎mercoledì ‎21 ‎gennaio ‎2009, ‏‎12.34.03 | RobertaRossiGo to full article
POI DICE CHE NEGLI STATI UNITI E IN FRANCIA SONO PIU' ATTACCATI ALLE ISTITUZIONI
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Va bene che è sempre antipatico fermarsi alle apparenze. Va bene che il fascino di certa gente non ha età. Va bene che al nostro Presidente non gli vogliamo mica male. Ma se mettiamo insieme i tre concetti: apparenze, fascino, nostro Presidente, ci viene il sospetto che, scaduto il mandato di Napolitano, potrebbero aspirare al Quirinale o Matusalemme o i Brutos.
‎mercoledì ‎21 ‎gennaio ‎2009, ‏‎11.23.01 | RobertaRossiGo to full article
MI VIENE DA... KAKA'
"I soldi non sono tutto", disse il calciatore ventiseienne che guadagna nove milioni di euro a stagione, rinunciando a un ingaggio pari al doppio. E questo è un grande insegnamento morale, un pò come quando i Beckham vanno in centro in Ferrari perchè la Bentley non è tutto, o Brad Pitt e Angiolina Jolie comprano in Provenza una tenuta da 60 milioni di euro perchè vivere a Hollywood non è tutto. Da queste persone abbiamo molto da imparare.
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‎domenica ‎28 ‎dicembre ‎2008, ‏‎1.40.26 | RobertaRossiGo to full article
PENNUTI NATALIZI
Anche quest’anno il Natale ce lo siamo tolti dalle palle. Complimenti a chi è sopravvissuto – l’anatra all’arancia, ma di questo parleremo più tardi, pace all’anima di chi non ce l’ha fatta – il Babbo Natale di ceramica decapitato da mia figlia. Non so dalle vostre parti, comunque in casa mia è andato tutto bene. Cioè nessuno ha incendiato l’albero tentando di potenziare le luminarie col programma intensivo, nessun altro è inciampato nei quarantacinque pacchi dono disseminati per casa, infine nessuno (o quasi) ha ricevuto un regalo riciclato. Tutto bene quindi, almeno fino al taglio dell’anatra all’arancia. E lì si è sfiorata la tragedia. Già in casa mia i pennuti non sono i benvenuti, se poi penso che l’essere in questione è rimasto prima dodici ore nel mio frigo, poi altre due nel forno, allora è facile capire come avessi i nervi a fior di pelle. A un certo punto mia mamma salta fuori dalla cucina ordinando: <<Roberta, passami il tranciapollo>>. Ho guardato Cristian in preda al panico, primo perché mia mamma aveva l’aria di una che se non le avessi dato immediatamente il tranciapollo mi avrebbe infilato la testa nel forno al posto del pennuto; secondo perché noi il tranciapollo non ce l’abbiamo. Abbiamo le forbicine per le unghie, il tronchesino per i calli, il machete per i miei peli superflui, le cesoie per le pianticelle da giardino... ma di tranciapollo neanche l’ombra. A quel punto non restava che tranciare le cosce con le forbicine per le unghie o darsela a gambe levate. Siccome né l’una né l’altra ipotesi sembravano fattibili, alla fine ho deciso di aprire la finestra e di sperare nella magia del Natale. E così, come per miracolo, l’anatra si è alzata dalla pirofila piena di patate e ha spiccato il volo fuori dalla finestra, ma non prima di aver alzato il dito medio. Così, se prima della grande emigrazione doveste vedere nei cieli della pianura emiliana un pennuto spalmato di arance e qualche goccia di Orange Stock, sappiate che quello è il nostro pranzo di Natale.
Prima:germano3
Dopo:
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E dopo ancora:
germano3
‎venerdì ‎19 ‎dicembre ‎2008, ‏‎19.30.53 | RobertaRossiGo to full article
AUSTRALIA (o giù di lì)
La buona notizia è che l’influenza non è ancora arrivata. Quindi si è ancora in tempo per uscire seminudi, fare la doccia con la finestra aperta, tuffarsi nel Secchia per un rapido refrigerio, tanto non si corre il rischio di venire colpiti dall’Australiana. Pare che quest’anno il virus sia il più feroce degli ultimi dieci anni: cioè più feroce di quello dello scorso anno che era il più feroce degli ultimi dieci anni, più feroce di quello dell’anno prima che era il più feroce degli ultimi dieci anni, più feroce persino di quello di tre anni fa che era una merda ma io me lo ricordo perfettamente. Insomma, ho come il vago sospetto che ogni inverno le case farmaceutiche perseguano una campagna terroristica che i talebani del Pakistan gli fanno una pippa. Australiana o non Australiana, io sono arrivata, ebbene sì, alla quarta influenza stagionale: credo sia un record. Sembra che il motivo scatenante non siano gli infradito indossati ogni primo lunedì del mese o il top scollacciato del venerdì pomeriggio, bensì mia figlia, che da quando frequenta il nido si è trasformata in una specie di veicolo ambulante di virus di ogni specie, forma e colore. Ma io non mi arrendo. E comunque, se proprio mi vedo costretta a passare una giornata sul divano mentre tossisco anche dal lobo dell’orecchio sinistro, so di poter contare su qualcuno che fa le faccende domestiche al posto mio. Non mi riferisco al mio fidanzato, ovviamente. Il quale, se io ho il raffreddore, lui ha la broncopolmonite. Se io ho il mal di testa, lui ha l’ebola. Se io lamento un dolorino di pancia, lui sta per essere operato di appendicite che se no gli va in peritonite quindi è meglio che stia immobile sul divano per capire come si vive un’esperienza di pre-morte. Comunque, quando casa nostra si trasforma in un lazzaretto, io non mi agito perché so che qualcuno si occuperà di tutto. Chi? I Teletubbies, ovviamente.
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‎sabato ‎8 ‎novembre ‎2008, ‏‎1.27.42 | RobertaRossiGo to full article
BERLUSCA DIXIT
Nei giorni scorsi si è sfiorata la crisi diplomatica e ne abbiamo patito un pò tutti. Ma suvvia, è ovvio che quando Silvio Berlusconi ha parlato di un uomo giovane, bello e abbronzato non si riferiva al neo-eletto presidente degli Stati Uniti, ma a quest'uomo qui
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Ps. Sul fatto che Carlo Conti sia bello, ho i miei dubbi. Ma non è neanche il caso di scatenarci sopra la Guerra del Kippur, diamine!
‎lunedì ‎3 ‎novembre ‎2008, ‏‎11.21.12 | RobertaRossiGo to full article
PICCOLO SPAZIO PUBBLICITA'
Avete presente una delle ultime pubblicità della Nintendo? Una signora che avrà sì e no una quarantina d’anni dice che da quando si allena giorno e notte col Brain Trainer, oltre ad avere mandato in malora la casa e aver trascurato a tal punto i figli da ridurli a piccoli clochard, la sua mente ne ha tratto giovamento, tanto che il suo cervello ora è quello di una ventiseienne. In effetti non so a quale tipologia di cervello ventiseienne si ispiri la sopraccitata signora, ma se tanto per dire il paragone è con quello di una Elena Santarelli qualunque
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allora non c’è granché di cui vantarsi.
Altro discorso se, invece della pubblicità del Brain Trainer, si fosse trattato del Power Point (sempre che qualcuno creda nei miracoli...).194766
‎mercoledì ‎29 ‎ottobre ‎2008, ‏‎13.06.17 | RobertaRossiGo to full article
DOH!
Da quando abbiamo installato Sky, in casa mia non si guardano che i Simpson, in onda su Fox a ritmi da catena di montaggio di un sottoscala cinese. Mia figlia stravede per Homer, tanto che temo possa individuarlo come figura paterna
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Il rischio esiste. Sono quasi certa che un giorno, a scuola, dirà che suo papà è giallo e ha quattro dita, mentre la sua mamma ha i capelli blu, dritti come un fuso
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A causa di Sky, il destino di mia figlia è ormai segnato
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‎sabato ‎11 ‎ottobre ‎2008, ‏‎12.17.16 | RobertaRossiGo to full article
CRISI NERA
In giro c’è crisi. E va bene, ce ne accorgiamo anche dalle piccole cose.
- La borsa è in crisi. Tranne la mia Belstaff Road Bag, che gode di ottima salute. Lo stesso non si può dire del portafogli, che si è tanto striminzito fino a diventare un portamonete. A nulla è servita la terapia d’urgenza né la rianimazione bocca a bocca: ora del decesso 16.30 di lunedì scorso, subito dopo l’acquisto di un paio di fantasmini da Calzedonia.
- La politica è in crisi. Brunetta è troppo basso, Bossi è troppo inquietante, Mara Carfagna
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è troppo stupita. Guardandola qualche sera fa a Matrix, più di una volta mi è venuto il sospetto che strabuzzasse gli occhi perché Mentana era rimasto in boxer Intimissimi coi leoni e le giraffe stampati sopra
- I reality show sono in crisi. Durante la Talpa, a più riprese Paola Barale ha ricordato ai bambini di non imitare i partecipanti alle prove di coraggio perché troppo pericolose, invitandoli piuttosto a imitare i partecipanti in senso generale: ad esempio Trentalance (un pornodivo), gli Angelucci (due tronisti), Melita (‘na zoccola). Ma non era meglio Bim Bum Bam?
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- La televisione è in crisi, ma questa non è una novità. La riflessione è comunque amara: qualche giorno fa è morto Paul Newman e ci dispiace. Ma se lo star system americano può vantare illustri personaggi che fanno un pò meno rimpiangere quelli del passato, noi, ad esempio tra i biondi con gli occhi azzurri, vantiamo gente di questo tipo:
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Cazzo se c'è crisi!
‎mercoledì ‎8 ‎ottobre ‎2008, ‏‎23.51.29 | RobertaRossiGo to full article
LE PIU' BRUTTE FACCE DI MIA FIGLIA
Parte da oggi la rubrica "Le più brutte facce di mia figlia". Siccome la piccola dà il meglio di sè quando si trova in braccio a uno dei nostri amici maschi, invito questi ultimi a presentarsi a casa nostra (preferibilmente non in orario pasti e soprattutto non per scroccare una cena), ad acciuffare la creatura e a farsi ritrarre in quella che potrebbe sembrare la scena madre di Shining. In cambio la fortuna di apparire sul blog della sottoscritta, che ringrazia anticipatamente tutti i partecipanti.
Primo volontario: Stefano
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Al termine di una lunga carrellata di immagini, sarà premiato l'adulto che avrà suscitato l'espressione più truce sul volto di mia figlia (che comunque, tengo a precisarlo onde tranquillizzare gli assistenti sociali, è solita vivere momenti molto più sereni e spensierati). Ps. Non è detto che l'adulto debba fare un'espressione ancora più truce della bambina. Capito Stefano?!
Un abbraccio a tutti i futuri volontari.
‎sabato ‎13 ‎settembre ‎2008, ‏‎3.05.18 | RobertaRossiGo to full article
ACCELERATORE LHC? NO, GRAZIE
<<I ricercatori del Cern inietteranno per la prima volta i protoni nel Large hadron collider (Lhc), un anello dalla circonferenza di 27 chilometri, a più di 100 metri di profondità. È una sorta di inaugurazione. L’obiettivo del progetto è di riprodurre nei prossimi mesi condizioni simili a quelle di pochi attimi successivi al Big Bang: nel circuito dell’Lhc, infatti, più di 100 miliardi di protoni saranno lanciati quasi alla velocità della luce e si scontreranno in quattro punti, sviluppando la più alta energia mai ottenuta in un esperimento. Analizzando le collisioni attraverso quattro gruppi di strumenti, gli scienziati cercano le risposte sperimentali per alcuni interrogativi. Che potrebbero cambiare la comprensione di fenomeni fondamentali dell’universo, finora invisibili alle strumentazioni scientifiche>>. (Panorama)
La comprensione dei fenomeni fondamentali dell’universo? Eh no, io non voglio sentir parlare di particelle o protoni né tanto meno di nessun acceleratore Lhc del cazzo, dal momento che ci sono altre faccende basilari che non ho ancora capito, tipo:
- perché quando, innestata la retromarcia, i sensori della mia macchina suonano avvertendomi della vicinanza di un ostacolo, io avverto l’istinto di centrare l’ostacolo, abbattere i sensori e fuggire senza prestargli soccorso?
- come mai, pur essendo nata nel 1976, quest’anno faccio 26 anni?
- come si fa ad avere i capelli verde rame? Forse spargendosi in testa una busta di sementa granulare per i prati?
- che fine ha fatto Fassino? Non che mi interessi più di tanto, ma sono preoccupata per lui (più o meno tanto quanto sono preoccupata per la scomparsa della Begonia eiromischa)
- ma perché durante le interviste Mara Carfagna di tanto in tanto sbarra gli occhi come se le stessero dicendo che l’hanno eletta ministro delle Pari Opportunità. <<Chi io?>> ribatte lei con gli occhi sbarrati. <<Ma quando è successo? >>
- Enzo Mirigliani è vivo?
- come mai Carlo Conti è nero e Michael Jackson bianco? come mai Elton John è una vecchia babbiona inglese e Maria de Filippi un uomo rauco?
- se una ragazza di cognome fa Fagiana (che di per sé può già essere una sfiga), perché i suoi genitori l’hanno chiamata Giada, mandandola per di più a Miss Italia e sputtanandola in tutta la nazione? Stessa cosa per Benedetta Mazza (che non si sa se sia una miss o un eufemismo per Rocco Siffredi)
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Giada Fagiana
‎martedì ‎9 ‎settembre ‎2008, ‏‎1.46.30 | RobertaRossiGo to full article
MIRACOLI!
Sapete cos’è photoshop? Io lo so: un modo molto efficace per risparmiare sulla chirurgia estetica. Ve ne do una dimostrazione pratica.
Ecco un paio di chiappe al naturale
4_45331810_foto_ritoccate_per_alba_parietti_merito_del_bisturi_virtualee le stesse in versione “Mò me do una sistemata”
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Qui c’è la Ventura in versione gruviera
Senza nome
e qui, giusto un paio di giorni dopo, più sottile di un’acciuga
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Ma lo sapevate che Madonna ha diffuso le immagini del suo ultimo tour in versione slim, in modo da apparire alta, magra e pure un pò vergine?
In pratica più passano gli anni, più certa gente ringiovanisce: a qualcuno crescono i capelli, ad altri le tette, ad altri ancora si raddrizzano i denti.
L’unico che si è sbagliato dev’essere quest’uomo qui
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Comunque io non giudico nessuno, anche perché non sono solo i chirurgi estetici a sbagliare: pensate che per un errore col mouse io che ero così
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sono diventata così
imagesOra bruco l’erba su Google.
‎giovedì ‎4 ‎settembre ‎2008, ‏‎15.11.36 | RobertaRossiGo to full article
NELLE MIGLIORI LIBRERIE (e nei cartoni sparsi per casa mia)
Se pensavate che questo libro qui
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fosse un best-seller.
Se eravate sicuri che meglio di quest’altro
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uno scrittore non potesse fare (bè, più o meno).
Se avete riso leggendo questo
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(una risata isterica, ovviamente)
e avete pianto leggendo quest’altro
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(insomma, io ho pianto quando Bridget supera i 65 chili!)
e avete pianto e riso e non so cos’altro nonostante questo
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non l’abbiate mai letto (ma che caz**?!).
Allora preparatevi alla novità del 2008, scritto dalla sottoscritta e realizzato grazie alla collaborazione di amici insostituibili:
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Ps. Quando finalmente vi avrò convinto che sono sulla giusta strada per diventare un cicinin come l’Oriana Fallaci, vi prego, siate seri e mettetevi una mano sul cuore: se sul curriculum di Anna Falchi c’è scritto attrice, io posso anche fare la giornalista.
Eh!
E ora, sempre con una mano sul cuore e con l'altra sul pc, visitatevi il sito www.storiediboccassuolo.com
‎mercoledì ‎3 ‎settembre ‎2008, ‏‎1.08.01 | RobertaRossiGo to full article
L'UNIVERSO E' MIO!
Se vi siete chiesti che fine abbia fatto negli ultimi tempi, ora ve lo dico: ho partecipato a Miss Universo.
E naturalmente ho vinto!
In fin dei conti non è stato difficile sbaragliare la concorrenza, dal momento che, come potete vedere qui sotto
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le rivali erano piuttosto racchie.
Quindi, sicura dei miei bellissimi geni – metà brianzoli, metà (fortunatamente) venezuelani – disinvolta sui miei tacchi dodici, sfavillante in un abito giallo che farebbe assomigliare una ragazza di media statura al canarino Titti, ho volteggiato sulla passerella bella come il sole,
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nonostante dalle mie ascelle grondassero i rigagnoli della laguna blu e i batteri cominciassero a cariare il mio pre-molare destro.
Comunque i giurati non se ne sono accorti, così sono stata incoronata sotto i flash dei fotografi di tutto il mondo. Eccomi mentre fingo di essere sorpresa (e mi rovesicio di nascosto negli occhi un flacone di acido muriatico per simulare le lacrime):
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A questo punto, capite anche voi che dovrò ulteriormente assentarmi dalla mia vita quotidiana, dovendo assolvere a numerosi impegni internazionali. Nei prossimi mesi sarò infatti impegnata a:
- portare in tutto il mondo un messaggio di pace, senza dimenticare che bere ogni giorno tre ettolitri di acqua Rocchetta può aiutare a fare plin plin. Fortunatamente sarò la testimonial anche di una ditta di water portatili e dei pannolini Tena Lady
- rilasciare interviste nelle quali dichiaro quanto il Dalai Lama sia figo, mentre Richard Gere sia un vecchietto buddista a cui l’arancione non dona neanche tanto
- storpiare quindici lingue imparate sui corrispondenti prontuari grammaticali, dimostrando come la consecutio temporum sia un esempio di barriera architettonica abbattuta per lasciare ai nostri figli un mondo migliore
- ingrassare come una vacca, confermando che si può essere Miss Universo anche con 50 chili in più. E facendo sorgere a tutti il dubbio che... l’Universo me lo sia mangiato!
‎giovedì ‎17 ‎luglio ‎2008, ‏‎2.44.02 | RobertaRossiGo to full article
STAVO SOLO CONTROLLANDO CHE L'AQUILA SULLA MUTANDA FOSSE PROPRIO QUELLA DELL'EMPORIO ARMANI
Victoria Beckham, ritratta qui sotto in un'immagine molto materna (sta infatti correndo a casa per preparare il merluzzo al vapore ai figli),
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ha dichiarato di volere il quarto erede, possibilmente femmina, così l’accompagnerà a fare shopping, l’aiuterà a portare le borse fino alla cassa e, una volta cresciuta, indosserà i vestiti di mamma. Anch’io sto pensando di avere un altro figlio, così mi aiuterà a:
- temperare le matite
- finire le confezioni di Philadelphia Light, di cui, chissà perché, me ne resta sempre un terzo nel frigorifero
- mettermi i bigodini
- fare la raccolta differenziata, dato che avrò qualche problema a decidere se gli OGM andranno nell’umido o nel cesso
- sostituire i tergicristalli (cioè, prendere il loro posto sul parabrezza)
Sono tutte motivazioni molto forti per mettere al mondo un figlio.
Soprattutto se lo fai con David Beckham
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‎lunedì ‎19 ‎maggio ‎2008, ‏‎20.24.51 | RobertaRossiGo to full article
CAMPIONI D'ITALIA
Ora provo a raccontarvi la mia domenica.
Siccome
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ho atteso il fischio di inizio dell’ultima partita di campionato con una certa apprensione: in ballo c’era molto più dello scudetto, ossia l’onore e il decoder di Sky, che avrebbe fatto il volo dal terrazzo in caso di sconfitta. In tribuna centrale, settore D (dove D sta per divano a fiori del salotto), alla mia sinistra, mio papà (interista) trangugiava un bicchiere di whisky, pensando a come procurarsi in novanta minuti i documenti per l’espatrio in Guatemala, onde sottrarsi a un abbonamento vitalizio di prese per il culo da parte degli amici milanisti. Alla mia destra, il mio fidanzato (juventino) continuava a ripetere: <<Tranquilli, avete già vinto>>, ma temo si riferisse al campionato del 1968/69 (per il resto, si trattava solo di gran gufate). Per fortuna, proprio quando mi è sembrato di vedere mio papà in bilico sul cornicione, quest’uomo qui
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l’ha buttata dentro.
Sciolta l’iniziale tensione, dentro di me dev’essersi sciolto anche qualcos’altro, tanto da costringermi a passare in solitaria
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i successivi venti minuti.
Obnubilata dal contesto gassoso, ho appreso con entusiasmo la notizia del secondo gol di Ibra. A questo punto era fatta
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A fine giornata, dopo una limonata calda, una Magnesia Bisurata Aromatic e una borraccia di Lexotan, una cosa era chiara: tifare Inter non è da tutti (deboli di cuore astenersi)!
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Ps. Grazie papà per avermi trasmesso una passione che, nonostante tutto, oggi mi fa dire: <<Ma quant’è bello il nostro President!>>
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‎sabato ‎17 ‎maggio ‎2008, ‏‎2.47.22 | RobertaRossiGo to full article
AMICI MIEI
Ecco la domanda della settimana: ma che cazzo mangiano i piccioni che svolazzano sopra il mio terrazzo?
1) latte scremato con i Coco Pops
2) Ciobar in tazza
3) cachi marroni
4) lenticchie imbottite di tritolo
5) Povia
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Votate la risposta che preferite. Tra i votanti sarà estratto a sorte un fortunato che vincerà una cena in compagnia dei simpatici volatili che imbrattano casa mia o, a scelta, una colazione con Morgan appena sveglio e senza trucco.
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A voi la scelta!
‎mercoledì ‎14 ‎maggio ‎2008, ‏‎1.59.28 | RobertaRossiGo to full article
SANT'AMBROGIO INTERCEDI PER NOI (INTERISTI)
Ora provo a spiegarvi come un interista (come me) sta vivendo questi giorni:
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Trattasi in effetti di un momento molto delicato: domenica prossima sarà assegnato lo scudetto o all’Inter o alla Roma, dopo che la prima si è fatta recuperare una decina di punti dalla seconda. A parte questi dettagli insignificanti, vorrei tranquillizzare i miei amici del blog: se domenica dovesse vincere la Roma, non pensiate che il silenzio della sottoscritta sia per forza dovuto all’imbarco su una nave cargo battente bandiera liberiana, o a un’autosepoltura tre metri sotto terra con un paio di libri di Moccia giusto per accelerare il processo decompositivo, o a una liquefazione istantanea che neanche la polenta Valsugana diventa così fluida dopo otto minuti di cottura. Può essere semplicemente che la sottoscritta sia corsa in chiesa a dire un rosario come atto di penitenza in seguito alle “benedizioni” lanciate contro la sua squadra del cuore. Quindi non preoccupatevi: in caso di sconfitta dell’Inter, sarete i primi a sapere se deciderò di ritirarmi a vita monastica.
Amen.
‎venerdì ‎9 ‎maggio ‎2008, ‏‎2.18.49 | RobertaRossiGo to full article
IO CI CREDO
Credo nella democrazia su cui si fonda il nuovo governo Berlusconi: d’altra parte, se questa donna qui
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è diventata ministro delle Pari Opportunità, vuol dire che in questo paese ci sono PARI OPPORTUNITA’ davvero per tutti.
Credo nella collezione primavera-estate 2008 di Calzedonia, ma non credo che il modello OSLO avrebbe su di me lo stesso effetto che ha sulla modella del catalogo.
Credo nella meteorologia, anche se quella volta che ho visto in contemporanea sulla mia regione una nuvola, la pioggia e i raggi di sole, sono uscita di casa con il costume da bagno e l’ombrello, salvo poi essere spazzata via dall’uragano PRISCILLA.
Credo nella super potenza del vapore sprigionato dalla mia STIRELLA Simac SX 4550 e credo che la prossima volta me ne ricorderò: la mia mano destra ringrazia.
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Credo in X FACTOR: ma non ho ancora capito se il FATTORE X è una qualità indecifrabile o un contadino che non sa scrivere.
Credo nei sette sacramenti: Battesimo, Comunione, Penitenza, Cresima, Matrimonio, Ordine sacerdotale, Unzione. Ma credo che di questo passo avrò più possibilità di accedere al sesto che al quinto.
Credo nei PACS e credo in un’interpretazione alternativa del rapporto di coppia. Ma credo proprio che questi due abbiano esagerato:
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‎lunedì ‎14 ‎aprile ‎2008, ‏‎1.58.42 | RobertaRossiGo to full article
CRISI DI NERVI
E’ da un pò di tempo che le cose in Italia vanno male. Tanto per dire, in giornata saranno comunicati i risultati delle elezioni: vincerà di sicuro il peggiore. Ora non voglio avanzare pronostici azzardati, però sono mesi – se non anni – che si sente parlare di crisi generalizzata, crisi della produzione, crisi dei consumi, crisi degli ascolti, crisi di nervi. Se ultimamente vi è capitato di mettervi all’ascolto di un qualsiasi telegiornale, avrete sicuramente sentito notizie come queste, rassicuranti quanto un viaggio in ascensore con Dario Argento:
POLITICA = <<George Clooney, in Italia per la settimana della moda milanese e per dare una lavata alle tende di Villa Oleandra, ha dichiarato di seguire con attenzione la politica del nostro paese, nel quale ha però deciso di non passare mai più le vacanze estive visto il caro ombrelloni, preferendo le ben meno costose spiagge della Corea del Sud. Il noto attore americano ha comunque ammesso di avere una simpatia per Walter Veltroni, considerandolo per il suo stile e le sue idee il politico più simile a Braccobaldo>> (o Barack Obama, non so, ndr)
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ELEZIONI = <<I primi dati sull’affluenza degli italiani alle urne segnano un netto calo rispetto alle politiche del 2006. Tra i possibili motivi si ipotizzano:
- recarsi alle urne, onestamente, non è proprio di buon augurio. Se proprio si voleva incentivare il cittadino, tanto valeva chiamarle sarcofaghi
- l’esodo in massa dalle città, non tanto per godere del week end primaverile, quanto perché, quando si annuncia l’apertura delle urne, la gente s’immagina l’arrivo degli zombie, quindi ciascuno cerca scampo dandosi alla fuga
- la forte programmazione televisiva messa in onda nella gioranta di domenica: onde evitare di non perdersi neanche un istante di Buona Domenica, c’è gente che non va neanche in bagno, rischiando la deflagrazione della vescica. Figuriamoci allontanarsi dal salotto per apporre una ics a casaccio>>
NATURA = <<L’inquinamento, i mutamenti climatici e i prodotti chimici usati da Berlusconi per farsi crescere i capelli sono solo alcune delle cause all’origine della preoccupante metamorfosi delle api. Sono ormai anni che i piccoli imenotteri hanno smarrito il loro aspetto normale, ben raffigurato nel fisico dell’ape più famosa e rappresentativa, la Maia: capelli cotonati biondi, corpo tozzo e voce da strozzagallina. Le api sono cambiate: ora hanno due gobbe come i cammelli, il pungiglione annodato e un’inedita inclinazione al canto acquisita in seguito a uno scambio culturale con le cicale. Purtroppo hanno ereditato qualcosa anche dagli stercorari: quindi niente più miele>>.
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CULTURA = <<Durante l’ultimo anno si è registrato un pesante calo nella vendita dei calendari con protagoniste le bellezze della televisione italiana. I sociologi si interrogano: sarà mica che gli uomini sono stanchi di imbattersi in un paio di chiappe sode ogni volta che cerchiano la data per la pulizia dei denti? La verità è tutt’altra: in seguito alla crisi produttiva delle api, le estetiste sono rimaste senza cera per la depilazione, così sui calendari appaiono ragazze con le gambe tappezzate da tre metri quadrati di moquette>>.
C’è crisi. Molta crisi.
‎lunedì ‎7 ‎aprile ‎2008, ‏‎20.11.31 | RobertaRossiGo to full article
COSA FARA' DA GRANDE
Mi rendo conto che è un pò presto per dirlo, ma mi sono fatta un paio di idee su cosa mia figlia potrà fare da grande, almeno a giudicare da alcune preferenze finora dimostrate:
- la borseggiatrice = mi è venuto in mente osservandola mentre si arrampica sulla sedia, prende la borsa (mia o di qualsiasi altra/o donna/uomo - dai gusti discutibili), fruga all’interno, urla <<evvai>> quando trova il portafogli, sfila ogni contante/carta di credito/bancomat, si improvvisa il mago Silvan e con aria indifferente dice <<più>> (cioè, <<ti sei fatta/o fregare da una bambina alta 75 centimetri, scema/o!)
- l’uomo che fa il gioco delle tre carte (o delle tre campane) = vedi abilità illusioniste (tendenti al crimine) illustrate poc’anzi.
- la campionessa di Ruzzolone = è una fissa che ho da quando l’ho vista lanciare un piatto, che invece di sfracellarsi al suolo, si è messo a girare per la cucina stando in equilibrio sul bordo. Da grande, quando gli avambracci saranno un pò meno da Olivia e un pò più da Braccio di Ferro, mia figlia potrebbe riprovarci con una bella forma di Parmigiano Reggiano Doc (ossia Denominazione Origine Cinese, coi tempi che corrono...)
- la suonatrice di tamburelli nell’orchestra sinfonica di Salisburgo = a questa ipotesi credo poco, perchè a me sembra che la piccola abbia più un’anima rock, comunque l’ho sentita percuotere ripetutamente i coperchi delle pentole contro il pavimento e devo ammettere che la ragazza ha talento
- la cavia da laboratorio per gli sperimenti sul sonno = a dire la verità, questo è sempre stato un mio pallino, ma i professori mi dicevano che avevo le possibilità per aspirare a qualcosa di meglio. Eppure io invidiavo tanto l’uomo in pigiama della Permaflex, così alla fine ho deciso di mettermi in proprio vivendo una fase di sonno REM perenne. No, credo che mia figlia non ci sia portata, lei dorme solo 12 ore al giorno (ma imparerà...)
- la parrucchiera = è l’ipotesi più accreditata, considerando che quando la signorina vuole dormire, comincia ad arrotolare i capelli di mamma e papà, preferendo la chioma di quest’ultimo. Il problema è che talvolta va avanti per tutta la nottata, tanto che non di rado suo papà si sveglia con i capelli cotonati. Ultimamente si sta specializzando sulle treccine, quindi è probabile che Cristian si presenterà al lavoro col look di Bob Marley
Bob_Marley
La lista verrà aggiornata fino al compimento del suo trentesimo anno. Poi vedremo chi avrà avuto ragione!
‎venerdì ‎4 ‎aprile ‎2008, ‏‎12.03.37 | RobertaRossiGo to full article
LAVORI IN CORSO
Un paio di mesi fa mi telefona una precaria della Tele2 (ovviamente sto dalla parte dei precari, ma spero che QUELLA precaria abbia nel frattempo trovato impiego fisso su una motovedetta di stanza nel Circolo Polare Artico), mi elenca tutti i vantaggi esistenti nell’aderire alla promozione che, guarda caso, sarebbe scaduta entro tre nanosecondi, mi dice che avrei smesso di pagare il canone Telecom con un risparmio notevole sulla bolletta. A parte che pagare il canone Telecom non mi è mai dispiaciuto, perché mi ha sempre fatto sentire parte di un mondo in cui tutti pagano il canone Telecom e se ne lamentano, così come tutti pagano il canone Rai e se ne lamentano, tutti guardano il Grande Fratello e se ne lamentano, in pochi mangiano il Gran Biscotto Rovagnati, ma tutti se ne lamentano lo stesso (per osmosi). Comunque l’abbonamento in offerta l’ho sottoscritto: tutto sommato mi è sembrato un buon compromesso tra il mio senso per gli affari da un lato e la mia puntualità nel commettere almeno una grande stronzata al mese dall’altro. Il fatto è che, dopo la dichiarazione registrata in cui giuravo di assumermi ogni responsabilità a nome dell’intestatario della linea telefonica (ovvero Crostian Spadino), sono saltate fuori una serie di precisazioni:
1) <<Entro pochi giorni le arriverà a casa un ROUTER con tutte le spiegazioni per installarlo>>
2) <<Per l’installazione non occorre essere esperti, ma non le farebbe male contattare un ingegnere aerospaziale e un tecnico dell’Ikea esperto nel montaggio del modello Malm>>
3) <<Fino all’installazione del router, lei avrà un solo numero di telefono, poi ne avrà due per tre settimane, poi uno e mezzo ma solo in caso di cataclisma/epidemia di febbre gialla, infine uno solo per tutta la vita>>
4) <<No, signora, il router non ha niente a che fare col reflusso gastrico>>
5) <<Le telefonate non passeranno più attraverso il telefono, ma attraverso il router>>
6) <<Non è però detto che dovrà parlare nella presa dell’ADSL e rispondere nella presa USB. Ah ah ah! Capita la battuta?>>
7) <<Capita la battuta? Signora, c’é ancora? Pronto? [Alla sua collega: Miii, questa non capisce niente. Pensa che prima ho parlato con una vecchietta del suo nuovo I POD nano, ma questa qui è proprio ritardata]. Signora?>>
8) <<Infine volevo dirle che lei potrà godere di tanti altri vantaggi offerti da Tele2, che comunque non funziona per un cazzo. Arrivederci>>
Bene. Il risultato di tutto ciò è che siamo rimasti per due mesi senza linea telefonica: ora il problema sembra risolto, peccato che chi mi telefona debba prima digitare il prefisso del Massachusetts e per collegarmi a Internet mi tocchi fare ogni volta una seduta spiritica per mettermi in contatto con le intelligenze superiori che governano la Rete. Non per niente per sponsorizzare la Tele2 hanno scelto due scimpanzé!
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‎domenica ‎16 ‎marzo ‎2008, ‏‎0.31.44 | RobertaRossiGo to full article
CRIBBIO!
A una precaria che gli chiedeva quale politica intendesse attuare a sostegno di una giovane coppia che voglia metter su famiglia, Silvio Berlusconi ha risposto che uno dei due giovani dovrebbe sposarsi con uno dei suoi figli, così si sistemerebbe per tutta la vita. Ora, io penso che non sia un’impresa impossibile. Tanto per cominciare, bisogna fare la Letterina: coi tempi che corrono andrebbe bene anche una Messaggina o una E-mailina, non credo si noterebbe la differenza. Il passo successivo è la conduzione di un programma televisivo, tipo Nonsolomoda o Verissimo - anche se le malelingue insinuano che prima ci si fidanza con un Berlusconi a caso, poi si diventa conduttrici. Ma trattasi di malelingue, appunto. Per completare l’opera, suggerisco di eliminare la concorrenza, che peraltro sembra molto agguerrita. Le modalità sono due:
- imbottire Signorini di tritolo, così quando andrà ospite a Verissimo, polverizzerà non solo la diretta concorrente, ma anche una nutrita schiera di sciacquette del piccolo schermo
- pubblicare su un blog molto famoso e molto ben frequentato, come questo qui, una foto molto scandalosa e molto compromettente, come questa qui
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specificando che col photoshop non sono state ritoccate solo le tette, ma sono stati anche tolti i baffi e il terzo capezzolo. Informato della notizia, il Berlusca senior direbbe: <<Cribbio, ma è mia nuora o Maurizio Costanzo?>>. A questo punto, per la nuova pretendente sarebbe un gioco da ragazzi fare breccia nel cuore del Berlusca junior. E vissero tutti ricchi... e precari!
‎lunedì ‎10 ‎marzo ‎2008, ‏‎21.53.47 | RobertaRossiGo to full article
SIAMO TUTTE UN PO' COSI'
La festa delle donne è la festa delle strappone. Ma sì, inutile girarci intorno. Quelle che l’8 marzo escono di casa indossando una abito che neanche Jane di Tarzan. Quelle che partono sgommando, arrivano davanti al locale sgommando, si accorgono troppo tardi che il locale è quello sbagliato, imprecano per aver dimenticato a casa gli occhiali da presbite quindi <<della cartina stradale che cazzo me ne faccio>>, ripartono sgommando. Quelle che, dopo un’ora trascorsa a girare intorno a una rotonda sperando che qualcosa accada, arrivano per grazia ricevuta davanti al locale giusto, non sgommano, parcheggiano, entrano, si siedono, cadono in uno stato confusionale a causa del forte stress, si fumano una birra e si bevono un pacchetto di Marlboro. Quelle che, quando il dee-jay annuncia <<Ecco gli spogliarellisti>>, si risvegliano dal torpore nel quale erano cadute subito dopo lo spogliarello dell’anno prima, si posizionano ai piedi del palco in preda al furore, si dimostrano pronte a dare (ma soprattutto a ricevere). E infatti danno (ma non ricevono). Per la precisione, danno tutte se stesse spalmandosi contro il corpo ricoperto di olio lucidante dello spogliarellista col risultato di assumere l’aspetto di una fettina pronta per la cottura in padella, si lanciano in ancheggi repentini <<tanto ho già fissato l’appuntamento col chiropratico>>, si fanno fotografare dalle amiche ululanti <<che poi col photoshop ci metto sotto alla mia faccia il fisico dell’Arcuri>>. Quelle che si convincono che lo spogliarellista era:
- gay
- eunuco
- molto gay e comunque eunuco
dal momento che non hanno notato in lui nessun tipo di fenomeno erettile nonostante gli avessero praticato la mossa dell’anaconda vorace. Quelle che, dopo il fallimento di ogni illusione, lasciano il locale, tornano a casa, ripongono nell’armadio il vestito di Jane, si struccano usando un barile di latte detergente, si tolgono il resto dell’impalcatura subendo un crollo verticale verso il basso, si infilano a letto, si accertano che il marito sia ancora vivo colpendolo col tallone su uno stinco (il marito non reagisce, quindi potrebbe anche essere morto, ma vabbé), attendono il ritorno a casa dei figli, si addormentano. Quelle che sognano che il prossimo 8 marzo il vestito di Jane si allacci almeno fino al terzo bottone, l’impalcatura regga, il locale sia facile da raggiungere, e che, per una volta, lo spogliarellista abbia tutto al posto giusto.
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‎giovedì ‎6 ‎marzo ‎2008, ‏‎0.26.51 | RobertaRossiGo to full article
CASALINGA DISPERATA CERCASI
Due geni in famiglia sono francamente troppi. Mi riferisco alla sottoscritta (la mente) e a Crostian Spadino (il braccio). Il compito era semplice: inserire la cassetta nel videoregistratore, premere rec e attendere che il programma da registrare fosse completamente impresso sul nastro. Invece qualcosa è andato storto: il braccio dice che la mente gli aveva ordinato di fermare la registrazione convinta che il programma fosse già finito, ma io tendo a non credergli. Ad ogni modo, rivedendo l’ultima puntata del mio telefilm preferito, sono rimasta pietrificata nello scoprire che la scena successiva al bacio tra Gabrielle e Carlos Solis era John Locke che scuoiava un cinghiale. Il danno è subito apparso irrimediabile (e non mi riferisco soltanto al danno sismico provocato nel quartiere dalle imprecazioni della sottoscritta). A questo punto mi rivolgo ai lettori di questo blog: se qualche anima pia avesse visto l’ultima puntata della terza serie di Desperate Housewives, andata in onda circa una settimana fa, si faccia avanti. Non occorre un riassunto chilometrico: mi basta sapere cos’è successo dopo il bacio tra Gabrielle e Carlos (ammesso che non si tratti davvero di un cinghiale inseguito dal sosia di Adriano Galliani).
Ringrazio anticipatamente l’anima pia, cui prometto che regalerò una videocassetta con la registrazione dell’ultima puntata di Amici di Maria de Filippi.
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‎lunedì ‎3 ‎marzo ‎2008, ‏‎3.20.20 | RobertaRossiGo to full article
VIVA LA RAI
A costo di sembrare l'unica in Italia a pensarla in questo modo, devo ammettere che io il Festival di Senremo l'ho visto e mi è pure piaciuto. In particolare ho apprezzato le gag di Aldo, Giovanni e Giacomo per sponsorizzare la Wind, i siparietti tra Mike Bongiorno e Orietta Berti per sponsorizzare l'Infostrada, i viaggi su e giù per le colline di Fabrizio Frizzi e Sveva Sagramola per sponsorizzare la Toyota, i consigli ad alto profilo tecnologico del signor Beghelli e il susseguirsi incalzante di un sacco di spot pubblicitari molto interessanti. Peccato per le interruzioni dovute all'esibizione dei cantanti e alle apparizioni dei due presentatori, che sul palco davano l'impressione dello Stecco Ducale in compagnia di una coppetta da due euro. Per fortuna la pubblicità ha potuto prendere il sopravvento sul rush finale, quando sono stati proclamati i vincitori: Lola Ponce e Giò di Tonno in olio d'oliva qualità pinne gialle... quello che si taglia con un grissino!
‎giovedì ‎28 ‎febbraio ‎2008, ‏‎12.43.55 | RobertaRossiGo to full article
PROMESSE
Se mai dovessi convolare a giuste (e sacrosante) nozze, mi piacerebbe pronunciare le promesse di matrimonio, tipo: Prometto che starò sempre al tuo fianco anche quando indosserai gli stessi calzini per una settimana intera. Certo il mio futuro sposo, per comporre delle promesse alla mia altezza, dovrà ingaggiare un poeta come Pablo Neruda o, in alternativa, Gino & Michele. Ad ogni modo mi piacerebbe buttarne giù un abbozzo, tanto per fare. Ad esempio:
1) Prometto che starò sempre al tuo fianco anche quando indosserai gli stessi calzini per una settimana intera, per non parlare del resto della biancheria
2) Prometto che mi impegnerò con ogni forza affinché nostra figlia cresca sana e felice, anche se non posso garantire sulla sua incolumità mentre mi sputa in un occhio il purè di patate o mi sferra calci sul setto nasale mentre dormiamo
3) Prometto che toglierò le chiavi di casa nostra erroneamente date ai nostri genitori, così eviteremo che piombino nel nostro salotto mentre improvviso una danza del ventre acrobatica
4) Prometto che non improvviserò mai più una danza del ventre acrobatica, anche perché lo spettacolo dell’ombelico caduto all’altezza della milza non è piacevole per nessuno
5) Prometto che mi cercherò un lavoro serio e onesto, così quando i conoscenti ti chiederanno: <<Di cosa si occupa tua moglie?>>, tu non sarai più costretto a rispondere: <<Sta cercando di entrare nel cast di Zelig>>
6) Prometto infine che sarò una moglie fedele e devota, mi sveglierò ogni mattina al tuo fianco sussurrandoti dolci parole d’amore e ossigenandoti i capelli, ti preparerò la colazione (ma non prima delle dieci, quindi temo che dovrai cambiare l’orario lavorativo), attenderò ogni sera il tuo ritorno a casa accogliendoti in maniera scoppiettante (per questo infilerò sotto lo zerbino micette e petardi di varie dimensioni)
Farò il possibile perché tutto ciò si avveri, cosicché tu non abbia da pentirti per il fatto di avermi sposata. Ma se anche non dovessi avere la forza necessaria per mantenere ogni mia promessa - temo che dovrò presto arrendermi di fronte a quanto sottoscritto al punto 1 e 5 – comunque:
7) Prometto, anzi lo giuro solennemente, che finché sarai al mio fianco non indosserò mai e poi mai la tuta-stiletto di Simona Ventura da portare col tacco 12. Al massimo la infilerò sopra un bel paio di Lamberjack marroni, ma solo dalla vedovanza in avanti.
Con amore,
R.R.
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‎sabato ‎23 ‎febbraio ‎2008, ‏‎2.14.17 | RobertaRossiGo to full article
FEBBRE ALTA E NEVRALGIE
La verità è che quando hai l’influenza non vorresti nessuno tra le palle. Per quanto mi riguarda, mentre ho trentanove di febbre e un mal di testa che sembra mi abbiano acceso nel cervello la compilation del Deejay Time, vorrei avere vicino solo il dottor House che mi confermi che non è Lupus (“tanto non è mai Lupus”), così me ne starei tranquilla e continuerei a crogiolarmi tra Tachipirine e programmi televisivi a basso profilo culturale. Il problema è che le 400 persone che ti sei preoccupata di avvisare a proposito del tuo stato catatonico - al cui confronto la mummia egizia di Tutankamon appare agile e scattante - decidono di telefonarti tutte quante contemporaneamente in un orario che di solito non infastidisce, tipo tra le 18.15 e le 18.30. In effetti la scienza ha dimostrato che a quell’ora la febbre subisce un’impennata verticale, non per motivi fisiologici, bensì come conseguenza del bombardamento elettromagnetico cui ogni influenzato è sottoposto da amici, parenti, vicini di casa, centraliniste della Tele2, venditori di tonno in scatola, Testimoni di Geova via cavo, rompicoglioni vari (ed eventuali). Le telefonate hanno in genere un che di patetico (da parte di chi chiama) e una punta di ostilità pseudo-omicida (da parte di chi riceve). Dico “pseudo” non tanto per le intenzioni, quanto per le pressoché nulle capacità applicative, che ti obbligherebbero a lasciar vivere anche un ragno di passaggio sotto il tuo naso colante. Dopo aver sviscerato tutti i dettagli del malessere che ti ha assalito, soffermandoti sugli aspetti più scabrosi del meteorismo addominale sopraggiunto a metà mattina e raccontando di quella sfortunata supposta finita nella cavità sbagliata, sei sicuro di aver impressionato a tal punto l’uditore da fargli passare la voglia di richiamarti o di farti visita. Invece, con tua grande sorpresa, ti accorgi di essere circondato da una quantità inaspettata di Maria Goretti, pronte a immolare la loro salute pur di accorrere al tuo capezzale. A questo punto è troppo tardi per fingere un attacco di peste bubbonica: sappi che quando la santa Maria Goretti di turno ha deciso che agirà nel tuo interesse, è inutile tentare di arginarla. Prima di quanto immagini, la tua casa sarà inondata dalla delicata fragranza di un brodo di bue personalmente strangolato dalla Goretti, che ti dice: <<Scusa tesoro, non ho trovato il pollo>>; i caloriferi saranno accesi a manetta, perché alla Goretti, essendosi laureata in medicina alla Scuola Radioelettra, sembra opportuno che chi ha una temperatura corporea tendente ai 40 gradi centigradi viva in un ambiente caldo, giusto per procurargli un effetto serra corporale che a Kyoto indicherebbero come <<prossimo all’autocombustione inquinante>>; infine il colpo di grazia sarà inferto dalla corrente siberiana entrata dalla finestra, spalancata dalla santa Maria convinta che l’aria viziata della camera da letto faccia male alla salute, ma noncurante del fatto che la combinazione sudore + folata di vento ti costringeranno a un deperimento cutaneo che ti renderà uguale a Bigazzi.
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Di solito il ruolo della Maria Goretti è impersonato dalla mamma, dalla suocera, dalla nonna (che però si limita alle telefonate, essendo convinta che un qualsiasi virus influenzale alla sua età potrebbe esserle fatale) o dall’amica più apprensiva, quella che in terza elementare, ai primi sintomi della pertosse, ha unto la tua sedia e ti ha fatta portare al più vicino lazzaretto. Comunque, quando sono ammalata, la cosa che mi dà più noia - oltre ad accogliere i visitatori mentre un rivolo d’olio da frittura mi scende dai capelli e sono incerta se la causa dell’odore diffuso per l’appartamento sia io o il merluzzo abbandonato nel frigorifero - è subire i consigli di rito, tipo:
- <<Mi raccomando, riguardati>> = no dai, pensavo di fare una corsetta al parco, magari già che ci sono esco nuda, così metto alla prova la resistenza della ceretta di due mesi fa
- <<Usa fazzoletti di carta, evita quelli di stoffa che irritano>> = guarda, preferisco usare la carta vetrata, così dai e dai stai a vedere che mi rimodello la punta del naso
- <<Stai su di morale, vedrai che tra un pò passa>> = non credo, dopo cinque giorni di Uomini e Donne non tornerò mai più normale
‎lunedì ‎18 ‎febbraio ‎2008, ‏‎12.43.35 | RobertaRossiGo to full article
NONNE SUPER SPRINT
Proprio mentre ci affannavamo a rimodellare la nostra casa a misura di bambina ai suoi primi passi, ci siamo resi conto che tutto ciò non sarebbe bastato. Una minaccia molto più pericolosa delle prese per la corrente o degli armadietti bassi coi medicinali si aggirava per l’appartamento senza che noi ce ne accorgessimo: le nonne. Gesù, le nonne sono pericolosissime, c’é scritto anche sul libretto delle istruzioni che danno alle neo-mamme e ai neo-papà appena usciti dalla sala parto: “Diffidate di quelle due che si sono a lungo accapigliate in sala d’aspetto e ora fanno “ghiri ghiri gne gne” come se niente fosse”. Dicono infatti che le nonne, quando diventano tali, perdono la ragione: ma questo è niente, se si pensa che perdono anche l’equilibrio, l’agilità motoria, il senso della misura e il senno, ovviamente. Ecco cosa sono riuscite a combinare le nonne di mia figlia nell’arco di un week-end:
1) nonna materna = per raccontare le castronerie di mia mamma-nonna di mia figlia in questi primi tredici mesi e mezzo di militanza, non basterebbe l’enciclopedia illustrata Rizzoli. Mi limiterò pertanto alla voce “primi passi”: domenica mattina, dopo aver visto la sua nipotina sgambettare per il salotto, ci ha costretti a disinfettare/imbottire/sigillare ogni angolo della casa. Applicato l’ultimo paraspigoli sul naso di Cristian perché definito <<troppo appuntito>>, la nonna ha dichiarato: <<Ora sono pronta!>>. Incerti, io e Cristian le abbiamo affidato la nostra piccolina, sicuri che comunque, male che fosse andata, avremmo trovato le loro sagome impresse nel muro di gommapiuma. Invece no, è successo qualcosa di molto più definitivo: onde evitare che Nicole sfiorasse il pavimento con le sue chiappette, peraltro avvolte in quindici strati di cotone Pampers, la nonna le si è avventata addosso con la grazia di un’elefantessa. Purtroppo, essendo colta da un attacco improvviso di labirintite, la nonna ha perso l’equilibrio, ha calpestato una mano della bimba e si è schiantata a terra. Ne sono derivate due conseguenze: la prima è che Nicole potrà giocare a ping-pong senza ricorrere all’uso della racchetta, la seconda è che una falda acquifera si è aperta nel bel mezzo del nostro salotto.
2) nonna paterna = in questo caso si è sfiorata la tragedia. Quindi, nel raccontare quello che è successo, non ho intenzione di far ridere nessuno, né io stessa intendo ridere, tanto che, lo assicuro, mentre scrivo sto usando un pacchetto di Kleenex, ma non certo per asciugarmi le lacrime. L’antefatto è che Nicole stava schiacciando un pisolino sul lettone a casa della nonna, quando un flebile mugugno ha avvertito quest’ultima che la nanna era finita. Avendo intravisto la bimba a testa in giù dal letto, la nonna ha deciso di immolarsi in volo per salvarla. Chi c’era ha parlato di un tonfo sordo, un mugugno (che questa volta non indicava la fine della nanna) e il letto spostato quindici centimetri più in là dalla posizione originale. I dettagli sulla vicenda restano tuttora confusi: c’é chi racconta di una Super Nonna volante con tanto di mantello e di casco protettivo, c’è chi racconta di una sagoma schiantatasi senza casco contro il bordo del letto mentre col braccio teneva ferma la bimba (scioccata e penzolante), c’è chi infine commenta <<magari avessi avuto un casco!>>. Preciso solo che mia figlia, quando le si chiede <<cos’è successo alla nonna?>>, si tocca la testa e dice <<ahy ahy>>.
Senza nome
Ps. So che a questo punto sarà del tutto inutile, ma tenterò la carta della ruffiana. Ringrazio le nonne per l’impegno che ci mettono con la mia bimba (e con i suoi genitori). I risultati, ne sono certa, arriveranno presto!
‎mercoledì ‎13 ‎febbraio ‎2008, ‏‎19.17.22 | RobertaRossiGo to full article
KARMA O NON KARMA?
E’ una pessima giornata. Me ne sono accorta appena sveglia, quando ho visto un enorme esemplare di gazza in preda a spasmi sorvolare i balconi del vicinato, fino a scaricare il malloppo proprio sopra il mio davanzale. <<Bene>> ho pensato <<mi sembra la giornata giusta per uscire di casa di buon’ora e tornarvi il più tardi possibile>>. Dopo aver immobilizzato la bimba in un’impalcatura rosa fatta di abiti trapuntati e di un passamontagna, mi sono ricordata di un particolare: <<Sono senza macchina>>. A essere sinceri, il mio pensiero esatto è stato: <<Sono senza macchina, porc**ªmignott!A>>. Rassegnata, dopo aver srotolato l’involtino, mi sono seduta sul divano a meditare e ho capito che le cose non succedono mai per caso. Quindi, il fatto di rimanere bloccata in casa doveva rispondere a un disegno più alto, entro il quale ogni avvenimento avrebbe assunto un significato illuminante non solo per la sottoscritta, ma anche per l’intera umanità. Questo significa ragionare da una prospettiva cosmica, questo significa distaccarsi dalla visione materiale del mondo e tangere con l’anima la natura intrinseca delle cose. Questo significa soprattutto essersi scolata a pranzo mezza bottiglia di Malvasia. Ma non importa, ora che questa pessima giornata volge al termine, mi rendo conto che tutto sta assumendo un senso assoluto. Andiamo con ordine:
1) se sono senza macchina (la mia amatissima macchina, quella con cui ho portato in giro la mia bimba su e giù per la montagna, in lungo e in largo per la pianura, in retromarcia contro le madonnine votive) è perché una forza superiore, che potrei definire “a tratti invadente e anche un pò superba”, ha deciso che l’idillio mio e della mia bimba (due novelle Thelma e Louise) a bordo del nostro bolide sfrecciante per la Pedemontana, dovesse concludersi. In poche parole, il mio fidanzato, che guarda caso fa il venditore di auto, si è fatto un filino prendere la mano, tanto da vendere la MIA MACCHINA PREFERITA, senza preoccuparsi di mettermene a disposizione SUBITO un’altra MOLTO PIU’ POTENTE E BELLICOSA della prima. Nel tentativo di ricondurre questo avvenimento entro un destino karmico più grande, è risultato evidente che, odiando camminare, dovrò procurarmi un mezzo di locomozione idoneo alle mie esigenze. Considerando il freddo glaciale e la comodità di girare armata (vedi lama affilata sotto i piedi), ho deciso di utilizzare un paio di questi:
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Così facendo, sono certa che i passanti mi vedranno come una leggiadra Carolina Kostner, molto elegante e slanciata, e il mio destino si compirà facendomi diventare campionessa olimpica ai prossimi giochi cinesi.
2) se sono rimasta bloccata in casa, è perché dovevo rispondere a una telefonata che cambierà la vita della mia famiglia. Ma andiamo con ordine: dopo aver preparato accuratamente il pranzo come faceva il cerimoniere Vatel alla corte di re Luigi XIV, ho cominciato a dare da mangiare alla mia bimba. Essendo sole, ho improvvisato qualsiasi tipo di acrobazia, scenetta, spettacolo ludico mi venisse in mente, finché, all’ennesimo rifiuto di assaggiare i maccheroncini preparati con tanto amore, depressa e frustrata, mi sono attaccata alla bottiglia. Proprio mentre il terzo bicchiere di Malvasia cominciava a rendermi inaspettatamente euforica, è squillato il telefono. Dopo essere scesa dal lampadario dove tentavo l’imitazione di una scimmia catarrina che sulla mia bimba aveva suscitato un effetto di compatimento, tipo: “Mia mamma va subito ricoverata o portata allo zoo”, mi sono imbattuta nella signorina della Telecom, che dall’altro capo della cornetta ha cominciato a parlare e parlare e parlare di un sacco di imperdibili offerte. Alla fine, esausta e avvinazzata, le ho accettate tutte. Così ora abbiamo un contratto che se telefoni di giorno spendi un sacco, se telefoni di notte spendi un sacco, ma puoi chiamare gratis per un mese un numero internazionale, a scelta tra:
- il Cremlino
- la portineria del Pentagono
- l’anagrafe della Repubblica di San Marino
Anche per questo secondo episodio esiste una spiegazione cosmica: le bollette milionarie che pagheremo alla Telecom saranno direttamente girate sul conto corrente di un giocatore a caso dell’Inter, così ci sentiremo partecipi dell’iniziativa a sfondo benefico “Aiutaci anche tu a far vivere nel lusso i loro discendenti fino alla sesta generazione (agli altri toccherà andare a lavorare)”.
Tutto è bene quel che finisce bene.
‎giovedì ‎7 ‎febbraio ‎2008, ‏‎21.38.35 | RobertaRossiGo to full article
ED IL TEMPO INTANTO CREA EROI
Oggi è il compleanno di quest’uomo qui
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Per la precisione oggi Vasco compie 56 anni. No dico, 56 anni. Adesso non vorrei fargliela pesare a quelli che, a causa della sua vita spericolata, sostenevano che non avrebbe raggiunto i 30, comunque trattasi di un traguardo di tutto rispetto per uno che, più o meno a 30 anni, aveva questa faccia qui
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Mi rendo conto che fare paragoni non è mai bello, comunque Vasco ha la stessa età di mio padre. Per dire, uno sta per inaugurare un tour che lo porterà in giro per l’Italia, l’altro sta per inaugurare un tour che lo porterà in giro per i soggiorni climatici d’Italia al seguito della ditta Grappeggia, che ha come slogan: “Sui nostri pullman l’anziano viaggia in prima classe!”. Ad ogni modo, mio papà e Vasco hanno molte cose in comune:
1) entrambi fanno Rossi di cognome e hanno il nome che comincia per V
2) entrambi fumano svariate sigarette al giorno
3) entrambi bevono un goccio di wiskey dopocena (forse uno dei due anche al risveglio, ma sono solo illazioni)
4) entrambi hanno un pò di pancia
5) entrambi hanno perso qualche capello
6) entrambi vanno di tanto in tanto a S. Siro
7) entrambi cantano
Se la logica non mi inganna, sono quasi certa di poter affermare che Vasco Rossi avrebbe potuto essere mio padre. Non che del mio sia scontenta, però avere un papà rocker dev’essere davvero forte. Intanto non avrei dovuto spendere capitali per comprare la sua opera omnia prima in vinile, poi in cassetta, infine in cd: cosa che a lui ha consentito di pagare l’università ai suoi figli, mentre a me ha regalato il primato per essere stata negli anni 90 la prima teen ager ad aver acceso un mutuo. Inoltre in gioventù mi sarei evitata: un espianto del rene mentre ero in coda per accedere allo stadio, un paio di svenimenti durante i concerti, tre tentati soffocamenti ad opera delle ascelle dei miei vicini di ressa, quattromilanovecentocinquantasette notti in cui ho sognato che Vasco mi diceva <<Sei chiara come un’alba, sei fresca come l’aria>>. A pensarci bene, credo proprio che sia stato meglio non avere avuto Vasco come papà, altrimenti avrei avuto qualche problema con la mia maglietta preferita, su cui c’era la faccia di “papà” con gli occhiali neri, la bandana blu, ma senza il collo. Oh mio Dio.
Precisazioni:
6) entrambi vanno di tanto in tanto a S. Siro: l’uno per il suo grande concerto estivo, l’altro per la sua grande squadra del cuore, l’Inter. L’uno ne esce sempre soddisfatto, l’altro... bé, dico solo che ha smesso di andarci per sfinimento (e infatti ora l’Inter è in testa al campionato!)
7) entrambi cantano, l’uno in pubblico, l’altro sotto la doccia. Ma solo a uno dei due si sono staccate dalle pareti del bagno le piastrelle e si sono liquefatte le bottigliette di shampoo
‎lunedì ‎4 ‎febbraio ‎2008, ‏‎2.35.31 | RobertaRossiGo to full article
MEGLIO UN RANOCCHIO VERACE O UN PRINCIPE FARLOCCO?
Il principe azzurro non esiste. Se mai esiste il principe marrone, ossia quello che:
- quando rientra a casa dopo un incontro di lotta nel fango, passeggia per tutto l’appartamento, decidendo di percorrere rotte fino a quel momento inesplorate, tipo le pareti e il soffitto, rotolandosi tra le lenzuola e spalmandosi sui tappeti
- quando decide di sedersi sul divano, si siede sul divano, anche se in cucina la faraona sta tentando di conficcare lo spiedo nel petto del pollo perché le ha palpato una coscia, in bagno l’Anitra WC sta lottando con il Mastrolindo per acquisire la priorità di pulire il cesso (e sta avendo la meglio), infine nel sottoscala i ragni tentano una riproduzione in scala 1:10 del Centro Pompidou di Parigi
- quando si toglie le scarpe, le piante del salotto muoiono
- quando si sveglia assomiglia a Carlo d’Inghilterra. Ma questo è niente: quando dorme assomiglia a Camilla Parker Bowles, persino nitrisce
- quando gli dici che hai un nuovo taglio, ti chiede se ci hai messo sopra l’Amuchina
- quando gli dici che hai fatto shopping, recita il Requiem
- quando gli dici che hai accidentalmente segnato il retro della macchina abbattendo un panettone in cemento armato, ti dice: <<Non importa, amore>>
- quando ti dice: <<Non importa, amore>>, nonostante tu abbia abbattuto (accidentalmente) un panettone in cemento armato, significa che ti conviene assumere subito un investigatore privato, perché ha qualcosa di grosso da farsi perdonare
- quando lo guardi con sguardo intenso e occhi da cerbiatta, ti chiede se in famiglia, oltre a te, c’è qualcun altro che soffre di strabismo (di Venere, appena accennato, ma pur sempre strabismo)
Il bello è che noi donne, nel bene e nel male, in salute e in povertà, in
ricchezza e malattia (sì, perché in salute e in ricchezza ci fa schifo)
finiamo per innamorarci di questo tipo di uomini.
E comunque, lo sanno tutti, il principe azzurro è gay.
Gionatha+Spinesi,+Juan+Manuel+Vargas+Catania-Udinese+Kiss+09
‎mercoledì ‎30 ‎gennaio ‎2008, ‏‎2.12.17 | RobertaRossiGo to full article
PIU’ CHE IL GRANDE FRATELLO SEMBRA IL GRANDE BORDELLO
Oddio, ma quanta gente hanno rinchiuso nella casa del Grande Fratello? Ormai ci sono più persone dentro che fuori: se non li fanno uscire prima, temo che alle prossime elezioni ci sarà una scarsa affluenza alle urne. Tra l’altro ho saputo che quest’anno partecipa al reality un’intera famiglia, gli Orlando: niente di male, a parte il malumore dei condomini della famiglia mediatica, i quali dovranno rivedere il piano mensile per la pulizia delle scale. Comunque coi tempi che corrono non c’è da star tranquilli neanche in tv: pensate cosa succederebbe se i vicini di casa di quelli del Grande Fratello fossero delle persone irascibili, tipo i coniugi di Erba.
Il Grande Bordello, appunto.
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‎martedì ‎29 ‎gennaio ‎2008, ‏‎1.49.09 | RobertaRossiGo to full article
SESSO O NON SESSO, QUESTO E' IL PROBLEMA
Questi due personaggi
Lenny Kravitz
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e l’orso Knut
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oltre alla pettinatura, hanno un’altra cosa in comune: non fanno sesso. Tra i due c’è però una differenza notevole: mentre Lenny è considerato una specie di piccolo Buddha dell’astinenza dal momento che il suo unico interesse è dedicarsi allo spirito, l’orso Knut è stato definito uno psicopatico incapace di accoppiarsi con gli esseri della sua specie, perché totalmente dipendente dall’uomo. Se per Lenny credo non ci sia più niente da fare, per l’orsetto una speranza c’è: provino gli animalisti dello Zoo di Berlino a infilargli nella gabbia una tipica bellezza bipede del Nord, tipo Angela Merkel (che nei tratti somatici è l’equivalente della nostra Rosy Bindi). Eccola in due pose ufficiali:
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In cinque secondi Knut dimenticherà la sua dipendenza dagli esseri umani e chiederà il numero di telefono della sorella di Winnie the Pooh.
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‎mercoledì ‎23 ‎gennaio ‎2008, ‏‎13.22.41 | RobertaRossiGo to full article
CRISI DEL GOVERNO (e non solo del governo)
A dire la verità, io non so cos’abbia fatto di male quest’uomo
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Non so se siano fondate le accuse di:
- concussione
- abuso d’ufficio
- uso improprio dei mezzi di trasporto dello Stato
- frequentazione di Lele Mora
- transiti marittimi su yacht pullulanti di conigliette di Playboy (come sta qui di seguito sottolinenado con inequivocabile gesto delle mani)
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- eccetera eccetera
Sta di fatto che, in quanto (ex) ministro della Repubblica, avrebbe dovuto informare il popolo italiano che in realtà vive a Yellowstone e ha come amico Bubu.
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Ps. Parliamoci chiaro, uno con la faccia da orsacchiotto può davvero essere il nemico numero uno della magistratura italiana? No, perché allora quello scassapalle dell’orsetto Knutt farebbe bene a non varcare il confine.
‎lunedì ‎21 ‎gennaio ‎2008, ‏‎12.04.30 | RobertaRossiGo to full article
UOMINI, DONNE E...
Tra uomini e donne esistono molte differenze, il più delle volte macroscopiche. Siccome sono una persona imparziale e non voglio esprimere giudizi di parte, mi limiterò a indicare alcune situazioni esemplari, senza per forza insinuare che, a conti fatti, le donne risultano dotate di abilità motorie, dialettiche, intellettive un trilione di volte superiori a quelle degli uomini; senza voler a tutti i costi sottolineare che l’evoluzione umana è stata più benevola con l’elemento femminile che con quello maschile, tanto da costringere gli studiosi a cambiare la dicitura da homo a domina sapiens sapiens; senza infine sottintendere che gli uomini ci piacciono così come sono, altrimenti li avremmo già sostituiti con i robot (possibilmente alti, biondi e senza le rotelline sotto i piedi). Ma tant’é:
1) TEMPO = gli uomini e le donne percepiscono diversamente il trascorrere del tempo, sia nel breve, sia nel lungo periodo. Se durante un confronto antropologico sui ruoli domestici una donna dice: <<Sono stanca, oggi ho stirato tre ore>> e l’uomo risponde: <<Cosa dovrei dire io, stanotte ho dormito solo tre ore>>, a occhio e croce significa che:
- lei ha mentito di una buona mezz’ora, avendola trascorsa al telefono con l’amica a disquisire sulle gote tridimensionali di Carla Bruni, mentre il ferro bollente era rimasto appoggiato sopra una camicia, che ora porta sul taschino un tatuaggio maori con i buchi rotondi per la fuoriuscita del vapore
- lui ha mentito di cinque ore nette, dal momento che non ha considerato vero sonno:
l’ora corrispondente al secondo tempo del film dell’orrore che lui ha scelto per addormentarsi meglio e lei ha dovuto vedere da sola rischiando tre angina pectoris
le due ore davanti a Controcampo – Diritto di replica, dato che a un certo punto ha buttato un occhio da triglia alla moviola che si soffermava sul gol in fuorigioco della squadra avversaria, costringendolo a muovere due sinapsi che gli hanno fatto pensare che questo campionato è truccato
le due ore successive, in cui gli è apparso in sogno Moggi, con il quale ha avuto un lungo e stancante dibattito sulla necessità di smetterla con il calcio corrotto per darsi al Quidditch, così da scendere in campo su una Nimbus 2000 nuova di zecca
Diversità notevoli si notano anche nel modo di percepire il tempo che passa:
- a ventinove anni, una donna comincia a pensare all’ipotesi di avere un figlio entro i prossimi cinque anni, perché la menopausa è dietro l’angolo
- a ventinove anni, un uomo comincia a pensare all’ipotesi di avere un figlio entro i prossimi vent’anni, perché non ha mai sentito parlare di menopausa, se non come snack con poche calorie
2) COSE DA FARE = le donne riescono a fare più di una cosa contemporaneamente. Un giorno ho visto la mia vicina di casa salire due rampe di scale portando a mano tre borse della spesa, una cassa di vino sotto l’ascella destra, suo figlio sotto l’ascella sinistra, un pallone da calcio che per comodità se lo faceva passare da un piede all’altro senza farlo cadere a terra come fa Ronaldinho, un piccione viaggiatore che le si era posato in testa. Gli uomini no. Le borse della spesa, la cassa di vino, il bambino, il pallone e il piccione viaggiatore sono cose distinte, che vanno portate in casa una per una. Non importa se nel frattempo cambiano le stagioni, i cibi si ricoprono di muffa, il bambino è pronto per l’università, il piccione muore di vecchiaia. Una-per-una.
3) SESSO = quando si preparano per fare all’amore, le donne vogliono abbassare le luci, accendere un paio di candele profumate e spargere per la stanza una musica d’atmosfera. Quando fanno all’amore, agli uomini non gliene frega niente dell’atmosfera: loro non perdono l’eccitazione neanche se la televisione è accesa sulla Domenica del Villaggio con Mengacci.
Queste sono solo alcune situazioni in cui si manifestano differenze di fondo tra uomini e donne. Ma l’argomentazione non finisce qui, dato che emerge con sempre più forza la terza via, quella in alternativa al lui e alla lei tradizionali e che temo ci darà del filo da torcere. Tanto per intenderci, quando a Manuel Casella è stato chiesto:
<<Cosa ti è piaciuto di Amanda Lear?>>
lui ha risposto:
<<Amanda ha quel qualcosa in più che le altre donne non hanno>>.
Su questo proprio non si discute!
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‎venerdì ‎18 ‎gennaio ‎2008, ‏‎15.49.12 | RobertaRossiGo to full article
CON TUTTE QUELLE MEDICINE
Le pubblicità dei medicinali non mi convincono. All’approssimarsi della stagione invernale, cominciano a vedersi in televisione persone devastate dall’influenza, con pustole sparse per il corpo e protuberanze verdognole sotto le ascelle. Ma gli basta prendere una pastiglia effervescente e... MIRACOLO: nel giro di quindici secondi sono pronti per i 400 metri ad ostacoli. Non capisco perché a me lo stesso medicinale non faccia passare l’influenza, a meno che non ne ingerisca una quantità tale da stendere microbi grandi come i Moai dell’Isola di Pasqua. Ben più visibili sono invece gli effetti collaterali, che si manifestano anche dopo una semplice Borocillina. Una volta mi sono ritrovata con:
- un eritema da calore (tenendo conto che eravamo ai primi di gennaio, ci vuole un bel culo!)
- la voce di Maurizia Paradiso
- il terzo capezzolo (che, considerando gli altri due, in certe occasioni può rivelarsi vantaggioso)
In realtà credo che con i medicinali non ci sia da scherzare. Di solito ci si limita a leggere le modalità d’uso, ma se si desse un’occhiata alle controindicazioni, temo che verrebbe voglia di tenersi il raffreddore o il mal di testa. Ecco, tanto per fare un esempio, gli effetti collaterali dell’Aulin:
1) anemia
2) trombocitopenia
3) ipersensibilità
4) anafilassi
5) iperkaliemia
6) ansia
7) mal di testa
8) vertigini
9) visione sfuocata
10) sonnolenza
11) tachicardia
12) ipertensione
13) vampate di calore
14) asma
15) diarrea
16) stipsi
17) dispnea
18) flatulenza
19) ulcera perforante
20) epatite
21) aumento della sudorazione
22) orticaria
23) ematuria
24) edema
25) astenia
26) ipotermia
27) aumento degli enzimi epatici
28) altre svariate malattie
Tre le cose che mi sento di sottolineare:
- non mi tranquillizza per niente il fatto che sul foglio illustrativo ci sia scritto che molti effetti indesiderati siano rari, molto rari o non comuni. Dopo tutto si diceva che raramente un cantante nero sarebbe potuto diventare bianco, eppure...
- una buona parte di questi effetti neanche li conosco, altri mi sembrano piuttosto gravi. Potendo scegliere, punterei sul numero 10, anche se con un bel 18 mi toglierei parecchie soddisfazioni
- la sfiga sarebbe che, prendendo un Aulin per combattere il classico mal di testa, si presentasse l’effetto collaterale 7
Ad ogni modo, se le medicine alla lunga provocano più malefici che benefici, allora è vero che il mondo va alla rovescia. Ad esempio, un medicinale dal nome rilassante come MOMENT aumenta sensibilmente i rischi di ictus, mentre l’unico che non ha controindicazione è un coadiuvante nella iperacidità gastrica dal nome che è tutto un programma: MAALOX.
Misteri della farmaceutica.
Maalox Plus_big
‎sabato ‎12 ‎gennaio ‎2008, ‏‎12.09.18 | RobertaRossiGo to full article
LA GATTA NERA
Su questa donna qui
ainett07
esistono due pareri:
1) c’è chi dice che assomiglia a un uomo. Per la precisione all’Homo Popputus, afflitto da una notevole elefantiasi al petto. Ecco spiegato il motivo dell’inversione biologica dei ruoli, che lo vede allattare i figli, riuscendo a sfamare anche quelli dei vicini di casa, oltre a una buona percentuale di bambini del Corno d’Africa. Vantaggi evolutivi: la dotazione airbag. Svantaggi evolutivi: la postura sbilanciata in avanti.
2) c’è chi dice che non vorrebbe averla come fidanzata, perché basterebbe che lei avesse il mal di testa una sera per procurargli una devastazione ormonale. Il colmo sarebbe se una così avesse scelto la castità: al suo uomo non resterebbe che sperare di diventare cieco. Cosa che, stando all’attività in solitaria, non tarderebbe a succedere...
Non so come la pensiate voi, sta di fatto che avere un fisico tanto accessoriato nuoce gravemente alla salute.
Fortuna che io non ho di questi problemi. Ecco il mio luglio 2008:
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‎mercoledì ‎9 ‎gennaio ‎2008, ‏‎14.39.21 | RobertaRossiGo to full article
CASA NOSTRA 031Ciao piccola Dookie, ci mancherai tantissimo.
‎martedì ‎8 ‎gennaio ‎2008, ‏‎0.22.19 | RobertaRossiGo to full article
SHOPPING IN CENTRO E IN PERIFERIA
Che il tempo passi per tutti, mi sembra un’affermazione scontata. Altra cosa è sentirselo ricordare a tradimento dalla propria farmacista di fiducia. Dopo aver comprato una scorta di assorbenti Lines di ogni forma e misura, alati e non (quindi dimostrando che gli anni della menopausa sono piuttosto lontani), la gentile dottoressa mi ha allungato l’omaggio natalizio, raccomandandomi di usarlo mattina e sera. Convinta che si trattasse della solita crema contro l’acne giovanile, le ho risposto con un sorriso, come per dirle: <<Sciocchina, lo vedi che non ho più neanche un brufolo?>>. Ma quando sono arrivata a casa e ho aperto il pacchetto, la sciocchina si è trasformata in una stronza serpe irsuta e maleodorante: nel pacchetto ho trovato una confezione di acido ialuronico. Acido ialuronico a me? A me che ho sul bel visin giusto un paio di rughette d’espressione, solo lievemente accennate come soavi ruscelli, ma che quella diabolica farmacista deve aver paragonato ai solchi nel Gran Canion quando c’è la siccità. Comunque sono molti altri i negozianti che nell’ultimo periodo mi hanno irritata:
1) la commessa di un negozio di abbigliamento in centro = le commesse dei negozi di abbigliamento (in centro) ti dicono che stai da Dio anche se ti fanno indossare un saio beige, cinto da una fibbia di dromedario siriano e impreziosito da un simil-cilicio in pelo di capra. Ad esempio, la commessa di Max & Co., che si finge una mia cara amica avendomi frequentata ultimamente più dei manichini del negozio, ha addirittura applaudito dopo avermi fatto indossare un vestito a palloncino che mi faceva sembrare un cicciobello tozzo
2) la commessa di un negozio di abbigliamento in periferia = le commesse dei negozi di abbigliamento (in periferia) ti dicono che stai da cani anche se ti presenti con un’impalcatura creata dai maghi degli effetti speciali, che ti fa assomigliare ad Angelina Jolie alla serata degli Oscar. Invece scalpitano per venderti la cosa più orribile del mondo, convinte che sia glamour. Ad esempio, la commessa del negozio a due passi da casa mia ha urlato di gioia dopo avermi infilata in una tuta leopardata dall’aspetto inquietante, se non altro perché era di plastica riciclata. Credo che se fossi uscita dal negozio vestita così, il netturbino comunale mi avrebbe portata in discarica per la raccolta differenziata
3) la parrucchiera = ha il brutto vizio di mettermi prima la testa sotto il rubinetto, poi di chiedermi: <<Ti faccio lo shampoo antiforfora?>>. Siccome ogni volta l’acqua entra nelle mie orecchie rendendomi sorda, lei ripete urlando: <<Ti faccio lo shampoo antiforforaaaaaaaaa?>> Una volta ha risposto al posto mio una vecchia che passeggiava col cane tre isolati più in là. Quando si dice la riservatezza...
4) la cassiera del supermercato = credo di avere il diritto di comprare tutti i prodotti che voglio senza renderne conto a nessuno, se non al mio Bancomat. E al direttore della mia banca, ovviamente. Invece la cassiera del Conad, accortasi che avevo comprato tre marche diverse di acqua minerale, di cui una naturale, una lievemente frizzante, una frizzantissima, ha storto il naso, dicendo: <<Ne aveva proprio bisogno di tre diverse?>>. Ora capisco che l’usura di schiacciare sulla tastiera tre codici differenti possa alla lunga rivelarsi letale, ma non vedo il motivo di fare tante storie per l’acqua, quando la maggior parte della casalinghe chiama in un mese tre diversi idraulici, tre diversi giardinieri, tre diversi tecnici della caldaia, senza che nessuno glielo faccia pesare
5) l’ortolana = tempo fa mi ha detto che non dovevo preoccuparmi se i fagiolini che stavo comprando erano gialli, dato che venivano dal Giappone. Infatti lei gestisce un’attività di respiro internazionale, dai forti connotati umanitari. Proprio ieri mi ha spiegato che un chilo di zucchine, sempre giapponesi, ha fatto Harakiri per protestare contro l’aumento dei prezzi.
fagiolini
Credo che cambierò negozio.
Sì, lo farò.
‎giovedì ‎3 ‎gennaio ‎2008, ‏‎18.57.35 | RobertaRossiGo to full article
TIRO AL BERSAGLIO
Così, a occhio e croce, pensate che ci voglia più pazienza (e coraggio) a depilarsi le gambe con una pinzetta da sopracciglia o a dare da mangiare a un bambino piccolo? Personalmente, dopo aver sperimentato entrambe le cose, posso affermare che strapparsi un pelo dopo l’altro è niente in confronto alle torture cui mia figlia mi sottopone ogniqualvolta tenti di nutrirla. Per carità, Nicole è una dolcezza, quando dorme. Ma quando è ora di mangiare, si trasforma in Taz, il diavoletto della Tasmania. All’inizio proprio non ne voleva sapere. Poi, per puro caso, abbiamo scoperto che si convinceva ad aprire la bocca solo quando vedeva suo papà saltellare per tutta la cucina, come faceva Don Lurio ai tempi di Punta tacco punta tacco baby one two three.
16800
Il problema è che il suo papà, dopo aver scoperto una passione sfrenata per la danza, si è unito a un gruppo folk, e ora è in tourné sulle Ande. Quindi sono rimasta sola: ma io non so ballare, né comunque potrei improvvisare una Macarena lanciando pezzi di vitello al vapore nella boccuccia della mia bimba. Dopo vari tentativi, ho scoperto che Nicole mangia solo se prima ottiene ciò che vuole. Fortunatamente, la piccina non ha ancora pretese a 24 carati: anche se temo che il giorno della nostra rovina economica non tarderà ad arrivare, i preziosi di famiglia sono per ora al sicuro. Piuttosto, mia figlia è attratta da qualsiasi oggetto visibile e invisibile si trovi nella nostra cucina. Le cose funzionano così: lei sta seduta sul seggiolone, col piglio di Cleopatra indica col dito ciò che vuole, emettendo un chiarissimo Mmmmmmm. Se per sbaglio non intuisco al volo l’oggetto del suo desiderio, cosa impensabile dato che la pronuncia è chiarissima e il dito indicante non oscilla affatto ad ogni corrente d’aria, lei va su tutte le furie e sono convinta che mi farebbe mordere da una serpe velenosa, se ne avesse una a portata di mano. Per fortuna, dispone intorno a sé solo di oggetti di piccole dimensioni, tipo la tazza da bimbo o il libro Chicco con le canzoni, che diventano all’occorrenza dardi assassini. Avete mai provato a prenderne uno in fronte? In ogni caso, non potete dire che esagero. Nel tempo mi sono specializzata nell’individuare gli oggetti indicati da mia figlia, nel porgerglieli insieme a una ricca cucchiaiata di pastasciutta e a schivarli mentre me li lancia quando non le interessano più. Gli oggetti più ambiti sono:
- le tazzine in fine porcellana cinese (si sa che il made in China fa schifo, ma la porcellana pare essere l’unica cosa apprezzata di quel paese)
- la caffettiera
- la luce al neon del frigorifero
- il frigorifero
- i coltelli freschi di affilatura, compreso il ceppo in legno massello
Comunque non mi do per vinta: mentre lei si diverte a fare il tiro a segno, io giro per casa con un’armatura del XV secolo. Ormai mi sento pronta per partire alla ricerca del Sacro Graal (e del mio fidanzato sulle Ande).
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‎mercoledì ‎2 ‎gennaio ‎2008, ‏‎16.36.59 | RobertaRossiGo to full article
PRIMO SCOOP DEL 2008
A meno che non siate stati in visita di Babbo Natale in Lapponia o non vi abbiano sequestrato il televisore credendo che fosse un botto di Capodanno telecomandato a distanza, negli ultimi giorni vi sarete sicuramente imbattuti nell’ultima pubblicità della Fiat, che fa più o meno così:
C'era un bambino che chiamava le persone gli 'hello': i ciao.
Quindi non diceva “Guarda quell'uomo”, ma diceva invece: “Guarda quello hello” o diceva: “E’ venuto uno hello”, “C'è uno hello alla porta”.
Il motivo era semplicemente che sentiva suo padre dire alla gente: “Hello”.
Se si dice tavolo a un tavolo e sedia a una sedia, allora quelli a cui si dice “hello” devono essere gli Hellos.
Quello che mi piace di questa storia è...
...che Lapo deve averne passata parecchia ai pubblicitari, altrimenti non si spiega!
occhialisolelapo4
‎martedì ‎25 ‎dicembre ‎2007, ‏‎2.38.34 | RobertaRossiGo to full article
23 DICEMBRE 2007(ossia a un anno esatto dalle 12 ore di travaglio)
Perdonate l'uso personale del blog (di solito non succede), ma questa è un'occasione speciale
BUON COMPLEANNO NICOLE !!!
IL 1 ANNO E' ROBA DA GRANDI
E TU LO SEI PER TUTTI NOI.
SPASSATELA PIU' CHE PUOI, PICCOLINA!!!!!!!
la tua mamma e il tuo papà
‎sabato ‎22 ‎dicembre ‎2007, ‏‎11.09.00 | RobertaRossiGo to full article
REGALI REGALI REGALI
Ricordo che una decina d’anni fa, sotto le feste di Natale, sono entrata nella merceria del mio paese in cerca di un reggiseno ultra-imbottito. A quell’epoca andavano di moda, inoltre credevo di essere adatta a quel genere di indumento, visto che mi riconoscevo in tutto e per tutto nell’immagine di Eva Herzigova, che reclamizzava il Wonderbra. Purtroppo la commessa, nonché mia zia di terzo grado, non la pensava allo stesso modo, infatti mi rispose: <<Cara, di questo modello non fanno la taglia tavola da surf>>. Un pò risentita, mi sono rintanata in un cantuccio del negozio a frugare tra le calze di lana, sicura che nessuno avrebbe avuto da ridire sulle dimensioni dei miei piedi. Proprio in quell’istante sento una cliente sulla trentina affermare: <<Vorrei due paia di calze per mio marito, un paio blu, un paio nere>>. Dopo avermi scansato dallo scaffale con una spallata, mia zia ha cominciato a frugare qua e là, finché, tutta soddisfatta di quello che aveva trovato, ha chiesto gentilmente: <<Cara, gliele incarto?>>. Ero convinta che la donna avrebbe rifiutato: insomma, chi regalerebbe al proprio uomo un paio di calze blu e nere a rombi grigi con una riga verde in fondo alle dita? Invece quella rispose: <<Sì, grazie. Faccia un bel pacchetto col fiocco rosso>>. Il tipo di confezione richiesto mi ha fatto subito pensare che quello doveva essere il pezzo forte dei doni natalizi. Poi però la donna manifestò un ripensamento, il che mi fece sperare in una mossa a sorpresa che le avrebbe evitato la richiesta di divorzio da parte del marito. <<Senta, ho pensato che due paia di calze sono un pò pochino. Quest’anno voglio esagerare: mi dia anche cinque bottoni azzurri>>. Perché in effetti è questo lo spirito del Natale: regalare cose utili. Per questo motivo, ho deciso che a Natale regalerò:
- al mio fidanzato la proroga della validità dell’anello di fidanzamento (di un paio d'ore, ovviamente)
- a mia figlia una babysitter, che non sarà per nulla somigliante a Scarlett Johansson in Il diario di una tata, onde evitare che il suo papà si agiti
- ai nonni di mia figlia la mia gigantografia in 3D, giusto per ricordargli della mia esistenza, in modo che, quando vengono a trovarci, non rispondano ad ogni mia domanda canticchiando: <<Sono le tagliatelle di nonna Pina, un pieno di energia, effetto vitamina>>
- ai miei amici Chiara e Luca, neogenitori, il manuale “Mamma e papà survivor – Ovvero come sopravvivere al fiato sul collo dei parenti che ogni tre per due piombano in casa vostra per assicurarsi che non abbiate infilato il bebè in lavatrice”
- al mio collega Eliseo la multa presa al semaforo di Cà Marta, accompagnata dalla foto della mia auto scattata dal Photored: questo gesto sta a dimostrazione di tutto il mio affetto per lui, a tal punto da fregarmene del colore dei semafori pur di non far tardi agli appuntamenti
- ai lettori di questo blog la promessa che quando diventerò una scrittrice famosa non fingerò di non riconoscerli e....................................................... BUON NATALE A TUTTI!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
‎mercoledì ‎19 ‎dicembre ‎2007, ‏‎13.06.05 | RobertaRossiGo to full article
MATRIMONIO A ROMA
Dicono che il giorno del matrimonio sia il momento più emozionante della propria vita. A giudicare dalle facce di questi due qui
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credo proprio che sia vero. All’osservatore meno attento sembrerà che Fabio e Michela stiano esprimendo nella foto un’espressione rilassata e disinvolta: in realtà, guardando con attenzione, si può notare il filo di mastice che parte dagli angoli della bocca e si congiunge ai lobi delle orecchie per obbligarli a un sorriso perenne. In effetti, non dev’essere stato facile venire continuamente importunati dai flash e dai “Bacio bacio bacio” dei commensali, mentre l’unico desiderio era riuscire a ingoiare almeno un pezzetto di orata in crosta.
Ma andiamo con ordine.
La giornata di sabato 15 dicembre, giorno del fatidico SI’, si è aperta con un netto +2 gradi centigradi, che a Roma è più raro della vittoria di Totti a una gara di paradigmi latini. Pare che, dopo aver messo piede fuori casa, una buona percentuale di invitati abbia esclamato: <<Mortacci sua>>, alcuni si siano limitati a un <<Ti venisse un cancher>>, mentre solo uno avrebbe esclamato: <<Sayonara>>, ma si trattava di un turista giapponese passato di lì per caso, quindi poco attendibile. Per fortuna, un bel vento di tramontana ha spazzato ogni nube all’orizzonte, tanto che dalla vetta del Campidoglio si poteva godere di uno splendido panorama: i Fori Imperiali, le antiche rovine, una chiesa non meglio identificata. C’è chi giura di aver intravisto anche una famiglia di orsi polari e un mammut di cui si era persa traccia dai tempi dell’era glaciale.
La sposa, raggiante in uno splendido abito bianco, è arrivata con un filo di ritardo. Tutto ciò era prevedibile, dato che sulla vecchia Fiat 1100 di famiglia, tirata a lucido per l’occasione, era installato un navigatore che, oltre a dare le indicazioni stradali in sanscrito, insisteva sul fatto che l’autista non dovesse superare i dieci chilometri orari consentiti alle bighe, altrimenti l’imperatore Traiano avrebbe punito i trasgressori costringendoli a un corpo a corpo con le tigri nel Colosseo.
Comunque, durante l’attesa, nessuno si è fatto prendere dal panico, a parte i genitori dello sposo che, avviliti, si sono lasciati sfuggire: “E mò, chi se lo piglia?”. Anche lo sposo è apparso un pò agitato, tanto che qualcuno l’ha beccato nel tentativo di corrompere con un paio di banconote l’ufficiale di stato, allo scopo di mantenere il possesso della sala per la celebrazione del rito civile. Infatti a Roma sono talmente tante le coppie che si sposano, che ciascuna ha circa un quarto d’ora a disposizione per dire “lo voglio”, apporre una firma, scattare un paio di foto, abbandonare l’aula. Il leggero ritardo della sposa stava per trasformarsi in dramma: camminando freneticamente dentro e fuori dalla sala, Fabio ha incrociato sì e no cinque spose, rischiando di sposarsi con una certa Mok Chin di Pechino. Il bello è che noi invitati, smarriti all’inseguimento dello sposo, abbiamo presenziato con trasporto ad altrettanti matrimoni, mentre il cerimoniere, che indossava intorno al braccio una vistosa fascia giallorossa, tentava di mantenere l’ordine urlando “Se passate di qui, ve faccio un culo così”.
L’ingresso della sposa in Campidoglio ha lasciato tutti senza fiato, sorprendendo amici, parenti e tutti coloro che davano il suo arrivo dieci a uno.
Per quanto mi riguarda, non ho mai dubitato delle reali intenzioni di Michela: peccato mi sia lasciata tentare da quel dieci a uno, che mi è costato un bel gruzzoletto (comunque mi rifarò con la tombola di Natale).
Dopo la celebrazione, il fotografo ha messo tutti in posa accanto alla statua di Marco Aurelio. Solo a fine giornata, ci si è accorti che un paio di zie degli sposi erano rimaste là: purtroppo lo stato di congelamento avanzato ha impedito il recupero dei corpi, che verranno indicate dalle guide turistiche come statue neoromaniche in tailleur e mocassini Valleverde.
Il pranzo si è tenuto presso uno splendido ristorante di Grottaferrata.
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L’arrivo degli sposi è stato accolto dal classico: “Evviva evviva, ora se magna”, per il resto è stato un tripudio di squisite pietanze, dagli antipasti alla torta nuziale. Ho un solo enorme rimpianto: non essere riuscita a finire ogni portata. Infatti ho avanzato un terzo del sorbetto al limone, ma spero che gli sposi mi perdoneranno per questo spreco.
A proposito di questi ultimi, voglio rassicurarli sul fatto che, nonostante la cascata di flash cui sono stati sottoposti durante il pranzo, non circolano fotografie che li ritraggono mentre:
- sbadigliano (è vero che in una foto si vedono un paio di tonsille, ma potrebbero essere di chiunque)
- schiacciano un pisolino sotto il tavolo
- tentano di fuggire dalla finestra con i regali tra i ravioli ai fiori di zucca e i tagliolini
- minacciano il pianista che voleva fargli cantare “Su di noi nemmeno una nuvola”
- strangolano il pianista perché cantava in maniera pessima “Su di noi nemmeno una nuvola” (ma, a sua discolpa, bisogna dire che i commensali non gli hanno dato una mano)
Dopo la consegna delle bomboniere, più o meno tutti se ne sono andati, rivelando che il reale motivo per cui hanno partecipato al matrimonio era accaparrarsi gli ambiti oggetti della Thun. Prima però c’è stato il lancio della giarrettiera.
Molto più drammatico il lancio del bouquet: le ragazze presenti hanno inscenato nell’ordine
- paralisi agli arti superiori, inferiori e laterali
- cecità fulminante
- attacchi di panico, seguiti a spasmi incontrollabili
C’è stato anche un caso di tentato suicidio: una ha infatti usato come pugnale il coltello per il taglio della torta, ancora sporco di panna montata. Io non ho avuto nessun timore, così ho fatto un vago cenno alla sposa, giusto per farle capire che se proprio voleva rispettare la tradizione, poteva mirare dalla mia parte. Il problema è stato che Michela ha preso questa cosa troppo sul serio: infatti, girata di spalle, ha lanciato il bouquet con una potenza che non si è mai vista nemmeno in occasione della finale del Super Bowl. Forse non tutti sanno che per confezionare i mazzi da sposa, i fioristi usano un’impalcatura a base di piombo e calcestruzzo. La pesantezza del bouquet, sommata ai miei riflessi da bradipo, ha fatto sì che il mazzolino mi colpisse dritto su una guancia, sulla quale è rimasta impressa per sempre la sagoma di una violetta del pensiero. Comunque, trionfante, sono corsa dalla sposa per ringraziarla del gesto e poi sono corsa dietro al mio fidanzato, che nel frattempo si era dato alla macchia.
Gli sposi hanno quindi cominciato la loro luna di miele, che gli auguro possa durare il più a lungo possibile!
‎mercoledì ‎12 ‎dicembre ‎2007, ‏‎20.00.18 | RobertaRossiGo to full article
CONVERSAZIONI NOTTURNE
Una fonte attendibile mi ha rivelato che l'altra notte, dopo aver toccato nel sonno un oggetto alla mia destra, sempre continuando a dormire ho esclamato: <<Cos'è questo ripiano marmoreo?>> La stessa attendibilissima fonte assicura che non mi riferivo al comodino.
3occhineri
Se tanto mi dà tanto, cosa voglio di più dalla vita?
‎domenica ‎9 ‎dicembre ‎2007, ‏‎11.32.19 | RobertaRossiGo to full article
DONNE MODERNE
Che poi a me una come la Ventura incute timore. Sarà che il modello Wonder Woman non mi è mai piaciuto, se poi ci aggiungiamo il linguaggio talmente iperbolico che alla fine non ci si capisce una mazza, le mezze giravolte con l’indice puntato neanche fosse lo zio Tom all’epoca della campagna per l’arruolamento in Vietnam, la fisicità esuberante tipica di Mister Olimpia, insomma... io mi prendo proprio paura. Nonostante sia una persona moderna, resto ancorata a un modello di donna più dolce e garbato, tipo Milly Carlucci, o all’immagine frizzante senza aggressività di una Ilary Blasi qualunque. Per essere chiari, alla mascolinità della Ventura preferisco la femminilità di Solange. Ho letto in una recente intervista che Simona Ventura passa gran parte del tempo fuori casa, lavora dodici ore al giorno, di sera ha un sacco di impegni mondani, tre ore le dedica alla palestra, comunque sta tantissimo con i figli. A questo punto, o i suoi figli se li infila nella borsetta, oppure la giornata di certa gente supera le ventiquattrore a disposizione dei normali esseri umani. Non so. Io alla mattina sto con mia figlia, se è sveglia. Se dorme, sto con mia figlia zitta zitta nella speranza che non si svegli. Dopo il pranzo, in genere, sto con mia figlia, che, dopo un pisolino di circa trenta secondi, sente talmente tanta nostalgia della mamma, che mi si appiccica addosso tipo piovra per tutto il resto del pomeriggio. Alla sera, a meno che non debba necessariamente uscire, sto con mia figlia: nella maggior parte dei casi, non devo necessariamente uscire. Quando finalmente, all’alba dell’una di notte, miss Scassapalle si è addormentata, riesco a scambiare due parole con Cristian, cioè <<buona notte>>. Vorrei aggiungere <<amore>>, ma sarebbe inutile, tanto lui già dorme (in tutta sincerità, non me la sento di fargliene una colpa): quindi preferisco non sprecare energie in vista della giornata seguente. A pensarci, mi farebbe proprio bene andare in palestra: opterei per il programma “rassodamento glutei e abbattimento del grasso superfluo”, che prevede tra l’altro una tre giorni sui Pirenei, precisamente a Lourdes. Bene, credo che sia fatta, ho già acquistato la tuta: a questo punto non mi resta che infilare Nicole negli scaldamuscoli.
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‎venerdì ‎7 ‎dicembre ‎2007, ‏‎16.34.11 | RobertaRossiGo to full article
BENVENUTO!
Nel primo pomeriggio di ieri, giovedì 6 dicembre, è nato a Parma Andrea Bertogli. Facendomi portavoce degli emozionatissimi genitori, annuncio a tutti gli amici e lettori di questo blog che il piccolo e la sua mamma stanno bene. Non si hanno notizie del papà, che comunque non dovrebbe essere scappato a Santo Domingo. Non vediamo l'ora di conoscere il nuovo arrivato, al quale auguriamo di cuore ogni bene e felicità, nonostante suo padre sia quest'uomo qui:
IO, CRI, LUCA, STE 001
Per fortuna, Andrea può contare su Chiara, che sarà una mamma splendida e piena di attenzioni. Un bacino al piccolo e una abbraccio ai neo-genitori, con un messaggio in codice: "Ora non vi passa più !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!" Vi vogliamo bene, i vostri amici.
‎venerdì ‎7 ‎dicembre ‎2007, ‏‎16.08.59 | RobertaRossiGo to full article
Sì, LO VOGLIO
Il matrimonio dei nostri amici Fabio e Michela è sempre più vicino. Io e Cristian stiamo definendo gli ultimi dettagli, per esempio dobbiamo decidere se regalare agli sposi un ceppo di coltelli super affilati (io preferirei di no, perché alla prima lite coniugale non vorrei sentirmi responsabile di un eventuale uso improprio del regalo, stile Jack lo Squartatore), inoltre stiamo cercando di capire se le calze gialle canarino a pois verdi si adattano al mio vestito lilla. Onde evitare una sincope alla futura sposa, credo che ripiegherò su qualcosa di più classico o comunque meno carnevalesco, anche perché il mio fidanzato sarà elegantissimo e bellissimo e perfettissimo (so che non bastano tre –issimi per farmi perdonare le frecciate a suo carico apparse su questo blog, ma tant’é). Ieri sera ho scambiato quattro chiacchiere telefoniche con Michela: è sempre bello parlare con una ragazza a tre passi dal fatidico “sì”, che ti dice “No, non sono agitata”, e nel frattempo ha i capelli fino al soffitto, le pupille dilatate, la sudorazione di Baldini alla maratona di Atene e il colorito verdognolo (tiro a indovinare, dato che al telefono non si vedeva). Intanto trapelano le prime indiscrezioni sul grande giorno, che non intendo assolutamente rivelare per non rovinare la sorpresa a chi ci sarà e a chi no (questi ultimi potranno leggere su questo blog tutti i dettagli dei festeggiamenti: gli sposi hanno infatti concesso l’esclusiva alla sottoscritta, tanto per metterla in quel posto a Novella 2000!). Posso solo anticipare che Michela arriverà in Campidoglio su una splendida macchina d’epoca. Tale scelta è stata dettata da due motivazioni:
- arrivare a bordo di una biga faceva troppo SPQR
- in caso alla sposa venga il classico ripensamento dell’ultima ora e decida di svoltare per errore verso Ostia Mare, può sempre dare la colpa al navigatore satellitare dell’800, epoca in cui i sensi unici in centro erano un tantino
diversi
Anche Fabio ha svelato qualche piccolo segreto sul giorno della cerimonia, che io, essendo stata profumatamente pagata, non rivelerò. Posso solo dire che il nostro amico ha avuto una splendida idea: essendo un chimico affermato, ha pensato di indicare i tavoli ai quali siederanno gli ospiti con il nome degli elementi chimici. Mi sembra un’idea originale, tanto più che ad ogni elemento corrisponderà la rispettiva immagine. A questo punto, temo che Fabio abbia messo me e Cristian nel tavolo dello STRONZIO e che ci chieda una nostra foto per raffigurarlo!!!
‎martedì ‎4 ‎dicembre ‎2007, ‏‎1.14.54 | RobertaRossiGo to full article
SAVOIA SI’, SAVOIA NO E LA TERRA DEI CACHI
La notizia del giorno è che la Repubblica italiana ha deciso di riconoscere alla famiglia Savoia la cifra avanzata qualche giorno fa dagli stessi ex reali, come indennizzo per i danni morali conseguenti all’esilio. La richiesta dei Savoia, inoltrata a mezzo missiva al presidente della Repubblica e al presidente del Consiglio, è infatti apparsa <<equa e ragionevole, a fronte di una norma ingiusta e contraria alle leggi internazionali, che ha costretto due uomini di alto profilo morale e grandi capacità intellettive, quali Vittorio Emanuele e suo figlio Emanuele Filiberto, a vivere lontano dal nostro Paese>>, ha dichiarato Krusty il Clown, portavoce di Stato. <<Si parla tanto di fuga dei cervelli: in questo caso, godiamo del ritorno di due cervelloni regali!>>. La richiesta di indennizzo, come hanno più volte sottolineato i Savoia, dipende dalla volontà di farsi ripagare in termini concreti le umiliazioni fisiche e metafisiche patite durante gli anni dell’esilio. Ne diamo un veloce resoconto, tanto per farcene un’idea:
Umiliazione numero uno: l’istruzione all’estero. Emanuele Filiberto ha dovuto studiare in un prestigioso collegio svizzero, piuttosto che in una qualunque scuola italiana. Questo fatto ha agito negativamente sulla formazione della sua mente, che ora ticchetta quasi fosse uno Swatch. Ne ha risentito anche l’uso della consecutio temporum. Ad esempio, durante un’intervista, Filiberto ha dichiarato: <<Quando il re fu esiliato, senza che fu emanato un editto e senza che io fui nato, tutti i pesci vennero a galla per vedere la palla di pelle di Apollo fatta da Apelle figlio di Apollo>>. Il giovane Savoia avrebbe di gran lunga preferito frequentare una tradizionale scuola italiana, tipo la mia, dove dai buchi del soffitto cadevano sui banchi merde di topo e il campo da pallavolo era interrotto qua e là da quarantacinque colonne con capitello ionico (tanto si era già deciso che gli studenti del classico fossero destinati a mettere su il fisico di Leopardi).
Umiliazione numero due: non poter godere quotidianamente, ripetutamente, da ogni angolatura, sopra e sotto, delle bellezze italiane. Questo incubo l’ha vissuto Vittorio Emanuele, il quale, appena rientrato nel Bel Paese, ha subito telefonato a un amico, cui ha confidato: <<Ne voglio due, anzi tre, basta che siano disponibili. Le pagherò per tutta la notte, voglio che mi dicano tutto quello che mi piace sentirmi dire>>. Nonostante i soliti maligni, è noto che Vittorio Emanuele si riferiva alle guide turistiche dei Musei Vaticani.
Umiliazione numero tre: vivere senza i benefici della sanità italiana. Il dramma peggiore l’ha infatti vissuto la moglie di Vittorio Emanuele di Savoia, Marina Doria, la quale, non potendo rivolgersi all’Asl di Pinerolo, ha dovuto emigrare negli Stati Uniti per un intervento di chirurgia estetica facciale. Unico chirurgo disponibile in quel frangente era un noto medico hollywoodiano: il risultato è che la signora ha da quel momento assunto una mono-espressione, che ricorda Jack Nicholson quando in Batman interpretava Jocker.
Umiliazione numero quattro: la perdita della propria identità. Tale sindrome ha colpito in particolare Filiberto di Savoia, il quale, nel corso di un puntata di Porta a Porta, ha prima dichiarato di essere nato nel 1972, poi nel 1973. Ma non c’è da stupirsi: lui era troppo piccolo per ricordarselo o comunque non c’era perché esiliato.
Le cicatrici che i Savoia portano nel cuore, e in certi casi sotto le orecchie (vedi conseguenze del lifting americano della signora Marina), saranno presto cancellate grazie all’indennizzo che lo Stato italiano, taglia di qua, taglia di là, fanculo-gli-investimenti-destinati-alla-pubblica-istruzione-e-alla-sanità, ha deciso di riconoscere alla famiglia savoiarda (?). Onde evitare il rischio della svalutazione monetaria, si è però deciso di commutare i 260 milioni di euro di risarcimento in 260 milioni di calci nel culo, che di certo manterranno inalterato il loro valore nel tempo. Stando alle ultime indiscrezioni, la squadra di rugby di Bergamo Alta e un paio di muratori della zona si sono già resi disponibili a risarcire le chiappe reali. AVANTI SAVOIA!
‎martedì ‎4 ‎dicembre ‎2007, ‏‎1.03.39 | RobertaRossiGo to full article
WEEK-END LONTANO DA CASA
Dopo un intero week-end trascorso con Nicole dai miei genitori, ieri sera sono rientrata a casa. Gettando un’occhiata qua e là, tutto mi è sembrato nella norma: un pò di disordine in cucina, la lavastoviglie programmata sul lavaggio intensivo nonostante ci fossero dentro solo un piatto, un bicchiere, una forchetta e un coltello, la sagoma di Cristian incisa sul divano, una piantagione di briciole sul cuscino centrale (d’altra parte, si sa, è tempo di semina). Insomma, le solite cose, segno che i giorni in mia assenza sono trascorsi tranquilli. Anche il mio week-end si è svolto all’insegna delle solite cose: io e i miei genitori ci siamo accapigliati quarantacinque volte, mia mamma ha tenuto quattro comizi sugli effetti benefici delle pere cotte da somministrare ai bambini nei giorni di luna piena in modo da stimolare l’evacuazione dei solidi, mia figlia ha evacuato quindici volte, ma purtroppo non si è mai trattato di solidi. Comunque, appena varcata la soglia di casa, ho avvertito una strana sensazione, diciamo pure che un brivido sottile ha percorso la mia schiena, facendomi drizzare i peli lungo la colonna vertebrale. Dopo aver riflettuto sul fatto che devo decidermi a fare una ceretta dorsale, ho subito pensato che qualcosa non tornava. Non so come dire, ma quella calma, quell’atmosfera di noncuranza che aleggiava nella nostra casa, mi ha suggerito che dovevo vederci chiaro. Guidata dall’istinto, ho aperto il freezer, convinta che ci avrei trovato qualcosa, tipo il dito congelato di un viandante o un rompighiaccio, come in Basic Instinct. Invece, a parte tre salme di baccalà vecchie di un anno e una confezione di Sofficini Findus, lì non c’era niente di interessante. Niente di interessante nemmeno nella vasca da bagno, né nella canna fumaria, a parte un incendio in corso, ma questa è un’annosa faccenda da risolvere con i vecchi vicini del piano di sotto. Eppure qualcosa continuava a stuzzicare il mio sesto senso, finché una lucina si è accesa: da da! Il radar si è puntato dritto su Cristian: se lui, sentendosi sotto tiro, non fosse diventato piccolo piccolo, non si fosse offerto di lavare i piatti pur di defilarsi e non gli fosse spuntata un’enorme coda di paglia, con ogni probabilità io avrei continuato a cercare nella cassapanca. Ma alla luce del suo stato paranoico, del tipo “Perché mi guardi così, io non ho fatto niente all’addio al celibato di Fabio”, ho capito di aver fatto centro. Mentre ero dai miei, Cristian ha infatti partecipato all’addio al celibato di Fabio, che ovviamente non si è svolto in casa nostra: ma quell’alone di colpevolezza, misto a io-neanche-ci-volevo-andare, Cristian l’ha sparso per tutto l’appartamento. Ho sempre pensato che la festa per chi si sposa dovrebbe essere una cosa seria, una faccenda da considerare con la massima attenzione, perché per tutta la vita lo sposo si sentirà chiedere: “Quante tette hai toccato durante il tuo addio al celibato?”, mentre alla sposa le sue amiche/vicine di casa/nipoti e pronipoti, magari meno sfacciatamente, domanderanno: “Sei mica riuscita a farti un’idea di quanto ce l’avessero lungo gli spogliarellisti intervenuti al tuo addio al nubilato?” E le risposte non possono essere vaghe, altrimenti c’è il rischio di alimentare falsi miti, in un’epoca in cui le nuove generazioni devono avere riferimenti precisi. Tipo: “Non saprei, non avevo il metro”, non è una risposta che ci si attende da una donna sposata e soddisfatta. Invece: “Lo spogliarellista al centro reggeva un vassoio, ma non con le mani”, mi sembra possa soddisfare senza equivoci ogni tipo di interessamento sul tema. Da parte mia, posso dire di conoscere bene il mio fidanzato e i suoi amici, quindi non credo a una sola parola di quello che Cristian mi ha raccontato dei festeggiamenti, ossia che tutto si è svolto nel più totale candore. Ora, se proprio non si è fatto come in Fatti, strafatti e strafighe, con questo non significa che l’addio al celibato di Fabio sia stato simile alle celebrazioni liturgiche organizzate dai frati Cappuccini per accogliere in monastero un novizio. Quindi, seguendo il mio istinto, non credo affatto che:
+ nessuna popputa ragazza sia uscita dalla torta nell’abbigliamento tipico con cui si partecipa a Miss Maglietta Bagnata
+ nessuno dei partecipanti alla festa abbia cavalcato seminudo un toro meccanico sventolando un cappello da cowboy (per questa esibizione potrei ipotizzare un paio di nomi, ma preferisco non farlo)
+ il festeggiato non abbia bevuto una tanica di vodka alla fragola, tre bottiglie di gin e l’intero serbatoio di un Iveco parcheggiato fuori dalla discoteca
Se qualcuno dei partecipanti alla festa volesse confermare la versione clericale, si faccia avanti. Ma soprattutto se qualcuno avesse le prove di quanto la sottoscritta ipotizza, sappia che sarebbe immorale, ingiusto e infame ricattare il festeggiato, nonché futuro sposo, minacciandolo di pubblicare video/audio/foto su questo blog.
Ps. 1 In caso di documentazione accurata, si prega di contattare la titolare del blog, che, seppur controvoglia dato il suo forte senso morale, pubblicherà tutto, garantendo al fornitore l’anonimato e tutti i benefici della notorietà virtuale.
Ps. 2 Temo che a questo punto la futura sposa non mi lancerà il bouquet, bensì un capitello romanico del Campidoglio.
fattistrafatti
‎mercoledì ‎28 ‎novembre ‎2007, ‏‎12.27.51 | RobertaRossiGo to full article
ROBERTIK – LA VOCE CATTIVA DEL BLOG
Lo scandalo del giorno è che 800 grammi di latte in polvere Mellin 2 nella farmacia del mio paese costano 18 euro, nel supermercato di due paesi più in là 8 euro. Ora, capisco che la confezione della farmacia sia tutta tempestata di diamanti e la scritta luccichi di brillantini Swarosky. Capisco anche che il latte lì dentro contenuto abbia un’alta percentuale di pregiata polvere bianca proveniente dalle migliori piantagioni di Cartagena. Capisco infine che il barattolo da 18 euro è talmente bello e slanciato da essere apparso sulle passerelle Pitti Uomo primavera-estate 2008 eccetera eccetera. Ma mia figlia, seppur con rammarico, dovrà rinunciare a tutto ciò, agli Swarosky, alla polvere bianca, al fustino da passerella. Dovrà quindi accontentarsi di un prodotto che è identico in tutto e per tutto al precedente, con la garanzia che non è stato fabbricato all’Ikea e con l’unica differenza che non ci manderà in rovina.
Mellin2_800gr
‎lunedì ‎26 ‎novembre ‎2007, ‏‎11.51.38 | RobertaRossiGo to full article
TRA FUOCO E FIAMME
Finalmente ho conosciuto il nostro nuovo vicino. Ora, come promesso, dovrò procurarmi un paio di mortaretti per far saltare per aria la buca delle lettere di Barbara e Luca, proprietari dell’appartamento, nonché miei EX AMICI. Insomma, mi sono subito resa conto che pretendere un modello nudo e muscoloso come vicino di casa era un tantino eccessivo: ma non vedo perché ripiegare su Topo Gigio! Per carità, sarà anche un bravo ragazzo, pagherà l’affitto con puntualità, pulirà i piedi sullo zerbino prima di entrare in casa e via discorrendo. Ma, per Giove, io volevo un vicino di cui vantarmi a destra e manca, uno di quelli che poi capisci perché le amiche single che vengono a trovarti passano tutto il tempo sul pianerottolo adducendo scuse banali, tipo “Sono allergica al tuo pavimento in ceramica”. Invece no, ogni speranza è perduta, dovrò rassegnarmi. Per un vicino che delude, ne ho scoperti altri due che sanno regalare emozioni calde, anzi caldissime, cosa che sotto le feste natalizie non guasta. I due vecchi, che vivono nell’appartamento proprio sotto il nostro, hanno pensato bene di animare un falò casalingo: stando ad alcune notizie trapelate dai soliti chiacchieroni del quartiere, i due avrebbero improvvisato danze tribali intorno al fuoco indossando perizomi e addentando salsicce piccanti. E’ ovvio che si tratta di indiscrezioni da verificare (nel dubbio è stata comunque allertata la Neuro), resta comunque il fatto che a un certo punto sono sopraggiunte a sirene spiegate tre autobotti dei pompieri. Dal salotto il falò si era infatti incanalato su per la canna fumaria, raggiungendo il tetto. Alcuni passanti, allarmati per le fiamme e il denso fumo fuoriuscito dal camino, prima hanno pensato: “Ah, hanno aperto una nuova industria ceramica”, poi hanno realizzato che non si trattava di un forno industriale, ma del comignolo di una palazzina. La nostra palazzina, cazzarola! Per fortuna i danni sono stati piuttosto contenuti: a parte i perizomi dei vecchi andati a fuoco e il conseguente scandalo diffusosi nella nostra comunità, dove si è subito aperto il dibattito: “Terza età, non lasciamoli soli in casa con tizzoni ardenti e bottiglie di grappa a portata di mano”, il nostro appartamento è sano e salvo! Tirato un sospiro di sollievo, di una sola cosa mi rammarico: ma perché quando succede qualcosa di eccitante/interessante/avventuroso, io sono a chilometri di distanza, passeggiando con noncuranza tra i negozi del centro e disquisendo con il mio amico Fabio se riuscirò a farmi sposare prima che l’artrite mi impedisca di lanciare il bouquet alle mie amiche invitate, che peraltro saranno un paio di vedove, mie vicine di letto alla casa di riposo? Sarà il mio fervido intuito da giornalista, non lo so, sta di fatto che io non c’ero: non c’ero quando i passanti hanno gridato: “Al fuoco, al fuoco, non stanno producendo una piastrella di gres porcellanato, al fuoco!”; non c’ero quando i vecchi, avvolti dal fumo e seminudi, sono corsi fuori casa, dove, credendo di dare una mano ai pompieri, hanno improvvisato la danza masai della pioggia, provocando un’angina pectoris collettiva a tutti i loro più stretti parenti; non c’ero quando un intrepido pompiere è entrato in casa mia per controllare che tutto andasse bene, abbattendo le porte con un’ascia che neanche gli indigeni dell’Amazzonia quando vanno a segare la quercia secolare e gettando sul soffitto ettolitri d’acqua perché gli sembrava un tantino bollente. Tutto questo ben di Dio la sottoscritta se l’è perso. Ma non dispero: ho saputo che gli altri miei vicini praticano le immersioni nella vasca da bagno. Quindi mi aspetto da un momento all’altro un’inondazione o uno tsunami, che però dovrebbe manifestarsi solo in caso di aerofagia virulenta. Speriamo!
‎mercoledì ‎21 ‎novembre ‎2007, ‏‎15.59.57 | RobertaRossiGo to full article
DONNA AL VOLANTE...
E' ora di cambiare macchina. Io non vorrei, perché col MIO Fiat Bravo si viaggia che è una meraviglia. Ma in casa, in fatto di automobili, ho il potere decisionale pari a quello di un tricheco peruviano. Il problema è che Cristian ha avanzato l'ipotesi di acquistare una Fiat Croma, che, a mio modesto parere, ha le dimensioni di un catamarano.

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Cristian dice che è una macchina molto bella e spaziosa, e io gli credo. Dice che ha cinque porte, tutti le comodità, un bagagliaio spazioso e poi ha precisato qualcosa sui cavalli, ma io ho pensato subito a un abito Cavalli che avevo visto nel pomeriggio e così ho smesso di ascoltarlo. Comunque, pur restando il fatto che io non sono ancora pronta per guidare lo Shuttle, sarebbe meglio andare sul sicuro in quanto a spazio, visto che tra passeggino e borse della spesa si sta sempre più stretti. Quindi avrei pensato a una cosa del genere:
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Di primo acchito, mi è sembrata un'ottima idea. Poi però ho pensato che avrei trovato qualche difficoltà a parcheggiare in piazza dei Martri Partigiani senza investire l'omino delle caldarroste. Allora ho privilegiato un'altra soluzione, molto più dinamica:
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Mi vedo già sfrecciare per la città col mio Iveco blu: gli automobilisti saranno costretti a farmi passare, i pedoni si getteranno giù dai fossati in cerca di scampo, io e la mia bimba viaggeremo a tutta birra incuranti del colore dei semafori. E' stato bello sognare, ma ora è giunto il momento di tornare alla dura realtà. L'economia che stenta a decollare, il mio conto corrente in rosso, i tagli alla spesa domestica: sono parole orribili che disegnano un futuro incerto. Da qui nasce l'esigenza di un ridimensionamento collettivo, di un recupero delle vecchie tradizioni in nome del risparmio e dell'ecologia. Io non sarò da meno, io intendo dare il buon esempio a mia figlia e alle future generazioni. Per questo ho scelto il mezzo di trasporto del futuro:
MESTIERI NEW 064
E comunque non è mai successo che l'abbia scelto io il mezzo di locomozione della famiglia!
‎lunedì ‎19 ‎novembre ‎2007, ‏‎2.10.19 | RobertaRossiGo to full article
CASALINGA DISPERATA
Fare la casalinga è una gran rottura di palle. Ve lo dico io che in questo periodo mi vedo costretta a dedicarmi quasi esclusivamente alla vita domestica. Non che in vita mia abbia mai fatto un lavoro serio – perché, francamente, fare la giornalista non è quello che si dice un lavoro serio – ma vi assicuro che pulire i pavimenti, spolverare i soprammobili, cucinare ogni santo giorno qualcosa di commestibile, è una vera impresa (altro che Ercole e le sue fottutissime fatiche). Il fatto più frustrante è che il lavoro della casalinga non trova mai soddisfazione. Chissà perché quando credi di aver finito con le pulizie di casa, la casa ti si rivolta contro: c’è sempre un cesto della biancheria che esplode di punto in bianco, un quadro che sradica il chiodo nel muro provocando una falda che neanche ai tempi del terremoto in Irpinia, o qualche spaccaballe che arriva all’improvviso seminando fango per tutto il salotto, neanche tornasse dal Camel Trophy. Ma la cosa che più di tutte mi trasforma in una desperate housewife assetata di sangue è quando entro la mattina in cucina, dopo che la sera precedente ha sparecchiato mio marito*. Fortunatamente la cosa accade di rado, altrimenti a quest’ora sarei rinchiusa a San Vittore. Ad ogni modo, non sopporto trovare pile di pentole e piatti galleggianti nel lavandino, con la scusa che erano troppo sporchi per essere messi in lavastoviglie. A parte che per cucinare e mangiare io non uso mai pile di pentole e piatti (più di una volta ho avuto il sospetto che lui ne mettesse a mollo anche di non usate, pur di farmi pesare il fatto che non mi sono ancora decisa a cucinare con le padelle di carta), comunque non credo che si possa dire di aver sparecchiato se nella bacinella giacciono stoviglie di ogni genere insieme a rane e lombrichi. Le cose non vanno meglio quando mio marito* decide di infilare tutto, ma proprio tutto, compreso il microonde, in lavastoviglie: il risultato è che non si lava niente, anzi piccoli pezzi di sporco si staccano da una parte e si attaccano all’altra, spargendosi a macchia di leopardo. Al momento di svuotare la macchina, se va bene, rischio il tetano, se va male, un’angina pectoris. Il più delle volte capita di trovare su forchette e coltelli formazioni di muffa fungina, che temo possa essere carnivora, mentre sul fondo dei pentolini si sedimentano elementi organici che potrebbero prendere vita, riprodursi, ingigantirsi e, se volessero, cacciarci di casa con un colpo di stato. A questo punto, nella speranza che mio marito legga questo messaggio, vorrei spiegargli che:
1) La lavastoviglie non ospita dentro di sé nessun individuo molto forzuto che strofina i piatti uno per uno fino a farli brillare. Né Mastrolindo.
2) La lavastoviglie, seppur tecnologicamente evoluta, non è dotata della capacità paragnosta di lavare i piatti abbandonati nel lavandino. Neanche in caso di programma extra-forte.
3) Le rane non dovrebbero saltellare nel nostro lavandino. Né nessun altro tipo di anfibio.
Ps. In questo post, nel rispetto della privacy, ho preferito non indicare il nome preciso di quello che, per comodità, ho definito mio marito*. Sono però due le precisazioni da fare:
1) la sottoscritta non ha nessun marito* (sfido chiunque a sostenere il contrario)
2) della privacy non mi importa per niente, io sono una che dice le cose come stanno senza problemi di censura: quindi rivelerò il nome del mio finto marito, che è CRISTION SPADINO*.
‎mercoledì ‎14 ‎novembre ‎2007, ‏‎19.48.19 | RobertaRossiGo to full article
ROBERTIK - LA VERSIONE CATTIVA DEL BLOG
So di gente che, pur di declinare un invito, è pronta a inventare qualsiasi scusa. In fondo non c’è da stupirsi, è una strategia piuttosto comune quella di sparare balle clamorose per schivarsi una serata noiosa o una cena indigesta. Quando si inventa una scusa per non uscire, l’importante è essere credibili e comunque sempre all’altezza della situazione. Per esempio, se un amico vi invita al cinema e voi non ci volete proprio andare, evitate di dire: <<Non posso, sono stata colpita da cecità improvvisa>>, per poi farvi beccare mentre sfrecciate alla guida del vostro motorino in mezzo al traffico. In questo caso, dovreste aver cura di schiantarvi contro la prima quercia secolare a portata di mano lungo il bordo della strada: in questo modo avrete dimostrato la veridicità di quanto detto e la vostra reputazione sarà salva. In vita mia ne ho sentite di tutti i colori, ci sono persone che, quando le inviti a cena, inventano balle pazzesche, storie di fantascienza, mondi paralleli pur di svicolare. In realtà basterebbe un onesto: <<No, grazie. Ho paura di essere avvelenato dai tuoi gnocchi al napalm>>. Del resto io non sono una che se la prende: all’ennesimo rifiuto da parte di una coppia di amici a presenziare alla mi tavola, ho deciso di spedirgli un pacco contenente una confezione di Emiliane Barilla, 200 grammi di macinato misto, un litro di besciamella e del tritolo a scaglie.
Riporto di seguito una serie di scuse di cui ho sentito parlare: alcune funzionano piuttosto bene, alcune le ho sperimentate personalmente con risultati sorprendenti (vedi la numero 7), altre dovrebbero indurre chi le ha pronunciate a fissare un appuntamento presso lo studio di Paolo Crepet e chi le ha ricevute a interrogarsi sull’eventualità di cambiare amici.
1) Al telefono: Stasera non esco perché devo sapere se l’unghia incarnita del piede sinistro di Meredith di Grey’s Anatomy le provocherà una setticemia fulminante
2) Mail: Mi dispiace, domani pomeriggio non possiamo vederci perché ho lezione di catechismo.
3) Sms: Ke palle non vederci stasera, mi sono venute le mie kose. Cmq tvtb! (Il problema è che a scriverlo è stato un uomo)
4) Mail: La mia casa è stata bombardata per errore dalle truppe Nato. Niente di grave, ma salta la cena. Sorry. Ps. USA FUCKS!
5) Al cellulare: Mercoledì sera? Oh no, c’è il dottor House: è un essere spregevole, mi sta sul cazzo, muoiono tutti, ma devo per forza vederlo caso mai mi venisse la stessa malattia del protagonista e nessuno sapesse come curarla (Ps. Tanto non è mai Lupus)
6) Al citofono:
Scendi?
Non posso, non sono in casa.
Dai, non fare lo spiritoso. Ti aspetto giù.
Sul serio, non sono in casa. Il mio vero io è ai Caraibi con Carmen Electra. Chi ti risponde è il mio clone incazzato nero per aver perso l'aereo.
7) Conversazione al centro commerciale: Martedì sera proprio non si può fare. Devo cucinare lo spezzatino per mio marito, devo lavare le mutande di mio marito, devo stirare le camicie di marito, devo lucidare le scarpe di mio marito, devo tagliare a pezzetti quel rompicoglioni di mio marito, metterlo nel tapperware e conservarlo nel freezer.
8) Cena a base di formaggi? Proprio no, sono a dieta! (salvo poi aver beccato l’autore del suddetto diniego divorare alle tre del mattino una colata di formaggio fritto con la scusa che se l’era sognato durante la notte)
9) Al telefono: Da te alle 20? Sarebbe meglio non prima delle 23, dato che io vivo col fuso orario di Nairobi
10) Mail: Stasera non posso uscire con te, sono in partenza. La mia macchina è stata inghiottita da una voragine nell’asfalto. Ora si trova a Shangai.
‎mercoledì ‎14 ‎novembre ‎2007, ‏‎16.34.26 | RobertaRossiGo to full article
NON SIAMO MICA NATE IERI, PLEASE!
So che a qualcuno il mio precedente post può essere sembrato eccessivo, soprattutto per quanto riguarda le dimensioni del girovita della "modella" dipinta (se avete da ridire sulle dimensioni delle tette di quell'altra modella... prendetevela col chirurgo). Comunque ho le prove che dimostrano come io sia nel giusto: la dieta Cenerentola non funziona!
ARGENTARIO 033
Ps. Io sono quella più bassa
‎mercoledì ‎14 ‎novembre ‎2007, ‏‎2.09.50 | RobertaRossiGo to full article
APPENNINI STORY
Correva il settembre del 2004. Tre ragazzi, amici per la pelle, partivano per una gita sugli Appennini, senza una meta precisa né certezze di farvi ritorno. Come prima sosta, in assenza di un autogrill a portata di mano, pensarono di fermarsi lungo una strada poco frequentata. Sentendosi soli e ormai lontani dal mondo civilizzato, decisero di fare un paio di telefonate per assicurarsi che il mondo civilizzato non si dimenticasse di loro.
IO, CRI, LUCA, STE 016
E’ ovvio che i cellulari avevano meno ricezione del walkie talkie di Amudsen durante la spedizione polare, ma supponendo che ci fosse campo, chi credete che stessero chiamando?
A) le rispettive fidanzate
B) ciascuno la fidanzata di un altro
C) Eva Henger
D) si stavano telefonando tra di loro
La gita proseguì tra le verdi vallate appenniniche. L’aria frizzantina, il sole brillantino, i fiori giallini invitarono i tre ragazzi ad accoppiarsi...
IO, CRI, LUCA, STE 015
...volevo dire, a cimentarsi nell’accoppiata corsa coi sacchi - corsa “della carriola”, fino a tagliare un immaginario traguardo, che solo loro potevano vedere (essendosi ripetutamente fumati i fiori giallini).
La giornata di hobby e sport sembrava procedere con grande armonia, in un clima di serenità e spensieratezza, tale da essere immortalato a più non posso.
IO, CRI, LUCA, STE 029
IO, CRI, LUCA, STE 021
IO, CRI, LUCA, STE 023
Quest’ultima fotografia in particolare stava per segnare una svolta nella vita dei tre amici, in quanto furono notati da un importante fotografo e subito ingaggiati come modelli per la collezione estate 2005 di Calvin Klein. Poi purtroppo non se ne fece nulla, in quanto si scoprì che il fotografo era in realtà l’Uomo Talpa, cosa che gli costò l’immediato licenziamento insieme ai tre, che comunque apparvero in perizoma sul calendario di Suor Germana.
Il pomeriggio felice volgeva ormai al termine. Purtroppo però sulla strada del ritorno qualcosa andò storto: la Panda su cui gli amici viaggiavano li lasciò a piedi.
IO, CRI, LUCA, STE 017
I tre si prodigarono in ogni modo per riparare il guasto, indossando i giubbini fosforescenti e rispettando gli obblighi di segnalazione in caso di incidente. Infatti un millepiedi che passava di lì per caso, pur viaggiando a manetta, vide con la coda dell’occhio il triangolo segnaletico e riuscì a deviare il tragitto con una provvidenziale sterzata degli ottocentodue piedi anteriori, dotati di ABS. Peccato per i restanti centonovantotto piedi, che andarono a schiantarsi contro una talpa in transito sulla corsia opposta, ma tant’è.
Disgraziatamente i tre amici non sapevano neanche adagiare il coperchio su una pentola, figuriamoci aggiustare il motore di una macchina. L’atmosfera da giocosa si fece tesa, gli umori cambiarono, nessuno aveva più voglia di scherzare.
IO, CRI, LUCA, STE 020
Ormai sicuri che non avrebbero più fatto ritorno alle loro case, essendo privi di senso dell’orientamento e delle elementari nozioni di sopravvivenza, i tre amici si sentirono in gabbia.
IO, CRI, LUCA, STE 006
C’è chi meditava senza troppa convinzione sul da farsi. Chi tentava un’improbabile fuga tuffandosi dal crinale.
IO, CRI, LUCA, STE 028
Ma tutto era inutile. I tre si arresero all’idea di trascorrere gli ultimi anni della loro giovinezza tra i boschi, nutrendosi di bacche e praticando di tanto in tanto la corsa “della carriola”. Quando due anni dopo furono per caso avvistati da una troupe televisiva guidata da Licia Colò, che si era messa sulle tracce del Panda bianco (forse Fiat, ma chi lo sa), avevano ormai assunto sembianze animali. Eccoli immortalati in un’immagine conservata negli archivi della Rai, intenti a nutrirsi e ad allontanare le mosche con la coda. Attenzione! Sono immagini forti: si prega di allontanare dallo schermo i bambini, le donne incinte, i vecchi e soprattutto le vecchie.
IO, CRI, LUCA, STE 008
Il ritorno al mondo civilizzato non è stato facile, ma i tre ce l’hanno fatta. Di tempo ne è passato da quella brutta storia: i tre amici sono oggi persone diverse, consapevoli del loro ruolo nella società. Assicurano di essere maturati dopo quell’esperienza, nonostante abbiano conservato l’abitudine di farsi mungere, <<ma solo la mattina presto>>, dicono.
Non credo ci sia altro da aggiungere su questa vicenda, se non che la montagna ci ha restituito tre persone speciali che rischiavamo di perdere: oggi uno ha una splendida figlia, un altro è in attesa di un bimbo che sua moglie darà presto alla luce, il terzo... bé, ha come suoneria del cellulare Spider Pork. Ma non vi dirò mai chi è!
Ps. E’ quello biondo.
IO, CRI, LUCA, STE 024
‎sabato ‎10 ‎novembre ‎2007, ‏‎21.34.04 | RobertaRossiGo to full article
MA COME FANNO LE SEGRETARIE CON GLI OCCHIALI A FARSI SPOSARE DAGLI AVVOCATI?
Qualche giorno fa mi è capitato di telefonare in ufficio. La segretaria, scocciata dalla mia ennesima telefonata (in realtà era solo la seconda del giorno) ha esclamato: "Ancora tu? Guarda che io non sono mica qui a LAVORARE CON GLI UCCELLI!" Lì per lì mi è sembrata una frase come un'altra, una battuta tra il serio e il faceto. Poi ho pensato, rincuorata: "Bè, poteva andarmi peggio". In effetti, lei è la segretaria di mio marito. Evviva la sincerità!!!

‎mercoledì ‎7 ‎novembre ‎2007, ‏‎22.21.27 | RobertaRossiGo to full article
CUPIDO E IL PIGNOLETTO
Fare da Cupido è una gran bella seccatura, se non altro perché non sai mai come andrà a finire. A volte ti capita di mettere insieme due persone talmente diverse che... corrono dritti all’altare urlando a squarciagola Alleluia Alleluia; altre volte becchi delle delusioni tremende da coppie su cui avresti scommesso la casa (mutuo compreso). Il fatto è che si tratta di uno sporco lavoro: ma visto che qualcuno deve pur farlo, io non mi tiro indietro. Metti una sera a cena con una cara amica: una bottiglia di Pignoletto, un amaro qualunque, un cocktail più o meno simile a una Caipiroska e... patatrack! Perché trattasi di un vero patatrack coi fiocchi. Allungo alla mia amica il numero di telefono di un amico. Lui abbocca in men che non si dica, lei si finge Sofia, cioè una giovane adescatrice di uomini visti più o meno per caso. Fin qui niente di male, non fosse che ben presto l’identità fasulla lascia il posto a una confessione in piena regola: <<Carissimo, in verità io sono..., lavoro a..., il tuo numero me l’ha dato...>>. Il suo numero gliel’ha dato la sottoscritta, ignara del fatto che in un solo week-end i due piccioncini si sono scambiati più sms e telefonate di Moggi e i suoi amici arbitri al tempo di Calciopoli. Per fortuna, i protagonisti di questa storia sono persone dotate di umorismo e voglia di non prendersi troppo sul serio: lui non se la prende affatto (anzi, sembra gradire), lei si toglie dall’impaccio di un’identità che non le appartiene e mostra tutte le sue doti reali. I due chiacchierano, si scrivono, si incontrano, si piacciono. E allora dove sta il problema? Perché parlare di patatrack? Ora, cari amici “accoppiati” dalla mia vena romantica (elevata all’ennesima potenza dal Pignoletto & Co), sappiate che se mai la vostra storia dovesse continuare, a me spetterebbero:
- una percentuale delle entrate aggiudicatesi dalla Vodafone per i vostri messaggini e telefonate, pari al 50/60% (ancora da definire)
- i relativi punti fedeltà per ricevere in regalo, entro fine anno, un personal computer nuovo di zecca (se no come faccio a scrivere sul mio blog le avventure che vi riguardano?)
- tutti i diritti d’autore per il merchandising con le vostre facce ritratte: magliette, agende, album fotografici, penne, cappellini, cartelloni pubblicitari, pannoloni per bambini (sulla cui confezione voi rappresenterete la coppia felice con cinque figli a carico)
Per il mondo il vostro incontro non è di certo un patatrack, ma per voi due, stando alle mie intenzioni, lo sarà di sicuro!!!
Ps. Per Sofia e A.: il resto della vostra storia, scrivetevela da soli (su questo blog, naturalmente!)
‎martedì ‎6 ‎novembre ‎2007, ‏‎19.09.46 | RobertaRossiGo to full article
I TRASLOCHI CAMBIANO LA VITA (ANCHE DI CHI RESTA)
La settimana si è aperta con una nota di tristezza: i nostri adorati vicini se ne sono andati. Mica in Nuova Zelanda, chiaro, però la pur breve distanza che ci divide, mi impedirà di rivolgermi a loro ogni quarto d’ora in cerca di una zucchina, un paio di uova, un cucchiaio di zucchero, uno scanner, la mia ciabatta sinistra. In famiglia siamo molto avviliti per questo fatto, soprattutto perché dovremo trovarci un nuovo supermercato (abbiamo già avviato rapporti con un paio di altri vicini, che speriamo possano presto rivelarsi vantaggiosi). La più triste di tutti è la piccola Nicole. Quando le ho spiegato che la sua amichetta Beatrice ha cambiato casa, Nicole ha dichiarato: <<De de de, de de de, du du>>. Dopo aver consultato un ufologo della Nasa esperto in linguaggi strampalati, è emerso che <<du du>> significa <<allora me ne vado anch’io>>. Sulle prime parole preferisco sorvolare per non turbare il papà e i nonni: è comunque chiaro che la piccola, con quel caratterino, ci darà del filo da torcere... Anche Cristian si è dimostrato molto dispiaciuto per il trasloco dei nostri vicini, salvo poi avermi detto: <<Bene, così ti deciderai a cucinare qualcosa di tanto in tanto, invece che piazzarti in casa loro nella speranza di un invito a cena>>. In verità, la più triste di tutti sono io. E non per gli inviti a cena, le zucchine o i bicchierini di menta alcolica. Mi mancheranno i miei vicini per il semplice fatto che in questi mesi siamo diventati AMICI e, coi tempi che corrono, questa è davvero una rarità.
Semplicemente, ci dispiace vedere le persiane del vostro appartamento chiuse, ci stringe il cuore sapere che il passeggino rosso di Nicole se ne starà da solo nel sottoscala senza il passeggino arancione di Beatrice e ci piange il cuore sapere che non sentiremo più gli strilli della Bea salire dal piano di sotto. Ma l’AMICIZIA resta, questo non si discute.
Ho deciso di pubblicare sul mio blog la lettera che io e Nicole abbiamo scritto alle nostre amiche Barbara e Beatrice. Ora restiamo in attesa che Cristian scriva una letterina a Luca giusto per chiudere il cerchio (in caso di eccessive smancerie, prometto che non la pubblicherò!)
Ora che ve ne andate, ci sentiremo un pò più sole, ma felici per avervi conosciute. Due strade possono dividersi, ma una volta che si sono incontrate, non si dimenticheranno mai.
Io e Nicole vi abbracciamo forte e vi promettiamo che ogni tanto busseremo alla vostra porta, come abbiamo fatto in questi mesi. Insomma, liberarvi di noi non sarà facile!
Grazie per il tempo trascorso insieme e grazie per
l’affetto
il reciproco sostegno
le chiacchierate
le sigarette sul balcone
le sigarette scroccate sul balcone
le fughe progettate e mai messe in atto, ma solo perché il vostro balcone è troppo alto
le cene
le sbronze alle cene
i piatti quasi rotti alle cene
le passeggiate
la gente strana incontrata durante le passeggiate
le calzine perse per strada durante le passeggiate
i sorrisi delle nostre bimbe mentre si guardano negli occhi
le urla di Beatrice e gli spaventi di Nicole
i reciproci consigli per riuscire a (non) farle mangiare
l’odiata bilancia di Lusoli
il metro da sarta di Lusoli
il 9 settembre 2007
Grazie per tutto quello che è stato e che sarà.
Vi vogliamo bene!
Roberta e Nicole
‎martedì ‎6 ‎novembre ‎2007, ‏‎13.06.57 | RobertaRossiGo to full article
VICINO DI CASA CERCASI
E’ novembre e il tempo fa cagare. Mi verrebbe voglia di piantarla qui, chiudere baracca e burattini e andare a dormire (non fosse che mi sono appena svegliata e non ho in casa il Valium). Eppure c’è qualcosa che mi dà coraggio, un pensiero allegro che solletica la mia fantasia. I nostri amati vicini se ne sono andati: “si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, mi verrebbe da dire. Comunque i miei vicini godono di buonissima salute, soprattutto la piccola Beatrice che si è schivata le fatiche del trasloco: quindi non è il caso di usare termini come “se ne sono andati per sempre” o “non torneranno mai più”. Superata la fase del distacco, io e Cristian ci stiamo concentrando sul dopo: cosa faremo dopo la loro partenza? di chi diventeremo amici per la pelle? chi prenderà in affitto il loro appartamento? Ecco, questo è il pensiero allegro che illuminerà la mia giornata autunnale. Immediatamente scartata l’ipotesi avanzata da Cristian delle cubiste cubane e delle studentesse russe (anche perché non credo ne esistano dalle nostre parti), lasciamo spazio ai suggerimenti più interessanti, nonché realizzabilissimi.
Cara Barbara, visto che devi affittare l’appartamento, dai retta a me. Sfruttando le mie conoscenze interplanetarie ho avviato alcuni contatti, che restano comunque da approfondire di persona. Purtroppo con George Clooney non credo andrà in porto, visto che lui ha da poco acquistato Villa Oleandra e sta bene dove sta. Idem per Brad, dato che si porterebbe dietro quella scassapalle di Angelina che ha già quindici figli ed è di nuovo incinta. Sai che noia! So che Orlando Bloom sta facendo carte false per aggiudicarsi l’appartamento, ma io credo che abbia la puzza sotto il naso (poi pare non sia puntuale con i pagamenti mensili). Direi di lasciare perdere i divi di Hollywood e di andare sul marittimo. A questo punto mi piacerebbe:
- un bagnino di Baywatch
- un sirenetto con le ancore tatuate sui bicipiti
- oppure quest’uomo qui
FM-DavidGandy-001
Ad ogni modo, cara Barbara, se pensi di non poter soddisfare le mie richieste, sappi che mi accontento anche di un bagnino calvo e zoppo di Pinarella. Se poi trovi lo zerbino incendiato o i mortaretti nella posta, è inutile che ti lamenti!
‎lunedì ‎5 ‎novembre ‎2007, ‏‎20.18.22 | RobertaRossiGo to full article
SCANDALO AL DELLE ALPI: LA JUVE NON PERDE IL VIZIO
Torino - I tempi di Moggiopoli sembravano lontani, l'era di un calcio sano e pulito bussava alle porte; l'Inter si apprestava a diventare la squadra numero uno del Campionato, il Milan si apprestava a retrocedere in serie B. Insomma proprio tutto sembrava perfetto, quando è emerso un nuovo scandalo destinato a sconvolgere le cronache di una tranquilla domenica di sport. Ulteriori accertamenti sono ancora in corso, ma dalla visione di alcuni filmati si è evidenziato un fatto gravissimo che inchioda la Juventus alle proprie responsabilità. Pare infatti che la squadra bianconera, ieri sera contro l'Inter, sia scesa in campo con dodici giocatori. Il giocatore in più è il naso di quest'uomo (alias Giorgio Chiellini):
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Immediata la replica del difensore della Juventus: <<Nessuno mi aveva avvertito che non poteva entrare in campo: e comunque il mio naso non è stato decisivo in nessuna occasione>>. Un filmato di Sky dimostrerebbe il contrario. Un cameraman a bordocampo ha infatti stretto sul giocatore bianconero proprio durante l'azione da gol della Juventus: le immagini in primo piano mostrano chiaramente Chiellini prima intento ad annusare un filo d'erba, quindi a deformarsi in una smorfia tragica a causa dell'allergia al fieno. <<E' stato orribile>> ha dichiarato il cameraman <<ciò che è uscito da quel naso aveva la forza dell'uragano George, temevo che mi avrebbe spazzato via insieme ai cartelloni della Fiat Agriculture>>. Lo starnuto fuoriuscito dal naso di Chiellini si è infatti abbattuto sul manto erboso con una violenza pari a circa 85 nodi, deviando la traiettoria della palla appena colpita alla viva il parroco da Camoranesi: dopo aver centrato un polpaccio di Samuel, la palla si è insaccata nella rete neroazzurra tra le proteste di un raccattapalle finto giovane, il cui parrucchino è volato via rivelando la vera età dell'uomo, che ora non potrà più giocare nelle giovanili del Pinerolo Calcio. La dirigenza della Juve, in attesa del compimento delle indagini, si è chiusa dietro un totale silenzio. <<Attendiamo sviluppi. Comunque>> si è lasciato sfuggire Cobolli Gigli <<anche il naso di Ibraimovich è una bella bestia!>>
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‎mercoledì ‎31 ‎ottobre ‎2007, ‏‎3.00.51 | RobertaRossiGo to full article
YOGI E BUBU, AMICI PER LA PELLE (D'ORSO)
I miei amici sono strani, e questo è un fatto. Quindi non c’è da meravigliarsi se di tanto in tanto se ne escono fuori con cose dell’altro mondo. Uno che abita in montagna dice che, se dovesse mettersi alla guida brillo e i carabinieri lo fermassero, abbandonerebbe la macchina per scappare tra i boschi; un altro pensa che la Juve di quest’anno sia da scudetto. Ma questo è niente in confronto a quanto è emerso da una conversazione tra persone all’apparenza civili e, soprattutto, civilizzate. Sorseggiavo in tutta tranquillità il mio bicchiere di birra davanti a una pizza fumante, quando, forse complici i carciofi avariati o il prosciutto cotto importato da Shangai, mi è parso di sentire una dichiarazione folle, di quelle che lasciano il segno. La mia migliore amica, quella che credevo fosse normale e invece non lo è, quella a cui avrei affidato mia figlia per non più di un paio d’ore ma adesso neanche per quelle, ha svelato così di punto in bianco il suo sogno nel cassetto. Ebbene, costei vorrebbe vincere al Superenalotto per andare in un bosco e lì cospargersi di puzza d’orso. Pare infatti che questo sia l’unico modo per farsi abbracciare da un qualsiasi plantigrade di passaggio senza correre il rischio di venirne divorati. Ora, spiegazione scientifica a parte, lì per lì mi è sembrata una cosa assurda, senza senso, ma ora che ci penso bene, a mente fredda, ho deciso che la mia amica dovrebbe essere ricoverata d’urgenza. Magari in una fabbrica della Trudi, così potrebbe farsi abbracciare da un orso di dimensioni reali, ma pur sempre innocuo. Io mi preoccupo per lei, me la vedo già unta di humus d’orsa, che di per sé è un’immagine angosciante, mentre scappa su e giù per il crinale inseguita da un branco di grizzly arrapati. Per non parlare dei grizzly femmina, che potrebbero interpretare il suo arrivo come una minaccia alla stabilità delle loro famiglie: la farebbero a brandelli. Ma, francamente, quante probabilità ci sono che la mia amica faccia sei al Superenalotto? Inoltre, quante probabilità ci sono che al mondo esisti un concentrato di puzza d’orso in vasetto da spalmarsi all’occorrenza per un abbraccio indimenticabile? Non lo so e non voglio saperlo, comunque mi dichiaro pronta a tirarmi indietro nel caso a qualcuno venisse in mente di lanciare tale prodotto sul mercato. Tra l’altro la mia amica, di cui tengo segreta l’identità per evitare che i Servizi Sanitari si mettano sulle sue tracce, mi ha spiegato che la vincita al Superenalotto è necessaria perché l’operazione unto d’orso + abbraccio pare sia molto costosa. Mi sa che ha ragione, d’altronde è noto che uno come Yogi, tanto per citare un tipo famoso, ti fa un servizio completo da capo a piedi con tanto di pelo strusciato, ma solo dietro lauta ricompensa. I più informati dicono che bisogna corrompere il Rangers del parco di Yellowstone, ma questa è tutta un’altra faccenda. A questo punto, se la mia amica ha proprio questo sogno, io non me la sento di oppormi. Quindi ho deciso di lanciare dalle pagine di questo blog una sottoscrizione dal titolo: Tendi una mano alla mia amica, l’orso farà tutto il resto. Potete devolvere una cifra a casaccio, ma vi invito ad essere generosi, spinti dalla certezza che il di lei fidanzato vi sarà riconoscente a vita. Bene, la mia parte l’ho fatta, mi sembra chiaro che io agli amici tengo molto: infatti auguro alla destinataria della sottoscrizione che il suo sogno si avveri e che, mentre si spupazza gli orsi, non incontri per caso quell’altro nostro amico che fugge per il bosco onde evitare l’Alcol Test!
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‎martedì ‎30 ‎ottobre ‎2007, ‏‎17.10.22 | RobertaRossiGo to full article
CENERENTOLA E LE ALTRE
In una recente intervista, Anna Falchi ha svelato il segreto della sua forma fisica: nonostante mangi come un bue, ingozzandosi di hamburger tutto il giorno, riesce a smaltire le calorie in eccesso lavando i pavimenti di casa. La chiamano la dieta della Cenerentola.
Ora, di stronzate ce ne raccontano, ma questa è proprio grossa. Comunque io ci voglio credere, così come ho creduto alla storia che Michael Jackson si è sbiancato a causa della tintarella di luna e che Enzo Mirigliani è ancora in vita. Mi piace pensare alla signora Falchi, ex Ricucci, mentre impugna un Mocio Vileda, masticando avidamente pezzi di un Buffalo Bill Burger: dopo aver deciso da quale parte si usi il Mocio, lo immerge in un secchio pieno di Lysoform e già che c’è si rovescia addosso il secchio perché si sa che l’effetto maglietta bagnata aiuta. Quindi lavora di braccia e fianchi su e giù per i pavimenti di casa, esercita i bicipiti aggrappandosi ai lampadari da spolverare, ma non prima di aver fatto un paio di sollevamenti del divano, onde evitare che la polvere vi si accumuli sotto. Praticamente quello che fanno tutte le donne del mondo, e senza l’obbligo di aver avuto a che fare col mento di Ricucci!
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Io stessa brucio quotidianamente le mie kilocalorie con un programma personalizzato, che consiste in:
- esercizi di cardiofitness su e giù per le scale, sopra e sotto i sanitari, a destra e sinistra dei mobili, in lungo e in largo dei vetri, armata di spugne e panni Swiffer Catturapolvere
- giochi senza frontiere: slalom tra i giocattoli parlanti di Nicole, che se per caso li urti nel cuore della notte parte a tutto volume la Cavalcata delle Valchirie giusto per farsi odiare da tutti i vicini; immersione nelle pozzanghere che, a turno, la lavastoviglie e la lavatrice producono, alleandosi talvolta con il lavandino della cucina; scalata della parete per spolverare le mensole in cristallo che l’arredatore poteva installare direttamente sul soffitto tanto a quell’altezza i soprammobili neanche si vedono; gioco della cuccagna per abbattere le ragnatele, prima che l’Ufficio Catasto mi imponga di far pagare il subaffitto ai ragni
- sedute di yoga nella posizione del cagnolino per stare dietro a mia figlia che gattona in preda a furore esplorativo e a una tale velocità, che neanche Schumacker sulla variante della Roggia
Più che Cenerentola, mi sento la schiava Isaura.
Ho però il timore che nel mio caso qualcosa non abbia funzionato.
Se Anna Falchi è così:
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perché io sto diventando così?
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‎domenica ‎28 ‎ottobre ‎2007, ‏‎17.23.06 | RobertaRossiGo to full article
Robertik - La versione cattiva del blog
Non ce la faccio. E’ più forte di me. Non sopporto le persone che dicono “mediamente”. Per esempio: “in vacanza ero mediamente contento”, oppure “oggi il tempo è mediamente bello”, o ancora “ho bevuto del vino, a un certo punto ero mediamente ubriaco”. Tanto per intenderci, al mondo c’è gente che dice cose ben peggiori, ma almeno ha il buon senso di dirle grandemente peggiori, non mediamente. Che sarebbe un pò come farla grossa ma non troppo, gettare il sasso e ritrarre il braccio, pisciare controvento indossando una tutta da sub. Mediamente contento di stare in vacanza? Cioè eri felicissimo di stare su un’isola sperduta mentre in ufficio era piombata la Finanza, o incazzato nero perché il tuo costume super-slim ti strizzava le chiappe fino a farle sembrare due prugne secche della California? Il tempo mediamente bello? O piove, o nevica, o c’è il sole. Non si è mica mai sentito dire: <<Nel fine settimana è previsto un medio uragano che porterà media morte e media distruzione, ma solo se la gente non scapperà nei medi rifugi costruiti sotto terra (a media profondità, ovviamente)>>. E come si fa a ubriacarsi mediamente? Penso che bisognerebbe avere un Alcol Test infilato nello stomaco: quando si arriva a metà strada tra gli estremi “Acqua Santa” e “Homer Simpson da Boe”, è ora di smettere. E’ pur vero che centrare la media misura non è esattamente un gioco da ragazzi. Provi chiunque a percorrere alle 8 di mattina la tangenziale est di Milano ad una velocità media di, che so, 90 chilometri orari: utopia o voglia di suicidarsi sotto un camion al primo rallentamento forzato? No, non si può vivere mediamente. Tutto va fatto fino in fondo, senza mezzi termini. Ad esempio, quando il dottore mi ha detto <<Contro la stitichezza usi mezzo microclisma di glicerina della marca Super Turbo Maxi- Sciolting, ho detto mezzo e non di più>>, io non ci sono stata e ho spremuto fino in fondo. Attualmente decorre il terzo giorno del mio isolamento forzato dal mondo. L’effetto collaterale è ben visibile: mi sto progressivamente stringendo, assomiglio sempre più a un prugna secca della California.
‎sabato ‎27 ‎ottobre ‎2007, ‏‎13.07.41 | RobertaRossiGo to full article
ECONOMIA DOMESTICA
L’altro giorno, nel corso di una conversazione molto seria, Cristian mi ha proposto: <<Perché non investiamo i nostri soldi in borsa?>>. Io, come illuminata da un’idea folgorante, gli ho risposto: <<Perché non investiamo i nostri soldi in borse?>>. A essere sincera, non ho la minima idea di quanto ammontino i nostri soldi da destinare agli investimenti, però, dopo un rapido calcolo, è emerso che: per vincere sul mercato bisogna partire con capitali considerevoli, infatti tutti sanno che viviamo in un’epoca in cui il denaro dei piccoli risparmiatori è divorato dall’avidità dei grandi gruppi finanziari. Noi non abbiamo di sicuro grandi capitali, insomma non come quelli della Coca Cola Company, ma neanche della Fanta Srl. Inoltre, so che le mie parole suoneranno molto dure, ma io del mercato in sé non mi fido, infatti mi sono sempre rivolta a dei commercianti stabili con il negozio in centro, casomai decidessi per un cambio merce. Infine è vero che viviamo in una società in cui i ruoli tendono a confondersi, spesso le donne portano i pantaloni e i figli picchiano i genitori, ma non si sono ancora visti uomini sfoggiare borse costose, se non borselli a tracolla di dubbio gusto. Quindi, a conclusione della mia indagine, è emerso che, per il bene della famiglia e per un futuro ricco di soddisfazioni economiche a lungo termine, investiremo in borse, per la precisione in una borsa da donna, tutta per me. Una Belstaff collezione spring/summer 2007 Replica Leather, modello Road Bag. Fantastica. L’ho vista un pomeriggio che passeggiavo tra le vetrine del centro: spiccava nonostante le modeste (ma dignitose) dimensioni tra un affollamento di borse, valigie e tracolle, essendo dotata di una personalità fuori dal comune. L’ho subito paragonata a Condoleezza Rice, forse per via della postura decisa e del colore moro, che in gergo si chiama Antique Cuero. Come l’ho vista, così bella e grintosa, mi sono sentita a disagio, quasi giudicata per via del mio look inappropriato all’occasione. Ho subito cercato di aggiustarmi i capelli e di darmi un’aria seria, professionale, mentre spingevo il passeggino con Nicole che faceva piccoli rutti al gusto Plasmon. Alla fine credo di esserle piaciuta: non ne sono sicura, ma a un certo punto mi è sembrato che mi abbia fatto l’occhiolino. Spinta da un istinto materno, ho deciso di entrare nel negozio per saperne di più sulla creatura , dal momento che era mia intenzione prendermene cura e accudirla nel miglior modo possibile. Dato che il passeggino era troppo ingombrante, ho dovuto abbandonarlo all’ingresso, ma Nicole ci stava seduta proprio sopra, quindi non dovevo preoccuparmi di niente. La mia unica preoccupazione era la Road Bag e il suo pellame da preservare con attenzione nel tempo. Fortunatamente il commesso mi ha spiegato che avere a che fare con una Road Bag è un gioco da ragazzi: si può essere distratti, violenti, sporcaccioni, tanto la pelle più la tratti male, più diventa bella. Lo sapevo, ogni mia intuizione era giusta: è la borsa adatta a me. Io sono distratta, non proprio violenta ma burbera sì, e poi sporco tutto e tutti. Più il commesso elencava le doti della borsa e la stropicciava con fare dimostrativo, più io mi innamoravo di quel cucciolo che non aveva bisogno di troppe cure, ma di una spalla che sapesse portarla ovunque volesse. A dire la verità, l’atteggiamento e il tono da puericultore del commesso mi ha ricordato quello dell’ostetrica al corso pre-parto, eccezion fatta per lo stropicciamento del cucciolo: solo che in quell’occasione nessuna delle gestanti aveva avuto l’istinto di esclamare “devo avere anche il portafoglio”, mentre più di una si era messa a vomitare. Ormai ero decisa: dovevo averla. Ho estratto il portafogli mettendomi vagamente di profilo, in modo che la Road Bag non riuscisse a vedere il vile denaro che ero pronta a sborsare per lei. Tra l’altro non avevo chiesto il prezzo per non infastidirla, dato che mi era sembrata un tipo suscettibile. Quando l’amorevole commesso ha sparato la cifra, per poco non mi prendeva un colpo (e non solo perché Nicole in quel preciso istante si era aggrappata alla maniglia di una valigia, rischiando di venir catapultata fuori dal passeggino). 420 euro per una borsa e un portafogli che saranno anche pieni di personalità, ma rischiano di restare vuoti per un bel pezzo, visto che non avrei più risparmi da metterci dentro. Ho sentito una sottile fitta al fianco destro, ho vacillato sotto lo sguardo della Road Bag, dalla quale mi sentivo tremendamente giudicata. E così, debole, ho indietreggiato fino a raggiungere il passeggino. La Road Bag e il commesso erano sempre più distanti, e più mi allontanavo, più diventavano ostili, quasi crudeli. Ho lasciato il negozio con un senso di nausea e frustrazione: per raggiungere la macchina, ho fatto un giro interminabile, pur di non passare di nuovo davanti alla vetrina con la Road Bag in bella vista. Poi, mentre camminavo lungo i viali del parco, mi è caduto lo sguardo in avanti, verso il basso: ed eccolo lì il mio cucciolo, ultimo modello della collezione inverno 2006, pelle chiara, resistente agli urti (speriamo...), spirito libero e personalità spiccata nonostante i 10 mesi di età, pronta a farsi portare in giro ovunque, pur non essendo dotata di tracolla. Un modello così è senza prezzo... tanto è mio: NICOLE!
E per la Road Bag, bhé... chiediamo a papà Cristian !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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